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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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fondamentale della poetica fortiniana nell’«ascensionalità», 3 ma egli, a differenza di<br />

quest’ultimo, non scorge nella morte un’ottimistica prospettiva di futuro: il presente per<br />

Sereni «è sentito come ripetizione e commemorazione del passato», 4 e lo slancio verso<br />

l’oltre della poesia avviene nell’estrema difficoltà e problematicità esistenziali di chi<br />

non scorge una meta sicura, pur continuando a cercare «un’altra possibilità di vita, un<br />

altro poter essere sul quale fondare il progettare, caratteristica dell’essere umano». 5 In<br />

Fortini, invece, c’è il senso di una «attesa di morte <strong>che</strong> tuttavia è an<strong>che</strong> proiezione nel<br />

futuro, un futuro <strong>che</strong> può collegarsi al passato, non solo personale, e inverarne, sia pure<br />

tragicamente, la “speranza”». 6 La possibilità di un avvenire convive con qualcosa di<br />

tragico, per cui l’al di là non si sviluppa positivisticamente come necessaria<br />

continuazione del presente, ma si configura come rottura del sistema individuale e<br />

sociale, e l’altra verità sorge dalle scorie di una realtà sofferente.<br />

Le due strade sono complementari: «in Sereni l’auto-distruzione è totale, non<br />

dialettica», c’è un’assolutezza psicologica <strong>che</strong> neutralizza la prospettiva del domani in<br />

una serie di «illusioni volontarie e nean<strong>che</strong> troppo credute», 7 mentre quella di Fortini «è<br />

una distruzione <strong>che</strong> conserva» 8 e <strong>che</strong> si proietta in una prospettiva <strong>che</strong> fa rientrare il<br />

futuro in un meccanismo di morte-rigenerazione, in cui si può realizzare la rivoluzione,<br />

cioè il cambiamento:<br />

Come ci siamo allontanati.<br />

Che cosa tetra e bella.<br />

<strong>Una</strong> volta mi dicesti <strong>che</strong> ero un destino.<br />

Ma siamo due destini.<br />

Uno condanna l’altro.<br />

Uno giustifica l’altro.<br />

Ma chi sarà a condannare<br />

o a giustificare<br />

noi due?<br />

(Franco Fortini, A Vittorio Sereni, in Questo muro)<br />

3 Vittorio Sereni, Un destino, in AA.VV., Per Franco Fortini. Contributi e testimonianze sulla sua poesia, cit., p.<br />

167.<br />

4 Pier Vincenzo Mengaldo, Divagazioni in forma di lettera, in AA.VV., Per Franco Fortini. Contributi e<br />

testimonianze sulla sua poesia, cit., p. 138.<br />

5 Giuliano Ladolfi, Vittorio Sereni. Il “prigioniero”, cit., p. 14.<br />

6 Pier Vincenzo Mengaldo, Divagazioni in forma di lettera, in AA.VV., Per Franco Fortini. Contributi e<br />

testimonianze sulla sua poesia, cit., p. 138.<br />

7 Franco Fortini, Ancora per Vittorio Sereni, in Nuovi saggi italiani, cit., p. 206. E aggiunge: «An<strong>che</strong> da questo<br />

punto di vista è notevole l’assenza, in Sereni, di tracce visibili di Marx e di Freud e di qualsiasi eredità cristiana. […]<br />

Mi chiedo se i suoi così insistiti processi di iterazione e di specularità,ossia di duplicazione dell’io, non siano il<br />

correlativo retorico di una dimensione temporale sentita e vissuta sempre più come circolare. Il “rimando” rende<br />

“perfetto il cerchio”, non c’è più differenza vera fra lo jeri e il domani».<br />

8 Pier Vincenzo Mengaldo, Divagazioni in forma di lettera, in AA.VV., Per Franco Fortini. Contributi e<br />

testimonianze sulla sua poesia, cit., p. 148.<br />

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