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ERZA T PAGINA .<br />
PAGINA<br />
3 .<br />
Il volume «I diritti dell'uomo nell'insegnamento della Chiesa»<br />
Uno strumento essenziale<br />
per chi opera<br />
nella società d'oggi<br />
ANDREA RICCARDI<br />
Si scrive spesso di «politica» della<br />
Chiesa e si discute sui diversi atteggiamenti<br />
assunti dalla Santa Sede. Ma raramente<br />
si ha consapevolezza dello spessore<br />
ideale e culturale di questa «politica»:<br />
parte di questo spessore è fatto di riflessioni<br />
sulla condizione dell'uomo nella<br />
società contemporanea. Ora cogliere<br />
queste riflessioni rappresenta un'operazione<br />
importante da un punto di vista<br />
culturale e storico perché, senza riferirsi<br />
ai testi dell'insegnamento sociale della<br />
Chiesa, non si comprendono le scelte<br />
concrete, la sensibilità e l'azione di tanti<br />
singoli e di tante Chiese. Oggi, in maniera<br />
agevole, confortati da un accurato indice<br />
analitico, è possibile accostarsi all'insegnamento<br />
sui diritti umani grazie<br />
alla pubblicazione di una raccolta di testi<br />
del Magistero, I diritti dell'uomo nell'insegnamento<br />
della Chiesa. Da Giovanni<br />
XXIII a Giovanni Paolo II, curata<br />
con grande attenzione da Giorgio Filibeck,<br />
promossa dal Pontificio Consiglio<br />
della Giustizia e della Pace e pubblicata<br />
dalla Libreria Editrice Vaticana.<br />
Si tratta di quarant'anni di discorsi<br />
sui diritti dell'uomo dal 1958 al 1998, da<br />
Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II, dalla<br />
guerra fredda al postcomunismo. Ci<br />
si accorge di un Magistero attento alle<br />
vicende dell'uomo e della donna contemporanei<br />
proprio in tutte le sue articolazioni.<br />
Si potrebbe quasi comporre<br />
un «codice» con capitoli sul diritto alla<br />
vita, sulla tortura, sulla discriminazione,<br />
sulle libertà, sull'educazione, sul lavoro,<br />
sulle comunità religiose, sulle nazioni,<br />
sulle minoranze e tanto altre.<br />
Ma il modo complessivo di riflettere<br />
sui diritti dell'uomo sfugge la logica secca<br />
e giuridica, per esprimere grande<br />
sensibilità, un insieme di preoccupazioni,<br />
idee, suggerimenti per la grande avventura<br />
dell'umano in tutti luoghi del<br />
mondo: da quelli del dolore a quelli della<br />
responsabilità, da quelli pubblici a<br />
quelli privati come la famiglia.<br />
Scorrere queste pagine, tra testi dei<br />
Papi di natura più diversa, ci si trova<br />
come travolti da un fiume in piena, che<br />
manifesta l'interesse per le più disparate<br />
situazioni della vicenda contemporanea<br />
a partire dai crocevia della vita internazionale<br />
sino a situazioni più particolari,<br />
talvolta minori o dimenticate, ma rilevanti<br />
per la Chiesa.<br />
La raccolta — come rende ragione<br />
Giorgio Filibeck nella sua nota introduttiva<br />
— inizia con Giovanni XXIII perché<br />
è stato il primo Papa a fare riferimento<br />
alla Dichiarazione Universale dei Diritti<br />
dell'Uomo, adottata dalle Nazioni Unite<br />
alla fine del 1948. Si tratta di un discorso<br />
specifico sui diritti umani che manifesta<br />
interesse per l'uomo, per la singola<br />
persona, per le comunità, ma che ha<br />
origini ben più lontane e affonda nel<br />
messaggio evangelico. Si è a lungo discusso<br />
sul presunto ritardo della Chiesa<br />
in questo importante settore.<br />
A parte l'idea stessa del «ritardo», che<br />
lo storico non riesce bene a comprendere<br />
perché nessuno possiede l'orologio<br />
della storia, la Chiesa non ha fatto propria<br />
la prospettiva di un pensiero laico<br />
otto-novecentesco. Ha invece elaborato,<br />
prima in maniera più faticosa poi in modo<br />
sempre più largo, una propria via<br />
per discutere dei diritti umani e per parlarne<br />
non solo ai cristiani ma a tutta la<br />
società civile. Così concetti, problemi,<br />
soluzioni ricorrenti nei dibattiti contemporanei<br />
acquistano una nuova prospettiva<br />
e una luce differente nel Magistero<br />
della Chiesa. Lungo queste pagine si ritrovano<br />
dibattiti correnti, ma anche visioni<br />
e prospettive originali che sono<br />
quelle della Chiesa.<br />
Infatti il magistero «ha fatto ricorso<br />
— nota Filibeck — a un approccio nuovo,<br />
di tipi pastorale, per applicare principi<br />
antichi...». Paolo VI, nel discorso di<br />
chiusura del Concilio Vaticano II, ha<br />
