Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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Nella seconda strofa il vissuto individuale partecipa di una più ampia dimensione<br />
storica, <strong>che</strong> collega direttamente un difficile passato con un altrettanto complicato<br />
presente. «Un improvviso inciso prosastico, d’impronta, per così dire,<br />
“generazionale”», 83 come lo definisce Garboli, introduce il ricordo della conferenza di<br />
Monaco del settembre 1938. 84 La storia entra nella poesia di Sereni<br />
contemporaneamente al manifestarsi della quotidianità, attraverso un sistema di<br />
stratificazioni e di corrispondenze. Il discorso interiore del poeta si pone comunque ai<br />
margini di questa storia, ribadisce la lontananza rispetto agli eventi: i fatti di Monaco<br />
sono ricordati attraverso un’immagine scipita («e intanto Monaco di prima mattina sui<br />
giornali»). La storia viene abbassata ad una quotidianità stanca, trita, banale, di cui è<br />
emblema il mas<strong>che</strong>ramento prosastico del male per mezzo di una stridente colloquialità<br />
(«ah meno male» 85 ). Questo avvilimento investe tutta la realtà, e si rispecchia an<strong>che</strong><br />
nell’andamento nominale, <strong>che</strong> riduce a vera e propria didascalia teatrale l’indicazione<br />
meteorologica e stagionale <strong>che</strong> chiude la seconda strofa («sotto la pioggia un<br />
settembre»). L’uso dell’articolo indeterminativo («un settembre») porta con più forza il<br />
lettore nel presente, prescindendo dal dato storico determinato: le «svasti<strong>che</strong> dei tempi<br />
torbidi» (così recita la prima stesura), non sono solo quelle del ’38, ma tutte quelle altre<br />
svasti<strong>che</strong> <strong>che</strong> sono apparse dopo, nel silenzio, nell’inconsapevolezza collettiva o nella<br />
tacita accettazione del male.<br />
Nel distico <strong>che</strong> chiude e sigilla la poesia, si passa dall’indeterminatezza dell’iniziale<br />
«Si ravvivassero mai» e poi dell’ipotetico «Purché si avesse», alla perentorietà<br />
asseverativa dell’«Oggi si è – e si è comunque male, / parte del male tu stesso». Il male<br />
di cui qui si parla è un radicale e profondo male d’esistere calato nella sua concreta<br />
quotidianità, una realtà psicologica e gnoseologica rivelata o svelata al poeta, <strong>che</strong> alla<br />
83 Cesare Garboli, In una casa vuota. Commento, cit., p. 32.<br />
84 A questo proposito si potrebbe an<strong>che</strong> ricordare una lettera di Sereni a Parronchi, in cui gli elementi del passato<br />
si confondono con un presente di preoccupazioni: «Qui spira una brutta aria; un’aria tipo 1938 (di un 1938 visto da<br />
uno <strong>che</strong> allora non capiva di camminare lungo l’abisso e <strong>che</strong> ha il raccapriccio quando pensa <strong>che</strong> ci camminava e non<br />
se ne accorgeva)». Ora in Un tacito mistero. Il carteggio Vittorio Sereni-Alessandro Parronchi (1941-1982), cit.,<br />
lettera 71, p. 206.<br />
85 Si può ricordare Nel vero anno zero (Gli strumenti umani), in cui si sviluppava il tema della ferocia delle<br />
«nuove belve», cioè di coloro <strong>che</strong> ignorano il passato e <strong>che</strong> sviliscono e annullano la memoria nella superficialità<br />
frutto del disinteresse: «Meno male lui disse, il più festante: <strong>che</strong> meno male c’erano tutti. / Tutti alle Case dei Sassoni<br />
– rifacendo la conta. / Mai stato in Sachsenhausen? Mai stato. / A mangiare ginocchio di porco? Mai stato. / Ma certo,<br />
alle case dei Sassoni. / Alle Case dei Sassoni, in Sachsenhausen, cosa c’è di strano? / Ma quante Sachsenhausen in<br />
Germania, quante case. / Dei Sassoni, dice rassicurante / caso mai svicolasse tra le nebbie / un’ombra di recluso nel<br />
suo gabbano. / No non c’ero mai stato in Sachsenhausen. // E gli altri allora – mi legge nel pensiero – / quegli altri<br />
carponi fuori da Stalingrado / mummie di già soldati / dentro quel sole di sciagura fermo / sui loro anni aquilonari…<br />
dopo tanti anni / non è la stessa cosa? // Tutto ingoiano le nuove belve, tutto – / si mangiano cuore e memoria queste<br />
belve onnivore. / A balzi nel chiaro di luna s’infilano in un night».<br />
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