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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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perfetto, «rare se pur significative infiltrazioni» 54 di tante sue poesie, pongono tra<br />

soggetto e oggetto un «diaframma memoriale», col quale si rende maggiormente<br />

visibile e percepibile il «trionfo dell’immobilità e permanenza della Vita sulla<br />

mutevolezza della Storia»: 55<br />

Il mio Amore era nudo<br />

in riva di un mare sonoro.<br />

Gli stavamo d’accanto<br />

– favorevoli e calmi –<br />

io e il tempo.<br />

Poi lo rubò una casa.<br />

Me lo macchiò un inchiostro. Io resto<br />

in riva di un mare sonoro.<br />

(Sandro Penna, Il mio Amore era nudo, in Poesie)<br />

All’«astoricità di fondo […] dissolta fra intermittenza e ripetizione» 56 si deve l’alleanza<br />

tra l’io e il tempo «favorevoli e calmi», mentre in Caproni il tempo è «andato» e il<br />

giorno è «in così varie e tante / guerre, vinto oramai». Il tempo non è messo in<br />

discussione solo come categoria filosofica e metafisica, ma come sistema di gesti e<br />

segni linguistici. In Caproni la percezione del tempo come momento predispone il<br />

<strong>lingua</strong>ggio poetico ad una evoluzione di fronte all’invasione della storia e della guerra,<br />

<strong>che</strong> costringeranno ad una progressiva riduzione della parola poetica, fino all’estrema<br />

evidenza della rima come residuale veicolo di senso («La terra. / La guerra. // La sorte. /<br />

La morte», Fatalità della rima, in Res amissa). In Penna la poesia risponde ad un «désir<br />

d’intemporalité», <strong>che</strong> sviluppa la coscienza stessa del tempo nel pre-sentimento<br />

dell’eternità, per cui «la chose vue est dérobée à sa précarité». 57 Ne consegue <strong>che</strong> an<strong>che</strong><br />

il <strong>lingua</strong>ggio si sottrae alle precarietà alla quale lo costringerebbe il concepirlo in<br />

evoluzione. La <strong>lingua</strong> di Penna è la <strong>lingua</strong> di chi sa (si pensi all’incipit della sua prima<br />

poesia: «La vita… è ricordarsi di un risveglio») e, volendo andare contro, o oltre, la<br />

storia, finisce per fissarsi in un’essenziale sentenziosità lirica. È la <strong>lingua</strong> di chi parla e<br />

dice la gioia e la sofferenza della vita senza impaccio, arrivando a definire ciò <strong>che</strong> per<br />

lui è la cosa più importante, il cuore dove l’essere raggiunge il suo limite e il limite<br />

definisce l’essere, mettendolo in discussione:<br />

54<br />

Alessandro Duranti, Penna 1939: <strong>che</strong> cosa è la vita?, «Paragone», 444, febbraio 1987, p. 78.<br />

55<br />

Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, cit., p. 737.<br />

56<br />

Ivi, p. 735.<br />

57<br />

Bernard Simeone, Sandro Penna, le rapt immobile, cit., p. 82.<br />

56

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