espresso in maniera molto chiara questo<br />
approccio: «L'antica storia del Samaritano<br />
è stata il paradigma della spiritualità<br />
del Concilio. Una simpatia immensa lo<br />
ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni<br />
umani... ha assorbito l'attenzione<br />
del nostro Sinodo» — concludeva il Papa.<br />
Questa simpatia per l'umano, a partire<br />
dalla questione sociale, si è estesa<br />
nel Magistero lungo tutto il Novecento,<br />
toccando i più diversi settori della vita<br />
umana. È quella universalità di interesse<br />
che già Paolo VI esprimeva nell'Ecclesiam<br />
Suam, la sua enciclica programmatica<br />
del 1964 (e si tratta del primo<br />
documento citato nel volume in esame).<br />
Per la Chiesa — dice il Papa — «nessuno<br />
è estraneo al suo cuore. Nessuno è<br />
indifferente per il suo ministero. Nessuno<br />
le è nemico, che non voglia egli stesso<br />
esserlo. Non indarno si dice cattolica;<br />
non indarno è incaricata di promuovere<br />
nel mondo l'unità, l'amore, la pace».<br />
L'interesse per gli uomini e le donne va<br />
al di là dei confini della Chiesa cattolica<br />
e si rivolge a tutti, soprattutto ai più poveri<br />
e ai più deboli.<br />
Giovanni Paolo II, come dice lui stesso<br />
al congresso sulla pastorale dei diritti<br />
umani nel 1998, ha «dedicato una particolare<br />
attenzione alla salvaguardia e alla<br />
promozione della dignità della persona e<br />
dei suoi diritti, in tutte le fasi della sua<br />
vita e in ogni circostanza...». Lo ha fatto<br />
nel mondo diviso dalla guerra fredda,<br />
quando una parte di esso negava i fondamentali<br />
diritti della libertà. Ma il suo<br />
Magistero si è pure rivolto, prima e do-<br />
po l'89, al mondo delle democrazie, ricordando<br />
alcuni diritti umani, che vengono<br />
facilmente misconosciuti. In particolare<br />
gli anni di Giovanni Paolo II, attorno<br />
al Magistero di questo Papa, sono<br />
stati una stagione in cui la Chiesa ha difeso<br />
e ribadito con fermezza i diritti<br />
umani, ma ha anche vissuto un impegno<br />
pacifico, non violento, forte, per la<br />
loro difesa e per l'evoluzione di situazioni<br />
in cui essi erano conculcati.<br />
Nella seconda metà del Novecento, si<br />
esprime il profondo distacco della Chiesa<br />
dalla violenza di ogni tipo e dalle rivoluzioni.<br />
La sua esperienza storica le<br />
insegna che queste esperienze marcano<br />
in maniera negativa la vita dei popoli:<br />
«La Chiesa non può accettare la violenza,<br />
soprattutto la forza delle armi — incontrollabile<br />
quando si scatena — né la<br />
morte di chicchessia, come cammino di<br />
liberazione, perché sa che la violenza<br />
chiama sempre la violenza e genera irresistibilmente<br />
nuove forme di oppressione<br />
e di schiavitù più pesanti di quelle<br />
dalle quali essa pretendeva di liberare»<br />
— afferma Paolo VI nella Evangelii<br />
nuntiandi. Per questo la Chiesa ha sempre<br />
preferito la via delle transizioni pacifiche,<br />
dove la protesta civile, il negoziato,<br />
il confronto senza violenza, esercitano<br />
un ruolo fondamentale anche davanti<br />
a poteri oppressivi e violenti. È la storia<br />
della transizione verso la libertà nella<br />
maggioranza dei Paesi dell'Est e in non<br />
pochi altri Paesi del mondo.<br />
A questo proposito Giovanni Paolo II<br />
ha osservato che c'è un ruolo strategico<br />
della dottrina dei diritti umani: «Un contributo<br />
importante, anzi decisivo, ha dato<br />
l'impegno della Chiesa per la difesa e<br />
la promozione dei diritti dell'uomo: in<br />
ambienti fortemente ideologizzati, in cui<br />
lo schieramento di parte offuscava la<br />
consapevolezza della comune dignità<br />
umana, la Chiesa ha affermato con semplicità<br />
ed energia che ogni uomo —<br />
quali che siano le sue convinzioni personali<br />
— porta in sé l'immagine di Dio...».<br />
Questo atteggiamento di fondo «ha portato<br />
— conclude il Papa — alla ricerca<br />
di forme di lotta e di soluzioni politiche<br />
più rispettose della dignità della persona».<br />
I tanti testi contenuti in questo volume<br />
(una piccola parte dei quali sono<br />
stati citati) trattano di una molteplicità<br />
di argomenti di cui non si può nemmeno<br />
dar conto in maniera sommaria. Ma<br />
rappresentano quella seminagione storica<br />
ed educativa che, in quarant'anni, i<br />
Papi e la Chiesa hanno compiuto nella<br />
