Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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Il tempo presente è però teso tra l’evento e la sua memoria, sospeso tra apparizioni e<br />
sparizioni <strong>che</strong> fanno già presagire le più tarde «asparizioni» del Conte di Kevenhüller. Il<br />
presente è già passato e il passato è ancora un po’ presente: 43<br />
Finita<br />
la leggera canzone,<br />
mentre senza un saluto,<br />
senza un cenno d’addio<br />
mi muore il giorno, e anch’io<br />
dentro il cuore m’abbuio,<br />
te ne sei andata, e il buio<br />
di te più non s’adorna<br />
(Giorgio Caproni, Mentre senza un saluto, in Finzioni)<br />
Estrema rarefazione e precarietà di una poesia <strong>che</strong> «deve sfiorare la realtà senza<br />
rappresentarla», 44 in cui il presente verbale toglie ai testi il peso del passato (e dunque<br />
della storia) o quello dell’attesa del futuro (il male della guerra, le cui nubi si addensano<br />
all’orizzonte), rendendoli estranei ad una «presa troppo umana». 45 È tuttavia ineluttabile<br />
il confronto più diretto con la morte, di cui l’addio e il buio diventano segni distintivi.<br />
Viene chiamato in causa Penna, come accade in un testo degli anni Cinquanta:<br />
Il rumore dell’alba com’è forte!<br />
Ma Penna dice altrimenti, e s’esprime<br />
più piano, senza il vento della morte<br />
<strong>che</strong> invece scuote certune mie rime.<br />
(Giorgio Caproni, Il rumore dell’alba com’è forte!, in Poesie disperse)<br />
In Penna il buio è una «variante oraria del tempo meteorologico», 46 e la morte, quando è<br />
presente, è per lo più uno stato d’animo, un’«ansia» <strong>che</strong>, senza apparente spiegazione,<br />
«i ridenti occhi / già turba / al fanciullo» amico del poeta (Cimitero di campagna).<br />
«Penna è insensibile alla Storia come evoluzione o processo» 47 e quando la presenza<br />
della morte si fa più evidente, essa viene esorcizzata attraverso la resurrezione offerta<br />
dalla ripetizione infinita delle cose:<br />
43<br />
Così Silvio Ramat: «[Caproni] è il poeta, non dimentichiamolo, della condensazione della storia in un sol punto<br />
– il presente – , e quindi del tradimento della legge diacronica. […] (Tra parentesi, saranno proprio i dati della storia<br />
esterna, più tardi – fra il ’43 e il ’47, nella serie Gli anni tedeschi –, a rappresentare in Caproni questo emergere in<br />
icona del male, questo suo tetro scatto, appunto, da latenza a evidenza.)» (Silvio Ramat, Storia della poesia italiana<br />
del Novecento, cit., p. 337).<br />
44<br />
Gaetano Mariani, Primo tempo di Giorgio Caproni, in AA.VV., Genova a Giorgio Caproni, cit., p. 12.<br />
45<br />
Ivi, p. 20.<br />
46<br />
Cesare Garboli, Penna, Montale e il desiderio, cit., p. 54.<br />
47<br />
Remo Pagnanelli, Studi critici. Poesia e poeti italiani del secondo Novecento, a cura di Daniela Mar<strong>che</strong>schi,<br />
Milano, Mursia, 1991, p. 12.<br />
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