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Iris di Kolibris

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Annelisa Alleva intervista Irina Mašinskaja<br />

Annelisa Alleva intervista Irina Mašinskaja<br />

lungo lungo è il cammino<br />

giù nel fondo del tuo petto<br />

da Poeti russi oggi (a cura <strong>di</strong> Annelisa Alleva, Milano, Libri<br />

Scheiwiller, 2008, Premio Lerici Pea).<br />

Presentazione <strong>di</strong> Irina Mašinskaja per l’antologia Poeti<br />

russi oggi<br />

“Sono nata all’inizio del <strong>di</strong>sgelo, un anno dopo il Festival<br />

della Gioventù, organizzato durante l’estate del 1957,<br />

quando, stando ai ricor<strong>di</strong> dei miei genitori, Mosca era stata<br />

conquistata da persone aperte, allegre, altre: gli stranieri,<br />

che l’avevano riempita per la prima volta dopo decenni <strong>di</strong><br />

cortina <strong>di</strong> ferro. E i film <strong>di</strong> quegli anni – ‘Pioggia <strong>di</strong> luglio’<br />

<strong>di</strong> Chuciev, per esempio – sono tuttora fra i miei preferiti.<br />

Ma per il primo settembre, quando stavo in fila nel<br />

cortile della scuola, era già tutto cambiato, era già iniziata<br />

e ben avviata la grande glaciazione. La segreta felicità<br />

della solitu<strong>di</strong>ne domestica era finita già due anni prima,<br />

spezzata dall’incubo dell’asilo. Adesso iniziava una cosa del<br />

tutto nuova, enigmatica, terribile. La mamma del mio futuro<br />

amico e compagno <strong>di</strong> classe Miša Šefer mi annodò con<br />

grande abilità i capelli con un fiocco non arancione, ma<br />

insolitamente bianco.<br />

La glaciazione andò avanti, avanti, e a un tratto s’interruppe.<br />

Allora, in quegli strani giorni del novembre 1982,<br />

quando le macchine suonavano smarrite e incattivite<br />

all’unisono, mentre il centro della città era surrealisticamente<br />

vuoto, io ero già dottoranda alla Facoltà <strong>di</strong> Geografia<br />

dell’Università <strong>di</strong> Mosca, che avevo finito poco tempo<br />

prima, e <strong>di</strong>videvo il mio tempo fra la Biblioteca Lenin e il<br />

cinema ‘Illusione’, che frequentavo con molto più zelo. Il<br />

gelo, una Mosca depressa, ci arrampichiamo su, lungo una<br />

collinetta, dalla Taganka, verso l’altura che si affaccia sulla<br />

riva Kotel’nikov – e eccoci in alto, <strong>di</strong> fronte ho l’amata<br />

Straniera (la Biblioteca della Letteratura Straniera), dove<br />

<strong>di</strong> Nabokov c’è, ahimé, solo il volume Gogol’ – e un po’<br />

ci <strong>di</strong>amo spintoni, un po’ ci aggiriamo davanti all’ingresso<br />

del minuscolo ‘Illusione’, nella speranza <strong>di</strong> procurarci un<br />

quasi impossibile biglietto in più. C’era per la verità un<br />

altro posto dove davano bei film: il club ‘Il tessitore rosso’,<br />

dove sulla neve calpestata aleggiava un odore allegro <strong>di</strong> caramellato,<br />

che arrivava da una fabbrica <strong>di</strong> dolci lì nei pressi.<br />

Nel momento in cui finii il dottorato, senza accertarmi<br />

fino in fondo se fosse o no veritiera la mia audace ricostruzione<br />

climatica dell’ultima interglaciazione olocenica,<br />

a Mosca iniziava un misterioso – <strong>di</strong>sgelo, forse, o magari,<br />

nuove brine: una sequela <strong>di</strong> governanti con le facce meste,<br />

una serie <strong>di</strong> nomine e <strong>di</strong> funerali – e io, <strong>di</strong>soccupata, ero in<br />

possesso <strong>di</strong> una laurea universitaria ‘rossa’ del tutto inutile,<br />

che dava un’idea geografica piuttosto solida della Terra, e <strong>di</strong><br />

una certa quantità <strong>di</strong> versi, che avevo scritto, più o meno<br />

seriamente, dall’età <strong>di</strong> 14 anni. Scrivevo lentamente e ra-<br />

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