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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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L’esperienza dell’io è collocata quindi in una lontananza <strong>che</strong> determina un rapporto<br />

diverso con la realtà. Solo nell’eros, segreto e misterioso, povero e vivo, Penna può<br />

collocare la possibilità di un altrove <strong>che</strong> è salvezza e perdizione contemporaneamente:<br />

La madre mi parlava dell’affitto.<br />

Io ero ad altra riva. Il mio alloggio<br />

era ormai in paradiso. Il paradiso<br />

altissimo e confuso, <strong>che</strong> ci porta<br />

a bere la cicuta…<br />

(Ero per la città fra le viuzze, in Poesie)<br />

Ci sono momenti in cui l’autore condensa la trascendenza in ciò <strong>che</strong> accade e la poesia<br />

diventa il luogo in cui una circostanza si assolutizza contro la minaccia del vuoto, senza<br />

tuttavia la scappatoia della verticalità. La realtà quotidiana può assumere i tratti di un<br />

paradiso in terra «fuori del quale abitano […] la precarietà e la morte», 10 tuttavia, poiché<br />

il desiderio non trova una compiuta realizzazione ma prelude ad uno smarrimento<br />

emotivo (qui il paradiso è «altissimo e confuso»), la distanza sembra essere la vera cifra<br />

di una poesia <strong>che</strong> partecipa di una doppia natura, positiva e negativa allo stesso tempo.<br />

La trasfigurazione del reale, mediata dalle immagini dei fanciulli, non porta soltanto ad<br />

una diversa misura delle cose, ma an<strong>che</strong> a saggiarne i limiti: Penna non sembra in grado<br />

di meditare sulla trascendenza, eventualmente può nominarla, sfiorarla, farla esistere per<br />

infiniti attimi sulla pagina, accanto all’immanenza <strong>che</strong> ci è toccata in sorte.<br />

Nel gesto distratto, nell’evento non realizzato ma solo atteso, si rivela una «nostalgia<br />

d’infinito» 11 <strong>che</strong> è sorgente del desiderio; al contrario, nell’atto compiuto il desiderio si<br />

consuma, eros scompare e dell’amore rimane solo un misero sesso, <strong>che</strong> non ha più nulla<br />

di divino, ma testimonia di un’esistenza spogliata della momentanea numinosità,<br />

lasciata a se stessa e al proprio esilio:<br />

Poi fu una cosa povera, avvilita,<br />

nascosta da una mano, il segno della vita.<br />

(Poi fu una cosa povera, avvilita, in Appunti)<br />

L’irradiante immobilità delle sue immagini è appena screziata dalle vicende di una cronologia <strong>che</strong> non è storica ma<br />

biologica».<br />

10 Così Elio Pecora, Premessa alla nuova edizione, in Sandro Penna: una <strong>che</strong>ta follia, cit., p. XXIX.<br />

11 Roberto Deidier, L’estate se ne andò senza rumore, in AA.VV., La vita… è ricordarsi di un risveglio. Letture<br />

penniane. (Atti del convegno – Roma, 30 maggio 2007), a cura di John But<strong>che</strong>r e Magda Vigilante, Roma, Fermenti<br />

Editrice, 2007, p. 20.<br />

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