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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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iconoscimento, dentro di sé, di un male storico e assoluto, calato nella vita di tutti i<br />

giorni (come poi accadrà in Sarà la noia).<br />

Nella prima strofa tale movimento appare caratterizzato dall’esitazione, dal dubbio,<br />

dalla sospensione, dall’opposizione dei significati: un continuo andirivieni, un avanti e<br />

indietro tra affermazioni e negazioni, <strong>che</strong> genera una sorta di illusione prospettica al<br />

limite tra realtà ed eventualità, proiettata verso una nuova consapevolezza di sé. 81 Per<br />

Sereni la poesia è una «battaglia di immagini», 82 e questo testo ne è un esempio: esso è<br />

costellato da una serie di elementi ipotetici <strong>che</strong> dicono una realtà incerta, tenuti insieme<br />

da una fitta rete di riprese e ripetizioni («Si ravvivassero», «sembrano ravvivarsi», «non<br />

si ravvivano», «si è ravvivata»; «Purché si avesse», «Purché si avesse una storia<br />

comunque», «Purché si avesse una storia squisita»), come se l’autore cercasse di<br />

riempire il vuoto dichiarato nel titolo attraverso l’eco delle sue parole, <strong>che</strong> stabiliscono<br />

un rapporto diretto tra io e natura («io veggente di colpo nella lenta schiarita») e poi tra<br />

natura e storia (l’«aria di pioggia» e la «lenta schiarita» da una parte, la «storia squisita<br />

tra le svasti<strong>che</strong>» dall’altra): il minimo fenomeno naturale (l’«aria di pioggia»), una vaga<br />

minaccia climatica, si trasforma successivamente in disastro storico e psicologico. In<br />

questo gioco di specchi e di contrari si inserisce an<strong>che</strong> la «ressa […] di margherite e<br />

ranuncoli»: i fiori rappresentano sia la possibilità di rigenerazione della natura, sia tutti<br />

quegli ideali e dolori, di cui la storia è piena e <strong>che</strong> sembrano per un attimo illuminare la<br />

realtà interiore. Margherite e ranuncoli non sono però lì a suggerire una possibile<br />

evasione verso uno sfondo ideale di campagna e di chiare, fres<strong>che</strong> e dolci acque: sono<br />

«là fuori», mentre il poeta si trova all’interno della casa vuota. In questa spazialità<br />

irrisolta, abbozzata nei termini estremi di esterno e interno, si concentra tutto il dolore<br />

esistenziale per la separazione, il disaccordo tra ciò <strong>che</strong> si è e la possibilità di un destino<br />

diverso (il «Si ravvivassero» dell’incipit, o il «Purché si avesse»).<br />

81 Così scrive Mengaldo in La spiaggia di Vittorio Sereni, in AA.VV., Come leggere la poesia italiana del<br />

Novecento, a cura di Stefano Carrai e Francesco Zambon, Milano, Neri Pozza, 1997, p. 90: «[…] si può dire <strong>che</strong><br />

viaggi e transiti (an<strong>che</strong> mentali) sono in Sereni di due tipi fondamentali: quello chiuso, <strong>che</strong> non muta la situazione di<br />

partenza o anzi ad essa torna dichiaratamente, formalizzandosi come “aggiramento” (termine ben sereniano) […] e<br />

quello aperto, <strong>che</strong> si risolve per modulazione verso altra tonalità, in un luogo <strong>che</strong> può negare quello di partenza».<br />

An<strong>che</strong> in questa poesia sembra potersi applicare l’osservazione di Mengaldo. Il poeta guarda all’esterno della casa<br />

vuota, ma se all’inizio scorgeva «margherite e ranuncoli», nel finale, «tornino o no sole e prato coperti», c’è il<br />

riconoscimento del «male» esistenziale.<br />

82 Vittorio Sereni, Esperienza della poesia, in Gli immediati dintorni, ora in La tentazione della prosa, cit., p. 29:<br />

«Se l’idea di poesia <strong>che</strong> ogni poeta porta con sé fosse raffigurabile in uno specchio, noi vedremmo quello specchio<br />

assumere di volta in volta tutti i colori possibili, riflettere non una immagine ma una battaglia di immagini».<br />

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