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DISPENSE DI ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE II (nuovo ...

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Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiincondizionata ed indiscriminata, la tendenza ad operare attraverso divisioni o aziende di gruppi nei settoripiù disparati comincia(va) ad avvertire profondi segni di debolezza» (Della Corte, 1996, p. 117).Il problema che egli ha analizzato è quello tradizionale dei processi di decisione strategica: individuarele business unit in cui è opportuno continuare ad operare e quali dismettere, in base alla loro capacità dicreare o distruggere valore.Nel processo di continui disinvestimenti e ristrutturazioni però non bisogna arrestarsi all’analisi delcontesto e del mercato, bisogna anche cercare di individuare le core competence dell’impresa, svilupparle esfruttarle, perché è su queste che si basa il futuro vantaggio competitivo delle unità aziendali.Il frutto tangibile dell’attività aziendale e delle scelte strategiche ed operative del management sono iprodotti venduti sul mercato. Per comprendere le origini e fonti del vantaggio competitivo, è necessarioindividuare i core product (i prodotti base, da cui derivano quelli finali) e procedere a ritroso fino adidentificare quelle competenze che permettono di realizzarli. Fermare l’analisi a livello di SBU significaelaborare una strategia parziale e incompleta; il management deve essere capace di individuare, sviluppare e,eventualmente, modificare le core competence che stanno alla base delle strategie a livello di ASA.In ogni singola SBU potrebbero svilupparsi delle competenze distintive che rimangono però“intrappolate” all’interno della stessa, senza che le altre unità ne vengano a conoscenza. La condivisione ditali competenze aumenterebbe il successo complessivo dell’azienda superando i tradizionali limiti dellastruttura organizzativa multidivisionale.Nella maggior parte delle aziende, infatti, esistono delle procedure elaborate e ben articolate perl’allocazione del capitale tra le diverse business unit, ma non esistono meccanismi espliciti similari chegestiscano la “distribuzione” delle competenze (quindi di particolari persone, teams, ecc.) laddove esistano lemigliori opportunità di sfruttamento e di sviluppo.Risulta, così, importante la costruzione, da parte del management di un’architettura strategica, ossia diuna “mappa” che evidenzi le core competence da costruire, o quelle che l’azienda possiede già, e chesupportino il futuro successo della stessa.Partendo dall’analisi a livello delle singole SBU è necessario interrogarsi sulla propria capacità di esserecompetitivi e sviluppare, parallelamente, le proprie core competence. La coerenza del management, lacapacità di comunicare l’importanza dei valori e delle competenze da condividere, la diffusione di unacultura manageriale sono fattori che sviluppano all’interno dell’organizzazione la capacità di comunicare e dipensare in un’ottica di ampio respiro, riuscendo a condividere le competenze accumulate.4.8 Giapponesi e risorseSe si guarda indietro nel tempo fino agli anni ’70, si può notare che poche compagnie giapponesipossedevano risorse, volumi di produzione o tecnologie paragonabili a quelle delle imprese statunitensi oeuropee leader dei settori industriali.Komatsu aveva un fatturato inferiore al 35% di quello di Caterpillar, era scarsamente rappresentata fuoridal Giappone e realizzava un’unica linea produttiva (piccoli bulldozer). Honda aveva dimensioni inferioririspetto a American Motors e non aveva ancora cominciato ad esportare negli Stati Uniti. Canon apparivainfinitamente più piccola rispetto ad un colosso da quattro bilioni di dollari come era Xerox.Nel 1985 Komatsu era una compagnia da 2,8 bilioni di dollari in grado di collocare sul mercatoun’ampia tipologia di prodotti, tra cui mezzi di locomozione terrestri, robots industriali e semiconduttori. Nel1987, Honda produceva quasi tante macchine quante ne realizzava Chrysler. Canon aveva raggiunto la stessaquota di mercato, a livello globale, di Xerox.Se, poi, risulta semplice individuare imprese occidentali che hanno mantenuto la posizione leader delloro marchio, a livello globale, per trenta o quaranta anni (Heinz, Siemens, IBM, Ford e Kodak, solo per faredegli esempi), è, invece, difficile trovare un’impresa statunitense o europea che abbia creato un <strong>nuovo</strong>“brand globale” negli ultimi dieci o quindici anni. Le imprese giapponesi, al contrario, ne hanno realizzatidiversi (NEC, Fujitsu, Panasonic (Matsushita), Toshiba, Sony, Seiko, Epson, Canon, Minolta e Honda)(Hamel e Prahalad 1989, pp. 64-74).Durante i loro studi sulla competizione a livello globale, Prahalad e Hamel si sono resi conto che leaziende occidentali e quelle orientali operavano secondo due concezioni differenti di strategia competitiva.Pensando che comprendere le differenze tra i due approcci potesse fornire delle utili informazioni sullemodalità di conduzione e sull’esito delle battaglie competitive, decisero di stendere una “mappatura” deimodelli strategici impliciti utilizzati dal management delle imprese coinvolte nella loro ricerca.101

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