Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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Dovrò cambiare geografie e topografie.<br />
Non vuole saperne,<br />
mi rinnega in effigie, rifiuta<br />
lo specchio di me (di noi) <strong>che</strong> le tendo.<br />
[…]<br />
E dopo tutto<br />
ho pozzi in me abbastanza profondi<br />
per gettarvi an<strong>che</strong> questo.<br />
Ecco <strong>che</strong> adesso nevica…<br />
Ma io, mia signora, non mi appello al candore della neve<br />
alla sua pace di selva<br />
conclusiva<br />
[…]<br />
Sono per questa – notturna, immaginosa – neve di marzo<br />
plurisensa<br />
[…]<br />
Per il suo turbine il suo tumulto<br />
<strong>che</strong> scompone la notte e ricompone<br />
laminandola di peltri acciai leggeri argenti.<br />
(Vittorio Sereni, Addio Lugano bella, in Stella variabile)<br />
La parola registra la crisi della percezione del reale («mi rinnega in effigie, rifiuta / lo<br />
specchio di me»), l’io scivola in una dimensione onirica e visionaria, in una profondità<br />
inquieta in cui prende corpo la lotta contro il nulla: alla lusinga offerta dal «candore<br />
della neve» con la sua «pace di selva / conclusiva» si oppone la «– notturna,<br />
immaginosa – neve di marzo» con «il suo turbine il suo tumulto» <strong>che</strong> è dissoluzione ma<br />
an<strong>che</strong> possibilità di ricomposizione e di rinnovamento del senso. In questo contesto non<br />
si pone un problema di esistenza o inesistenza delle parole nelle cose e viceversa, o<br />
dell’annullamento delle une nelle altre sotto il segno dell’irrealtà. Per Sereni si tratta di<br />
cercare di stabilire in <strong>che</strong> rapporto sono le parole e le cose. Qui a garantire questo<br />
rapporto vi è una visionarietà <strong>che</strong> ha le sue radici nell’evento memoriale <strong>che</strong> la parola<br />
traduce in forma poetica. È il modo trovato da Sereni per non cadere vittima di un<br />
nichilismo assoluto e assolutizzante:<br />
Ne vanno alteri i gentiluomini nottambuli<br />
scesi con me per la strada<br />
da un quadro<br />
visto una volta, perso<br />
di vista, rincorso tra altrui reminiscenze<br />
o soltanto sognato.<br />
(Vittorio Sereni, Addio Lugano bella, in Stella variabile)<br />
Immaginiamo, dunque, i fantasmi con cui il vuoto si misura, presenze <strong>che</strong> affiorano<br />
da un altrove indistinto, senza poter essere definite, se non per via di negazione. Sono<br />
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