Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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di separazione e d’esclusione, il lago della terra natale è figura della successiva «lacuna<br />
del cuore» (Ritorno, in Gli strumenti umani). Nella Livorno natale di Caproni c’è una<br />
spazialità assediata dal vuoto, <strong>che</strong> la morte della madre e la guerra, rievocate nel Seme<br />
del piangere, svuoteranno: «nel nome / vuoto <strong>che</strong> si perdeva / nel vento», Batteva; «mia<br />
lacerata / tenda volata via / col suo fuoco e il suo Dio», Bibbia; «Il vento… È rimasto il<br />
vento», Dopo la notizia. Tuttavia, la «nostalgia di lunghissimo esilio non è mai<br />
impotente desiderio d’evasione», 12 il sentimento di estraneità e lontananza da un<br />
presente nel quale non ci si riconosce più, paradossalmente, genera una poetica a stretto<br />
contatto col reale, pronta a mettere in discussione il ruolo stesso <strong>che</strong> la parola può<br />
svolgere nell’inesausto rapporto con le cose, senza eluderlo, senza una metafisica<br />
autoreferenziale, ma sempre con lo sguardo rivolto al valore comunicativo della<br />
scrittura, «in una tensione comune ad afferrare e “recensire” le contraddizioni della<br />
realtà, a registrare il peso del passato per affrontare il presente, testimoniare dello stato<br />
di crisi del soggetto». 13 Sembrano appropriate le parole di Ermanno Krumm, quando<br />
scrive <strong>che</strong> «più <strong>che</strong> di comunicazione si dovrebbe parlare di contagio: una volontà di<br />
comunicazione <strong>che</strong>, nell’età della crisi della rappresentazione, non può muovere verso<br />
un mondo di dicibilità spiegata». 14 A questo contagio si sottrae, ancora una volta, solo<br />
l’opera di Penna, <strong>che</strong> eleggendo il mondo dei fanciulli quale spazio e tempo della vita,<br />
contro la morte e il tema novecentesco del nulla, può continuare a parlare. Garboli lo ha<br />
affermato chiaramente, sottolineando, an<strong>che</strong> da questo punto di vista, la sua diversità:<br />
Penna è stato, in questo secolo, il solo poeta italiano <strong>che</strong> abbia parlato a<br />
gola spiegata, dicendo chiaramente chi era e cosa voleva, in contrasto con la<br />
grande e vincente formula montaliana di negatività, e quindi a prezzo di un<br />
continuo accento di sfida e di una terribile infrazione sistematica <strong>che</strong> sarebbe<br />
riduttivo limitare al tema omosessuale. Si potrebbe definire l’opera di Penna,<br />
con una formula, come una “riflessione sul desiderio”. 15<br />
Il contagio del reale genera questo desiderio di dire altro, di cogliere quegli aspetti della<br />
realtà <strong>che</strong> aprono spiragli alla speranza. La necessità di una comunicabilità poetica <strong>che</strong><br />
12<br />
Italo Calvino, Foglio di via di Franco Fortini, in «L’Unità», 14 luglio 1946, ora in Italo Calvino, Saggi, I, a<br />
cura di Mario Barenghi, Milano, Mondadori, «i Meridiani», p. 1057.<br />
13<br />
Fabio Moliterni, Poesia e pensiero nell’opera di Giorgio Caproni e di Vittorio Sereni, Lecce, Pensa<br />
MultiMedia, 2002, p. 23.<br />
14<br />
Ermanno Krumm, Lirica moderna e contemporanea, Firenze, La Nuova Italia, 1997, p. 117.<br />
15<br />
Cesare Garboli, Penna Papers, nuova edizione ampliata, Milano, Garzanti, 1996 (1ª ed. 1984), p. 108. E si<br />
legga, sempre di Garboli, Penna, Montale e il desiderio, Milano, Mondadori, 1996, pp. XXIV-XXV: «Al “minimo di<br />
tollerabilità del vivere”, […] Penna aveva risposto con un’elaborazione, se così si può dire, tutta personale del<br />
desiderio».<br />
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