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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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ciò <strong>che</strong> avverrà, ma <strong>che</strong> è già realtà agli occhi della mente di Fortini, <strong>che</strong> osserva da una<br />

dimensione altra della storia, e supera i limiti del reale (inteso come insieme di<br />

percezioni sensibili). 42 Il significato non è limitato alla contemporaneità della scrittura,<br />

ma si rivolge soprattutto a chi prenderà il nostro posto («già stendono le loro stuoie /<br />

attraverso la tua stanza»), a chi stabilirà nuove regole, forse an<strong>che</strong> una nuova<br />

concezione del bene e del male («distribuiscono le loro masserizie», «spartiscono il loro<br />

bene»): a tutti coloro <strong>che</strong> verranno dopo di noi la «nostra verità» si offrirà come cibo e<br />

nutrimento.<br />

Nella contemplazione delle sorti dell’uomo tutto tende verso un punto limite in cui il<br />

presente è figura del futuro, ma simultaneamente lo sguardo si immerge nella profondità<br />

storica e mitica di un tempo lontanissimo. In questo processo dinamico dei tempi dentro<br />

al tempo gioca un ruolo centrale quel meccanismo poetico, <strong>che</strong> Mandel’štam chiamava<br />

reversibilità o retrovertibilità, per cui, come in un ciclo continuo, il passato produce i<br />

suoi effetti sul presente e questo sul futuro. Per Fortini la reversibilità si sviluppa in<br />

senso etico e politico, poiché «ognuno di noi è composto di morti e di venturi, dunque<br />

attraversato da una corresponsabilità universale», 43 in cui «la scala di valori per la quale<br />

si agisce nel presente trova la sua legittimità»: 44<br />

Anassagora giunse ad Atene<br />

<strong>che</strong> aveva da poco passati i trent’anni.<br />

Era amico d’Euripide e Pericle.<br />

Parlava di meteore e arcobaleni.<br />

Ne resta memoria nei libri.<br />

Si ascolti però quel <strong>che</strong> ora va detto.<br />

An<strong>che</strong> la grandissima Unione Sovietica e la Cina<br />

esistono, o l’Africa; e le radio<br />

ogni notte ne parlano. Ma per noi, per<br />

noi <strong>che</strong> poco da vivere ci resta,<br />

<strong>che</strong> cosa sono l’Asia immensa, il tuono<br />

dei popoli e i meravigliosi nomi<br />

degli eventi, se non figure, simboli<br />

dei desideri immutabili dolorosi? Eppure<br />

– si ascolti ancora – i desideri immutabili<br />

dolorosi <strong>che</strong> mordono il cuore nei sonni<br />

42 Si potrebbe parlare di insofferenza nei confronti della realtà (Cfr. Giovanni Raboni, La poesia <strong>che</strong> si fa.<br />

Cronaca e storia del Novecento poetico italiano 1959-2004, cit., p. 258). Si legga an<strong>che</strong> Roberto Galaverni, Il poeta è<br />

un cavaliere Jedi. <strong>Una</strong> difesa della poesia, cit., p. 86: «Fortini vede il qui soltanto in relazione al là, l’adesso in<br />

relazione al poi, il nunc al tunc, come un eretico di una religione della storia. A suo modo vede doppio, stravede per<br />

eccesso di pensiero».<br />

43 Franco Fortini, Di tutti a tutti, in L’ospite ingrato secondo, ora in Saggi ed epigrammi, cit., p. 1073. Ma si<br />

legga an<strong>che</strong> Franco Fortini, Non solo oggi. Cinquantanove voci, a cura di Paolo Jachia, Roma, Editori Riuniti, 1991,<br />

p. 45.<br />

44 Paolo Jachia, Franco Fortini. Un ritratto, cit., p. 16.<br />

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