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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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del segnato da Dio.<br />

Fra poco sarà buio, sarà l’urlío<br />

d’aria, dei cani alla catena e<br />

delle piccole fiere le veloci<br />

le disperate imprese.<br />

Ma prima di rispondere di no,<br />

ecco, guardiamo ancora, vi prego, i prati<br />

dove in pianto eravamo passati,<br />

le vigne e di alti nidi immenso l’albero!<br />

E fedeli chiediamo di portare<br />

un’altra volta ancora<br />

ai mormorii della fedele mezzanotte<br />

l’intelletto delle erbe e il nostro.<br />

(Franco Fortini, Qualcuno è fermo…, in Composita solvantur)<br />

Nella prima strofa al tempo presente si alterna il passato, il momento del ricordo viene<br />

introdotto da tre punti di sospensione esattamente a metà strofa, come se le due parti<br />

fossero speculari, come se nella prima un io già postumo osservasse una scena <strong>che</strong> ha a<br />

<strong>che</strong> fare con la propria esperienza passata e riconoscesse in questa i segni di<br />

un’esistenza comune. Presente e passato si confrontano sul terreno della negatività, <strong>che</strong><br />

sembra assumere tratti simili al décor dei versi dell’ultimo Caproni: il «paese chiuso /<br />

dove non c’era anima viva» potrebbe essere scambiato per uno dei «luoghi non<br />

giurisdizionali» menzionati nell’Ultimo borgo del Franco cacciatore, <strong>che</strong> prefigurano<br />

un paesaggio di morte o <strong>che</strong> sono già morte calata nella vita. Tuttavia, la seconda strofa<br />

reagisce a questa situazione di stallo quasi con un sobbalzo, uno scotimento: mentre<br />

nella prima il passaggio dal presente al passato avveniva con la sospensione creata dai<br />

tre punti, ora lo stacco è netto, il balzo nel futuro è evidenziato graficamente dallo<br />

spazio bianco, <strong>che</strong> implica un momento di rottura con cui il futuro si inserisce<br />

bruscamente nella dinamica temporale del testo. Il verbo al futuro preannuncia segni di<br />

morte e sofferenza («Fra poco sarà buio, sarà l’urlío»), le immagini evocano scene di<br />

violenza (il vento, il latrato «dei cani alla catena» le «disperate imprese» delle «piccole<br />

fiere»): è un mondo sconvolto da una bufera notturna, quasi una «bufera infernale <strong>che</strong><br />

mai non resta». An<strong>che</strong> questa seconda strofa è mossa da una dinamica interna articolata<br />

in una struttura ben precisa, <strong>che</strong> può essere scomposta in tre scene, ognuna di quattro<br />

versi. Della prima si è già detto. Ad essa fa seguito una avversativa («Ma prima di<br />

rispondere di no, / ecco, guardiamo ancora, vi prego, i prati»), <strong>che</strong> sposta il discorso al<br />

presente e mette al centro della scena (ma di fatto dell’intera strofa) il «guardiamo<br />

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