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N. 3 - 21 aprile 2001 - Giano Bifronte

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questo testo vengono menzionate sia la "vis viva" che la "vis mortua",<br />

la prima delle quali abbiamo già visto in cosa consistesse. La seconda<br />

non era niente altro che una sollecitazione istantanea, tanto che Leibniz<br />

stesso dice che la vis viva si ottiene per somma delle vires mortuae.<br />

Questo testo risulta interessante anche perché per la prima volta<br />

Leibniz, in una addizione probabilmente posteriore, dà una spiegazione<br />

meccanica di quello che potrebbe essere il meccanismo che genera la<br />

gravità. Vediamo di cosa si tratta. Un corpo che si trova ad orbitare<br />

nello spazio deve essere immerso in un fluido che rotea seguendo un<br />

moto vorticoso. Essendo questi due, l'etere ed il corpo, di materia<br />

solida, sono sottoposti al conato centrifugo. Se però il corpo, benché<br />

formato di materia più solida, fosse poroso, e quindi si trovasse a<br />

contenere un numero minore di particelle, allora subirà una<br />

sollecitazione da parte delle particelle dell'etere, poiché esse tendono a<br />

sostituirsi al corpo nel luogo più lontano dal centro del vortice. L'effetto<br />

generale sarà che il corpo solido viene spinto verso il centro del vortice<br />

stesso.<br />

Questi due scritti, di carattere generale, rimasero inediti, forse perché<br />

rientravano nel progetto più ampio della dinamica, che Leibniz contava<br />

di portare a compimento in seguito. Trovò invece la pubblicazione, nel<br />

gennaio del 1689, il breve saggio Schediasma de resistentia Medii. Un<br />

mese più tardi fu pubblicato il Tentamen de motuum coelestium causis,<br />

sempre negli Acta Eruditorum, che finalmente dava corpo alle<br />

convinzioni cosmologiche leibniziane.<br />

2. Il Tentamen<br />

Leibniz esordì con una diffusa introduzione su quello che dovrebbe<br />

essere il metodo di indagine nella filosofia naturale. Ciò che colpì<br />

maggiormente l'immaginario leibniziano fu quello che considerava un<br />

pericoloso rinascere di concezioni oramai obsolete e da tempo<br />

abbandonate. Questo era dunque il punto di partenza della critica<br />

leibniziana. Non si poteva ammettere che un fenomeno naturale non<br />

potesse essere spiegato in termini comprensibili ad un'intelletto umano;<br />

non è ammissibile supporre l'esistenza di una qualche forza d'attrazione<br />

tra le varie parti della materia. Per usare parole sue potremmo dire che<br />

"se si ammettono spiegazioni di questo tipo allora non ci si dovrebbe<br />

stupire se ogni filosofo introducesse una qualità opportuna per spiegare<br />

qualunque fenomeno".

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