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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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In Ritorno il deittico “là” introduce la disarticolazione logico-spaziale di un io al quale<br />

non preesiste un passato o un luogo della memoria e di conseguenza è negata la<br />

salvezza del poter dire razionalmente la realtà. La poesia non può essere veggenza, ma<br />

solo rivelazione dell’evidenza negativa: il «bicchiere / mai riempito» è figura di quel<br />

vuoto <strong>che</strong> assedia la storia e <strong>che</strong> conduce all’annullamento di sé. Senza un diaframma<br />

tra lo sguardo e l’invenzione (finzione) poetica, tutto partecipa di una vita psichica <strong>che</strong><br />

ne potenzia il significato in una dimensione surreale e metafisica. 3 Il disastro è allora<br />

qualcosa <strong>che</strong> è già stato e <strong>che</strong> si ripete attraverso il nonsense di affermazioni e<br />

negazioni. Il nostos si capovolge nel suo contrario e gli oggetti simultaneamente reali e<br />

irreali annullano la visione del presente in uno sguardo <strong>che</strong> viene meno, in un<br />

mancamento su cui si proietta un futuro di macerie: 4<br />

Resteremo in pochi.<br />

Raccatteremo le pietre<br />

e ricominceremo.<br />

A voi,<br />

portare ora a finimento<br />

distruzione e abominio.<br />

Saremo nuovi.<br />

Non saremo noi.<br />

Saremo altri, e punto<br />

per punto riedifi<strong>che</strong>remo<br />

il guasto <strong>che</strong> ora imputiamo a voi.<br />

(Palingenesi, in Il franco cacciatore)<br />

La poesia di Caproni tende a ridurre il proprio peso moltiplicandosi in testi brevi,<br />

risolti in uno scatto, in un effetto paradossale o in una corsa verso la fine, come se ci<br />

permettesse di mettere un piede dentro all’anticamera dell’apocalisse:<br />

le bian<strong>che</strong> figure vane<br />

<strong>che</strong> vanno…<br />

… le articolazioni<br />

morte del loro passo…<br />

… È certo<br />

Inseguendo<br />

3<br />

Cfr. Giacinto Spagnoletti, Il cammino di Caproni, in Poesia italiana contemporanea, Milano, Spirali, 2003, pp.<br />

363-364.<br />

4<br />

Così EnricoTesta, Per interposta persona, cit., p. 81: «l’infinita ripetizione dell’uguale, <strong>che</strong>, se ridà vita a chi<br />

insegue la parola per proferirla, lo fa solo per avvolgerlo nuovamente nel suo vuoto».<br />

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