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DISPENSE DI ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE II (nuovo ...

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Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiSuccessivamente, si trova l’attività svolta dagli economisti industriali, che spostano l’attenzione verso larealtà operativa dei settori industriali, eleggendoli come oggetto del proprio studio, utilizzando, a tale scopo,un approccio fortemente empirico.Gli economisti industriali, distinti in strutturalisti, comportamentisti, e nuovi industrialisti giungono, iprimi con maggiore rigidità ed i secondi in modo più attenuato, a portare un contributo al concetto diconcorrenza sintetizzabile nel noto paradigma “struttura- condotta- performance”, che propongono qualeapparato teorico in grado di spiegare i fenomeni competitivi nelle differenti industrie. In particolare, essidefiniscono i primi fondamenti per un’analisi settoriale nelle sue determinanti strutturali, anche attraverso ladefinizione dei confini settoriali e l’identificazione della situazione competitiva.Tra questi economisti si diffonde per primo il così detto paradigma strutturalista. ha sviluppato l’idea diuna concorrenza potenziale. Bain, per primo, ha evidenziato che la politica di prezzi perseguita dalle impresein un contesto oligopolistico è condizionata, in una situazione di interdipendenza decisionale, daicomportamenti dei potenziali entranti. Da qui, il concetto delle “barriere all’entrata” entra a far parte delcorpus teorico dell’economia industriale, contribuendo all’elaborazione di un <strong>nuovo</strong> paradigma teoricodefinito “struttura- condotta- performance” (Bain, 1959). L’interpretazione strutturalista delle industrie chene deriva (Bain, 1959) si fonda su sole tre variabili: la concentrazione dei produttori, il grado didifferenziazione dei prodotti e le condizioni di entrata. Anche se, solo quest’ultima variabile rende evidentela distinzione nel legame concettuale di questa impostazione con quella neoclassica, i motivi di differenzasono molti (Ferrucci, 2000, p.22): tra questi, si consideri la visione attiva dello Stato nell’economia che sicostruisce con l’approccio teorico in questione (Machlup, 1952; Galbraith, 1968; Clark, 1940). Negli anni’70il paradigma strutturalista prende campo e viene recepito da tutta la manualistica (Scherer, 1970; Needham,1978; Hay, Morris, 1979; Jacquemin, De Long, 1977). La sua definitiva consolidazione si realizza, tral’altro, con un arricchimento sostanziale delle variabili costituenti la struttura del settore (ad esempio, ilmodello di Scherer, 1970 presenta un numero particolarmente elevato di variabili esplicative di una datastruttura, di una data condotta e di una data performance d’impresa e settoriale), per il miglior realismointerpretativo. Il <strong>nuovo</strong> paradigma consente anche di interpretare le differenze tra le imprese relativamentealle condotte strategiche, con riferimento al settore. Lo strutturalismo economico industriale appare tropporigido e determinista nel rapporto tra struttura del settore e comportamento delle imprese Infine, le azionistrategiche delle imprese risultano sempre decisivamente influenzate variabili esterne (progresso tecnologico,variazioni legislative, ecc.). In questo senso il paradigma strutturalista è ancora fortemente attaccato ad unoschema che vede l’impresa passiva rispetto ai fattori del cambiamento. Inoltre, come gli altri gli economistile dinamiche di impresa non vengono esaminate dell’interno. Nella sua formulazione ortodossa, infatti, ilparadigma strutturalista soffre di un eccessivo determinismo e di una rigidità causale che ne rendono difficilel’applicazione empirica rispetto alle imprese utilizzando solo i dati esogeni di settore: “se il comportamentoderiva dalla struttura e la performance deriva dal comportamento non ci sono spazi né per un comportamentoattivo dell’impresa, né essa ha margini di discrezionalità” (Podestà, 1988).Gli economisti industriali comportamentisti cominciano ad entrare nel merito delle logiche interne allasingola impresa. Tra questi bisogna ricordare il contributo di Porter, il cui apporto al concetto di concorrenzae di analisi competitiva è di portata rilevante. L’autore, prima di tutto, sposta l’oggetto di studio dal settoreall’impresa appartenente al settore ed acquisisce la finalità di fornire non più strumenti di politica economica,ma strumenti capaci di aiutare i decisori d’impresa a comprendere la concorrenza ed a formulare correttestrategie competitive. Il contributo di Porter alla definizione della concorrenza è rappresentatodall’elaborazione del concetto di gruppi strategici e di concorrenza allargata; contemporaneamente, glistrumenti connessi alle teorie presentate, ossia la mappa dei raggruppamenti strategici ed il modello dellecinque forze concorrenziali, evidenziano il contributo di tale autore all’analisi della concorrenza nellaprospettiva dei decision maker aziendali. Il limite più evidente di Porter è quello di essere ancora troppoinfluenzato da una logica strutturalista, che confina al grado d’attrattività del settore le condotte competitivedelle imprese.Nella tabella che segue è riepilogato il contributo degli economisti industriali tenendo presente che, perentrambi i filoni, il contributo all’analisi competitiva dal punto di vista del Decision Maker è ancora a livelloembrionale. Comunque si gettano i primi fondamenti per un interpretazione del contesto competitivo nellesue determinanti strutturali, nonché si procede a fornire una delimitazione dei confini settoriali.160

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