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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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tempo an<strong>che</strong> conoscenza in sé. Essa mostra la relazione tra le parti e delle parti col tutto,<br />

offre la possibilità di scorgere «contraddizioni e identità» (Sonetto dei sette cinesi, in<br />

L’ospite ingrato) <strong>che</strong> si oppongono al nulla. Questo rapporto straniato col reale rimanda<br />

al problema ontologico. Il pensiero del non-esistere può essere paradossalmente il punto<br />

di partenza per una poetica <strong>che</strong> lotta «in modi trasversali» 22 contro la tensione verso il<br />

nulla e il non-sense:<br />

Qui stiamo a udire la sentenza. E non<br />

ci sarà, lo sappiamo, una sentenza.<br />

A uno a uno siamo in noi giù volti.<br />

Quanto sei bella, giglio di Saron,<br />

Gerusalemme <strong>che</strong> ci avrai raccolti.<br />

Quanto lucente la tua inesistenza.<br />

(Franco Fortini, Per l’ultimo dell’anno 1975…, in Paesaggio con serpente)<br />

Come nota Luca Lenzini, «i versi fortiniani insistono sul separarsi, sullo straniarsi e<br />

allontanarsi dell’io, non sull’incontro o sulla sintonia tra esistenze distinte ma<br />

fraterne». 23 Tuttavia è dalla lontananza, dalla inesistenza <strong>che</strong> comprende e completa<br />

l’esistere, <strong>che</strong> il pensiero può diventare non solo presa di coscienza, ma an<strong>che</strong><br />

sovvertimento del vuoto, attraverso un rapporto profondo con la natura, prima della<br />

dissoluzione. La natura prova su di sé gli effetti della derealizzazione e conosce perciò<br />

una dimensione sfaccettata. An<strong>che</strong> in questo caso, sulla via indicata da Garboli, il<br />

confronto con Penna può chiarire la posizione di Fortini. In Penna la natura registra i<br />

movimenti emotivi dell’io e diventa il referente della sua diversità, oggettivazione<br />

dell’altro e dell’alterità, in contrasto con un mondo <strong>che</strong> dopo il fascismo stava<br />

conoscendo lo sviluppo economico e industriale. La dimensione poetica di Penna<br />

rimanda a una realtà preindustriale, fatta di stazioni, di strade sterrate e polverose, ma<br />

soprattutto di scogli e di mare, paesaggi <strong>che</strong> risentono della consistenza e del colore<br />

dell’aria, «filtrati dallo stato d’animo dell’io lirico» e delineati «tra percezioni oggettive<br />

e figurazioni fantasti<strong>che</strong>». 24 In Fortini la natura, sebbene mantenga i caratteri di alterità,<br />

convive con questo mondo, ne fa parte e allo stesso tempo tenta di sopravvivergli e di<br />

22 Romano Luperini, Il futuro di Fortini, cit., p. 73.<br />

23 Luca Lenzini, Il poeta di nome Fortini, cit., p. 185. An<strong>che</strong> secondo Enrico Testa la poesia di Fortini «riduce<br />

[…] ogni pretesa di onnicomprensiva risoluzione di quanto – ed è sempre di più – cade di là dai suoi confini; e adotta<br />

come prospettiva nei riguardi del reale e della sua assediante mole, quella della distanza» (Enrico Testa, Dopo la<br />

lirica. Poeti italiani 1960-2000, Torino, Einaudi, 2005, p. 78).<br />

24 Antonio Girardi, Cinque storie stilisti<strong>che</strong>. Saba, Penna, Bertolucci, Caproni, Sereni, cit., pp. 60-61.<br />

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