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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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2.3.<br />

GIORGIO CAPRONI:<br />

LA «PENA DEL FUTURO»<br />

Il pensiero del disastro attraversa come un fiume carsico l’opera di Giorgio Caproni,<br />

per affiorare secondo due direttive complementari: da una parte le poesie sono le<br />

macerie di un day after tanto grottesco quanto politicamente attuale, sono i prodotti<br />

residuali di un’apocalisse <strong>che</strong> non ammette palingenesi; dall’altra sono esse stesse lo<br />

strumento e l’origine della fine del mondo, percorrono «l’orlo del disastro», per dirla<br />

con Blanchot, in un instabile equilibrio tra ciò <strong>che</strong> è già avvenuto e ciò <strong>che</strong> deve ancora<br />

accadere:<br />

Noi siamo sull’orlo del disastro senza <strong>che</strong> lo si possa situare<br />

nell’avvenire: esso è piuttosto sempre già passato, e tuttavia ne siamo<br />

sull’orlo e sotto la minaccia, espressioni, queste, <strong>che</strong> impli<strong>che</strong>rebbero tutte<br />

l’avvenire se il disastro non fosse ciò <strong>che</strong> non viene. 1<br />

A partire dal Muro della terra e attraverso versi scabri ed essenziali tale pensiero dà<br />

forma a scenari di frontiera, a non-luoghi di perdizione e transito <strong>che</strong> tracciano i<br />

contorni di una «guerra / d’unghie» (Anch’io) condotta con la «coscienza del carattere<br />

erosivo del segno». 2 L’io è una presenza ambigua, <strong>che</strong> assume le forme più disparate e<br />

scava dentro di sé rinvenendo quegli oggetti destinati a diventare concretizzazioni della<br />

propria condizione esistenziale:<br />

Sono tornato là<br />

dove non ero mai stato.<br />

Nulla, da come non fu, è mutato.<br />

Sul tavolo (sull’incerato<br />

a quadretti) ammezzato<br />

ho ritrovato il bicchiere<br />

mai riempito. Tutto<br />

è ancora rimasto quale<br />

mai l’avevo lasciato.<br />

77<br />

(Ritorno, in Il muro della terra)<br />

1 Maurice Blanchot, La scrittura del disastro, Milano, SE, 1990, p. 11, e prosegue «Non sarai tu a parlare; lascia<br />

parlare in te il disastro, non importa se attraverso l’oblio o il silenzio» e poi ancora «Altri si rapporta a me come se io<br />

fossi l’Altro e mi fa allora uscire dalla mia identità, opprimendomi sino all’annientamento, allontanandomi, sotto la<br />

pressione di un’infinita prossimità, dal privilegio di essere in prima persona».<br />

2 Enrico Testa, Per interposta persona. Lingua e poesia nel secondo Novecento, Roma, Bulzoni, 1999, p. 79.

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