Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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logico alla confusione, e fa della sua capacità di pensiero un mare impraticabile e<br />
infido», 14 allontanandosi decisamente da ogni forma di immediatezza. Il <strong>lingua</strong>ggio<br />
poetico di Fortini si articola in uno «stile da traduzione», 15 ovvero si fa trascrizione di<br />
un testo preesistente (la realtà come insieme di segni), <strong>che</strong> viene sottoposto ad una<br />
attività critica e analitica. 16 Anzitutto egli procede verso la «derealizzazione», 17 ovvero<br />
«una condizione di straniamento rispetto al reale», come spiega Lenzini, <strong>che</strong> evidenzia<br />
«la crisi del rapporto io/mondo: lo spogliarsi di senso del mondo di fronte all’io»: 18<br />
Molto chiare si vedono le cose.<br />
Puoi contare ogni foglia dei platani.<br />
Lungo il parco di settembre<br />
l’autobus già ne porta via qualcuna.<br />
Ad uno ad uno tornano gli ultimi mesi,<br />
il lavoro imperfetto e l’ansia<br />
le mattine, le attese e le piogge.<br />
Lo sguardo è là ma non vede una storia<br />
di sé o di altri. Non sa più chi sia<br />
l’ostinato <strong>che</strong> a notte annera carte<br />
coi segni di una <strong>lingua</strong> non più sua<br />
e replica il suo errore.<br />
(Franco Fortini, Molto chiare…, in Paesaggio con serpente)<br />
In contrasto con quanto annunciato nella prima strofa, nella seconda emerge l’estraneità<br />
tra l’io e il mondo, separati da uno sguardo, <strong>che</strong> «non vede una storia / di sé o di altri»,<br />
poiché il presente sembra composto di eventi sempre uguali («Ad uno ad uno tornano<br />
gli ultimi mesi»). Questa condizione annichilente si riflette nella scrittura <strong>che</strong> diventa<br />
un’attività notturna e confusa. L’io si trova ad utilizzare «una <strong>lingua</strong> non più sua»,<br />
quindi una <strong>lingua</strong> straniera, una <strong>lingua</strong> altra, approdando così all’unica vera forma di<br />
scrittura, <strong>che</strong> dichiara l’errore di chi crede <strong>che</strong> le cose si vedano chiaramente e <strong>che</strong> siano<br />
14<br />
Cesare Garboli, Le poesie parallele, in AA.VV., Per Franco Fortini. Contributi e testimonianze sulla sua<br />
poesia, cit., p. 83.<br />
15<br />
Franco Fortini, Foglio di via. Prefazione 1967, ora in <strong>Una</strong> volta per sempre. Poesie 1938-1973, cit., p. 359.<br />
16<br />
Cfr. Giovanni Raboni, Qual<strong>che</strong> ipotesi su Fortini traduttore di poesia, «Allegoria», 21-22, anno VIII, 1996, p.<br />
177: «Se è vero […] <strong>che</strong> per Fortini il testo originale è un oggetto <strong>che</strong> chiede di essere conosciuto criticamente prima<br />
– oppure nell’atto stesso – di descriverlo o ritrarlo con altre parole, è altrettanto vero <strong>che</strong> una priorità analoga si<br />
manifesta e agisce, di regola, nel suo lavoro poetico in prima persona, dove le parti di realtà coinvolte nella singola<br />
metafora o nell’intera struttura vengono idealmente e tendenzialmente sottoposte, prima <strong>che</strong> il coinvolgimento abbia<br />
(possa avere) luogo, a un non meno approfondito e, se così si può dire, spietato trattamento analitico-conoscitivo». Si<br />
legga an<strong>che</strong> quanto scrive lo stesso Fortini a proposito della sua traduzione del Faust: «Non mi sono proposto una<br />
traduzione <strong>che</strong> avesse vita indipendente dall’originale. Ho voluto <strong>che</strong> il lettore avvertisse il rinvio continuo ad un<br />
testo anteriore, il sapore di traduzione, il suo farsi» (Franco Fortini, Introduzione a J. W. Goethe, Faust, introduzione,<br />
traduzione con testo a fronte e note a cura di Franco Fortini, Milano, Mondadori, «i Meridiani», 1970, p. XII).<br />
17<br />
Franco Fortini, Metrica e biografia, «Quaderni piacentini», 2, XX, 1981, p. 111.<br />
18<br />
Luca Lenzini, Il poeta di nome Fortini. Saggi e proposte di lettura, Lecce, Piero Manni, 1999, p. 62.<br />
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