Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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Non c’è conflitto e non c’è fusione, perciò non c’è conoscenza: la relazione con<br />
l’altro da sé, con il suo mistero, è relazione con ciò <strong>che</strong>, in un mondo in cui c’è tutto,<br />
non c’è mai. Tuttavia, proprio tale imperfezione fa emergere la contraddizione di<br />
un’istanza a venire, in cui si riproduce la coppia tempo-atemporalità, <strong>che</strong> tende<br />
continuamente la poetica dell’autore perugino, «sviluppando le correlazioni della sfera<br />
intuitiva tra percezione, memoria e immaginazione»: 6 in quanto attesa di qualcosa <strong>che</strong><br />
non si realizza nel presente il desiderio sposta il suo oggetto in una dimensione <strong>che</strong> non<br />
è di questo mondo, <strong>che</strong> non appartiene alla storia e alla nostra società. In questo senso il<br />
rapporto con l’altro potrebbe essere considerato fallimentare. Lo è nella misura in cui si<br />
intenda l’eros come possessione e conoscenza, ma esso non è niente di tutto ciò. 7 Se<br />
Penna da un parte non ignora i tempi storici in cui vive, riservandogli spazio nei propri<br />
taccuini, 8 dall’altra ne coglie la non vitalità, quasi, potremmo dire, la non dignità<br />
poetica: l’eros è altra cosa, partecipa di una natura divina <strong>che</strong> non ha a <strong>che</strong> fare con le<br />
categorie umane. Se noi potessimo possedere e conoscere l’altro, non sarebbe più altro,<br />
non sarebbe più mistero, ossia oggetto del desiderio. Possedere e conoscere sono invece<br />
sinonimi e attributi del potere. L’eros di Penna è al di fuori della società ed è contro la<br />
storia, in quanto ne rifiuta le logi<strong>che</strong> più comuni: la sua relazione con l’altro si basa sul<br />
non riconoscimento di leggi e regole prestabilite. 9<br />
6 Ivi, p. 14.<br />
7 L’eros di Penna è rinuncia e speranza <strong>che</strong> si rinnova. Così Alfonso Berardinelli: «Non c’è altra legge <strong>che</strong> quella<br />
dettata dagli alti e bassi dell’energia erotica e vitale, con le sue ierofanie della pienezza e della perdita, della presenza<br />
e dell’abbandono. […] Penna è aiutato in questo dalla sua religione della fisicità. Il corpo e la vita del corpo sono<br />
tutto ciò <strong>che</strong> Penna conosce dell’anima e dello spirito. […] Il mondo sociale è percepibile, ci offre la forma fisica<br />
determinata dei nostri oggetti d’amore. Il mondo storico è invece solo pensabile: non attraverso la memoria <strong>che</strong> il<br />
corpo ha di se stesso nel tempo, ma attraverso la memoria morale e ideologica. A questo secondo sistema della<br />
coscienza e della memoria [...] Penna ha rinunciato» (Alfonso Berardinelli, Penna o l’altrove, in AA.VV., Sandro<br />
Penna. <strong>Una</strong> diversa modernità, a cura di Francesca Bernardini Napoletano, Roma, Edizioni Fahrenheit 451, 2000, p.<br />
21). 8 Su questo tema si possono dare due letture. <strong>Una</strong> è quella di Giacomo Debenedetti, Poesia italiana del<br />
Novecento, cit., p. 177: «Penna si mette fuori dalla storia, ignorandola. È an<strong>che</strong> lui un borghese, un piccolo borghese<br />
[…], ma vive e si regola, quindi si esprime poeticamente, come se fosse prosciolto, svincolato da qualsiasi classe<br />
sociale. Bisognerà spiegarci meglio: si vedrà <strong>che</strong> la giustificazione storica, l’esserci della storia, della poesia di Penna<br />
è tutto in quel come se. Anticipiamo la spiegazione, dicendo <strong>che</strong> quel come se, quel come essere fuori dalla storia, è<br />
già un prendere atto della storia, già un modo di esserne condizionato». L’altra lettura è quella di Daniela Mar<strong>che</strong>schi,<br />
Sandro Penna. Corpo, tempo e narratività, cit., pp. 18-21: «È chiaro <strong>che</strong> Debenedetti pensa alla storia come un<br />
assoluto, come STORIA in breve, sede esemplare dell’agire umano; e da questo ha in lui origine l’idea sia del<br />
cronachismo sia dell’evasività presunta di Penna: due facce della stessa medaglia, cioè quella dell’esclusiva<br />
concentrazione del poeta sui minimi e massimi accadimenti privati dell’esistenza. Ma questi non sono meno “storici”<br />
an<strong>che</strong> se appartengono alla cronaca biografica, non per nulla spunto della moderna storiografia. […] In realtà, i<br />
taccuini o i diari di Penna mostrano lacerti d’attenzione alle vicende stori<strong>che</strong> <strong>che</strong> smentiscono la presunta sottrazione<br />
del poeta alla storia: si pensi, in particolare, alle pagine in cui Penna racconta della ritirata tedesca da Roma, riportate<br />
da Elio Pecora nel suo volume biografico».<br />
9 Si legga Alfonso Berardinelli, Penna o l’altrove, in AA.VV., Sandro Penna. <strong>Una</strong> diversa modernità, cit., p. 19:<br />
«In ognuno dei suoi versi si celebra l’assenza e l’irrilevanza di una storia <strong>che</strong> viene allontanata e messa da parte con il<br />
gesto indifferente di chi sta guardando altrove. Sovrana è l’indifferenza di Penna alle vicende del mondo storico.<br />
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