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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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emotivo, un soprassalto o un trauma accentuato dal contrasto, <strong>che</strong> il lettore stesso<br />

percepisce, tra il presente e i fatti <strong>che</strong> la memoria involontaria fa riemergere. Il<br />

«bambinetto ebreo» è qui un duplicato della figlia di Sereni, uno dei tanti fantasmi <strong>che</strong><br />

abitano la sua mente. Il «gioco / del massacro» dal passato è giunto sino a noi e ha<br />

assunto una forma <strong>che</strong> lo dissimula. La memoria qui non è legata ad un paesaggio o ad<br />

un volto, è legata a un gesto senza storia, il gesto del sopruso e della violenza del più<br />

forte sul più debole: non si tratta del ricordo di una violenza passata, perché quel gesto<br />

apparentemente innocuo è lo stesso del passato <strong>che</strong> ritorna. Ma un passato <strong>che</strong> ritorna è<br />

un passato <strong>che</strong> non se n’è mai veramente andato: dopo il superamento<br />

dell’autobiografismo assistiamo all’abolizione della stessa memoria. Sembra ritornare la<br />

lezione fenomenologica di Merleau-Ponty, secondo cui «Percepire non è esperire una<br />

moltitudine di impressioni <strong>che</strong> condurrebbero con sé ricordi capaci di completarle.<br />

Bensì veder scaturire da una costellazione di dati un senso immanente, senza il quale<br />

nessun appello ai ricordi è possibile. Ricordare non è ricondurre sotto lo sguardo della<br />

coscienza un quadro del passato a sé stante, ma tuffarsi nell’orizzonte del passato e<br />

svilupparne a poco a poco le prospettive racchiuse finché le esperienze <strong>che</strong> esso<br />

riassume siano come vissute di nuovo al loro posto temporale. Percepire non è<br />

ricordare». 89<br />

L’intersezione dei piani già evocata per il Diario d’Algeria, l’idea della poesia come<br />

percezione della realtà, <strong>che</strong> abbiamo precedentemente messo in relazione con le<br />

riflessioni di Merleau-Ponty, richiamano la «costellazione carica di tensioni» di cui<br />

parla Benjamin: ora si può davvero realizzare un più compiuto concetto di storia, <strong>che</strong><br />

risente, forse, della lettura dello stesso Benjamin, secondo cui «Lo storicismo postula<br />

un’immagine “eterna” del passato, il materialista storico un’esperienza unica con<br />

esso». 90 Per questo Sereni non procede attraverso l’uso di un tempo passato, bensì<br />

attraverso un presente, reso fulminante dall’uso dell’avverbio «adesso» con funzione di<br />

deittico temporale, indicante un’azione durativa nel presente: «Vedo. Ma è l’angelo /<br />

nero dello sterminio / quello <strong>che</strong> adesso vedo». È l’immagine di una crisi, il lampo di<br />

una nevrosi installata nella coscienza. Il concetto di Jetztzeit (attualità), espresso da<br />

alludono alla sensazione <strong>che</strong> il presente, luogo a partire dal quale normalemente si forma l’idea di futuro, sia già<br />

passato».<br />

89 Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 58.<br />

90 Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia, in Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 84.<br />

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