Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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infinito, non aspira a negare la morte, anzi, nell’ossimoro «disgregata vivezza» si<br />
concentra tutto il senso: la materia si disgrega e si rigenera in continuazione e di questo<br />
ciclo entra a far parte an<strong>che</strong> l’uomo, <strong>che</strong> partecipa della stessa sostanza («diverremo<br />
realtà compatte leggere, arderemo»). 29 Nell’allegoria io e mondo sono interagenti, il<br />
destino individuale e quello generale possono essere compresi solo se considerati parte<br />
di uno stesso sistema. La parola è contemporaneamente elemento fisico e psicologico, é<br />
logos del libro della natura, <strong>che</strong> «tutta tramuterà questa sostanza», ma è an<strong>che</strong> la poesia,<br />
<strong>che</strong> cambia la sostanza del reale rendendolo interpretabile (è il senso primo<br />
dell’allegoria), è dunque la «sillaba luminosa» (in contrasto con la «<strong>lingua</strong> non più sua»<br />
di chi «annera carte»), in cui si rispecchia la molteplicità e la complementarità delle<br />
esistenze. 30 In Un’altra allegoria (Questo muro) si riprende l’idea del ciclo inesauribile,<br />
<strong>che</strong> lega il destino dell’uomo a quello della natura, nella doppia immagine del «ramo<br />
ebete già primaverile» e del «ramo, <strong>che</strong> morì». Lo snodo centrale della comprensione<br />
sta nel doppio movimento della mente <strong>che</strong> «nega e ragiona» per trovare la verità: il<br />
destino del ramo racchiude in sé il senso ultimo di tutte le cose, ovvero è figura della<br />
totalità a cui costantemente guarda il pensiero di Fortini. Il giovane ramo è ebete perché<br />
non è cosciente della relazione <strong>che</strong> lega il suo destino a quello del ramo morto, mentre<br />
quest’ultimo sa <strong>che</strong> «è un vivace saluto l’addio», perché c’è una continuità tra la sua<br />
morte e il nuovo ramo germogliato con la primavera. Ecco allora <strong>che</strong> Le piccole piante,<br />
le piante giovani (altra figura dell’erede, cioè del venturo), esprimo la consapevolezza<br />
<strong>che</strong> un tale sapere custodisce la salvezza; sapere e salvezza <strong>che</strong> si raggiungono solo «tra<br />
le carte», ossia nella poesia <strong>che</strong> ragiona dialetticamente per negazioni e<br />
contrapposizioni: solo considerando l’essenza generale mediata da una forma<br />
particolare si può cogliere il nesso tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.<br />
Nel pensiero <strong>che</strong> diventa parola ciò <strong>che</strong> è complesso si fa dicibile e rappresentabile<br />
attraverso forme semplici, il senso del mondo può schiudersi in una rosa, o in un ramo.<br />
Anziché assistere ad un moltiplicarsi degli emblemi della divisione e dell’annullamento<br />
di ogni rapporto positivo, Fortini guarda alla complementarità tra l’io e il mondo: l’uno<br />
29 Come ha scritto Lenzini «la poesia trova il suo senso nella fine, così come il “pezzo di legno” nel fuoco» (Luca<br />
Lenzini, Il poeta di nome Fortini. Saggi e proposte di lettura, cit., p. 113).<br />
30 E secondo Fortini bisognerà «evitare l’errore di credere in un perfezionamento illimitato; ossia di credere <strong>che</strong><br />
l’uomo possa uscire dai propri limiti biologici e temporali. […] Un al di là dell’uomo può essere solo un al di là<br />
dell’uomo presente, non quello della specie. […] Fino al punto di saper leggere e interpretare nel libro del nostro<br />
medesimo corpo tutto quel <strong>che</strong> gli uomini fecero e furono sotto la sovranità del tempo, le tracce del passaggio della<br />
specie umana sopra una terra <strong>che</strong> non lascerà traccia» (Franco Fortini, Non solo oggi. Cinquantanove voci, cit., p. 42).<br />
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