Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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affidata la traduzione dell’inquietudine: «Dunque ti prego non voltarti amore / e tu resta<br />
a difenderci amicizia», ma amore e amicizia sono già abbandono, mentre dal passato<br />
emergono presenze non ben identificate, volti tra i quali l’io riconosce an<strong>che</strong> se stesso,<br />
con un gioco di specchi <strong>che</strong> lascia filtrare nel discorso poetico una prospettiva falsata e<br />
ambigua. Il rimanere abbarbicato ai segni del passato e del presente, non produce le<br />
allegorie cari<strong>che</strong> di promesse <strong>che</strong> troviamo in Fortini, ma permette di scovare gli angoli<br />
in cui ancora si arrotola la vita. La precarietà dell’esistenza è declinata secondo la<br />
minima speranza <strong>che</strong> i piccoli eventi quotidiani e le cose della storia superino la fragilità<br />
dell’effimero attraverso la poesia, sino a giungere ad esiti se non universali (o generali,<br />
come per Fortini) almeno esistenziali. Qui amore e amicizia sono gli strumenti umani di<br />
cui l’autore si serve per ristabilire un legame concreto con le forze elementari <strong>che</strong> danno<br />
un senso alla vita e <strong>che</strong> sono già minacciate dal pericolo di scivolare nello squilibrio e<br />
nel vuoto degli anni lontani. Si fa evidente lo smarrimento dell’io di fronte a rapporti<br />
<strong>che</strong> anni dopo appaiono cambiati di senso, a causa dello stravolgimento sociale e<br />
ideologico <strong>che</strong> l’intellettuale sperimenta nella realtà industriale neocapitalistica. Se il<br />
passato è irrecuperabile, il percorso esistenziale si confronta con l’angoscia calma di<br />
«una pena senza pianto», 17 mentre la gioia appare «staccata da tutto», 18 insufficiente a<br />
proporsi come strumento utile ad una qualsiasi trasformazione sociale, in un mondo<br />
bruciato da una noia <strong>che</strong> lascia solo le ceneri della speranza:<br />
Che aspetto io qui girandomi per casa,<br />
<strong>che</strong> s’alzi un qual<strong>che</strong> vento<br />
di novità a muovermi la penna<br />
e m’apra a una speranza?<br />
Nasce invece una pena senza pianto<br />
né oggetto, <strong>che</strong> una luce<br />
per sé di verità da sé presume<br />
– e appena è un bianco giorno e mite di fine inverno.<br />
Che spero io più smarrito tra le cose.<br />
Troppe ceneri sparge attorno a sé la noia,<br />
la gioia quando c’è basta a sé sola.<br />
(Vittorio Sereni, Le ceneri, in Gli strumenti umani)<br />
17<br />
Altra variante, nello stesso giro d’anni, della «disperazione / calma, senza sgomento» (Congedo del viaggiatore<br />
cerimonioso) di Caproni.<br />
18<br />
Andrea Zanzotto, Per Vittorio Sereni, in Aure e disincanti nel Novecento letterario, cit., p. 52.<br />
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