Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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originario rappresentato dalla natura. Sarà un confuso sogno, saranno finzioni, sempre al<br />
limite, alla frontiera tra al di qua e al di là di questo muro, tuttavia la parola non<br />
rinuncia al rapporto con le cose, e continua a percorrere la strada della dicibilità del<br />
mondo, pur percependo l’illusione <strong>che</strong> si cela dietro di essa e dietro l’istanza stessa del<br />
soggetto:<br />
Credo <strong>che</strong> sia la disperazione ad essere “fredda”: ma non una<br />
disperazione patetica, bensì l’azzeramento consapevole delle speranze, <strong>che</strong> è<br />
proprio dello stoico. Lo sfacelo della storia <strong>che</strong> abbiamo vissuto non ammette<br />
riscatti di illusione, né la poesia è un rifugio o un’isola felice: anzi, è lo<br />
strumento forse più acuminato per esprimere un vuoto <strong>che</strong> non può certo<br />
essere colmato da istituzioni fatiscenti e artificiose. 41<br />
Se tra gli anni Trenta e Cinquanta il sentimento del tempo prevalente è quello della<br />
precarietà e dell’inafferrabilità, nelle raccolte successive si apre lo spazio per una<br />
riflessione più articolata sul concetto stesso di tempo, <strong>che</strong> viene percepito come vuoto,<br />
nulla, separazione, congedo, ma an<strong>che</strong> come un ente dinamico carico di potenzialità. Sin<br />
dalle sue prime prove Fortini pone i confini di quella <strong>che</strong> Marco Forti chiama<br />
«surrealtà», una tensione della parola poetica a forzare la realtà per non esserne<br />
subordinata, perché an<strong>che</strong> sul più «distrutto destino» si proietti la speranza nel futuro, e<br />
quanto più la parola poetica è espulsa, esclusa dal presente, tanto più la ricerca di valori<br />
condivisi si situi nel “non ancora”, nel “dopo” di una distanza non misurabile ma<br />
percepita come possibile destino collettivo. Nonostante ciò (ma an<strong>che</strong> in ragione di ciò)<br />
il presente non viene sacrificato al futuro, ad una progettualità sterile <strong>che</strong> impedisca di<br />
vivere pienamente la propria epoca, piuttosto è nel presente <strong>che</strong> vanno individuate le<br />
responsabilità, le colpe e, di conseguenza, la necessità di un impegno etico costante, non<br />
rinviabile. La speranza di un rivolgimento finale, forse solo postumo, di un agire<br />
culturale <strong>che</strong> si pone sempre “al di là”, deve confrontarsi in qualunque epoca con la<br />
realtà:<br />
la finzione è l’ultima speranza.<br />
[…]<br />
La storia – torni a spiegargli – è tutta la realtà.<br />
E invece non è vero.<br />
(Franco Fortini, La realtà, in L’ospite ingrato secondo)<br />
41 Giorgio Caproni, «Credo in un dio serpente», intervista rilasciata a Stefano Giovanardi, «la Repubblica», 5<br />
gennaio 1984 (poi in «Galleria», XL, 2, maggio-agosto 1990, pp. 425-428).<br />
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