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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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non poter appartenere a nessun futuro e la sospensione canicolare del presente, Sereni<br />

determina una visione del tempo in cui la linearità, espressa attraverso le date <strong>che</strong> si<br />

succedono, convive simultaneamente con i ritorni e le reiterazioni, per cui il tempo si<br />

definisce come qualcosa <strong>che</strong> ci si porta dentro, in cui la storia si confonde con i<br />

movimenti distruttivi della contemporaneità e l’una e gli altri si annullano.<br />

Dal canto suo Fortini reagisce ad una dimensione senza scampo, sviluppando un<br />

rapporto tra passato e futuro <strong>che</strong> libera dalla fissità del presente:<br />

I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari.<br />

La sola cosa <strong>che</strong> importa è<br />

il movimento reale <strong>che</strong> abolisce<br />

lo stato di cose presente.<br />

Tutto è diventato gravemente oscuro.<br />

Nulla <strong>che</strong> prima non sia perduto ci serve.<br />

La verità cade fuori dalla coscienza.<br />

Non sapremo mai se avremo avuto ragione.<br />

Ma guarda come già stendono le loro stuoie<br />

attraverso la tua stanza.<br />

Come distribuiscono le loro masserizie,<br />

come spartiscono il loro bene, come<br />

fra poco mangeranno la nostra verità!<br />

Di noi spiriti curiosi in ascolto<br />

prima del sonno parleranno.<br />

(Franco Fortini, Gli ospiti, in Questo muro)<br />

Il testo oppone «il movimento reale» allo «stato di cose presente», ad una verità <strong>che</strong><br />

«cade fuori della coscienza» si sostituisce l’osservazione diretta dei gesti degli ospiti,<br />

<strong>che</strong> «mangeranno la nostra verità». Fortini sembra proporre una prospettiva ben diversa<br />

rispetto a quella di Sereni: 38 quest’ultimo conclude La spiaggia con un vago<br />

«parleranno», <strong>che</strong> lascia aperto lo spazio del dubbio e dell’incertezza conoscitiva (di<br />

cosa parleranno? Di chi? Quale conoscenza o quale verità si esprimerà in quelle<br />

parole?), mentre Fortini dice chiaramente «Di noi […] parleranno», indicando in tal<br />

modo la resistenza di una parola <strong>che</strong> sopravvivrà al destino di morte, definendosi come<br />

eredità trasmissibile ai posteri. 39 In Sereni prevale un clima di attesa, in Fortini il tono si<br />

38 Così Pier Vincenzo Mengaldo, Per Franco Fortini, in La tradizione del Novecento. Quarta serie, cit., p. 308:<br />

«Fortini mira precisamente a correggere l’ottica nichilista di Sereni in nome della speranza storica: il superamento di<br />

noi da parte dei venturi non ci annulla e condanna e basta, ma an<strong>che</strong> ci adempie».<br />

39 Si legga an<strong>che</strong> quanto scrive Roberto Galaverni, Il poeta è un cavaliere Jedi. <strong>Una</strong> difesa della poesia, cit., p.<br />

84: «an<strong>che</strong> qui la forza della poesia è inseparabile dalla sua invalidità presente, dalla misura in apparenza circoscritta<br />

e diminuita dello sguardo del poeta. Il presente è non a caso la categoria temporale più debole in Fortini, in quanto in<br />

termini di pienezza e vera realtà il presente non è. Non è abbastanza, almeno. L’immobilità e la finitudine<br />

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