coscienza degli uomini, delle donne e<br />
dei popoli. Si tratta di un contributo alla<br />
maturazione della responsabilità sociale<br />
dei cristiani, la cui incidenza storica non<br />
è ancora facile misurare oggi. Si sostanzia<br />
in un discorso concreto sulla condizione<br />
dell'uomo, ragionevole e circostanziato,<br />
talvolta di denuncia, che interessa<br />
anche i non cattolici, quegli «uomini<br />
di buona volontà» di cui parlava<br />
Papa Giovanni.<br />
I Diritti dell'uomo nell'insegnamento<br />
della Chiesa è un volume rilevante per<br />
lo studioso, ma che è uno strumento essenziale<br />
per chi opera nella società e intende<br />
illuminare la propria azione alla<br />
luce dell'insegnamento e dell'esperienza<br />
storica della Chiesa. È importante anche<br />
per chi si vuole rendere conto della larghezza<br />
e della concretezza del pensiero<br />
contemporaneo della Chiesa sulle più<br />
variesituazioniumane del nostro tempo.<br />
Ci si trova innanzi a una pubblicazione<br />
da salutare con grande attenzione, perché<br />
rappresenta un testo che non si consuma<br />
ma resta come fonte preziosa per<br />
la storia della Chiesa del Novecento, soprattutto<br />
ispiratrice di azioni e impegni<br />
per l'uomo, manifestando quel tipico interesse<br />
cristiano, senza secondi fini, per<br />
la condizione umana nella sua interezza.<br />
In questa stagione in cui di discute tanto<br />
di «interessi nazionali», si vede bene,<br />
attraverso queste pagine, come l'interesse<br />
«ecclesiale» è prima di tutto l'uomo.<br />
<strong>L'OSSERVATORE</strong> <strong>ROMANO</strong> Venerdì 14 Dicembre 2001<br />
Un ideale cimento fra i due massimi rappresentanti della poesia e dell'arte nel Medioevo<br />
Dante e Giotto interpreti di san Francesco<br />
FERRUCCIO ULIVI<br />
Lungo i sentieri che il CAI ha dedicato in tutta Italia a Pier Giorgio Frassati<br />
Camminare sempre più in alto per ritrovarsi accanto a chi soffre<br />
FRANCESCO LICINIO GALATI<br />
«La preghiera<br />
in s. Damiano»<br />
Erano passati soli pochi anni dalla beatificazione di<br />
Pier Giorgio Frassati, avvenuta nel 1990, allorché il<br />
Club Alpino Italiano, per onorare la memoria, ha pensato<br />
di dedicargli in tutte le regioni d'Italia un particolare<br />
«sentiero» che, attraversando montagne, colline e<br />
bacini fluviali, mettesse in contatto con le incomparabili<br />
bellezze della natura e ricordasse gli eventi storici e<br />
religiosi legati in qualche modo ai luoghi percorsi. Ma<br />
soprattutto il «sentiero naturalistico» che costituisse il<br />
tramite per il «sentiero spirituale» della vita, indicato<br />
dal giovane torinese — figlio del fondatore del quotidiano<br />
«La Stampa» e socio del Club Alpino Italiano<br />
(1901-1925) — che nel suo amore per la montagna aveva<br />
scoperto il mezzo di elevazione spirituale e la palestra<br />
per temprare l'anima e il corpo.<br />
Questo è il messaggio lanciato a tutti i giovani, desiderosi<br />
di «vivere e non vivacchiare», da Pier Giorgio<br />
Frassati, mentre confessava il suo amore per le montagne<br />
e l'ansia di scalarle per «provare quella gioia che<br />
solo in montagna si ha».<br />
Superfluo sottolineare che le ascensioni in montagna,<br />
pur essendo un mezzo di elevazione spirituale,<br />
non costituivano per Frassati una fuga dai problemi<br />
che angustiavano la sua vita e quella dei poveri e degli<br />
emarginati, giacché l'impegno quotidiano della sua<br />
«carità gioiosa», attingeva la giusta carica e la necessa-<br />
«Il presepe<br />
di Greccio»<br />
Il problema dei rapporti fra Dante e Giotto, culmine<br />
delle rispettive esperienze trecentesche, si articola,<br />
com’è tradizionalmente noto, in alterne, complementari<br />
direzioni, sviscerate dai critici all’insegna sia dell’opera<br />
scritta o dipinta, sia degli argomenti, sia, infine,<br />
dell’interpretazione annessa; nonché, è pure da<br />
aggiungere, facendo appello ai rapporti personali tra i<br />
due massimi rappresentanti della poesia e dell’arte<br />
del Medioevo italiano ed europeo.<br />
Nel settore determinato che stiamo per esaminare,<br />
il richiamo comune si accentra intorno alla figura di<br />
un protagonista del secolo precedente, Francesco<br />
d’Assisi, grazie a due interventi basilari: il canto XI<br />
del Paradiso, e il ciclo pittorico intitolato a Giotto nella<br />
Basilica Superiore di Assisi. Gli interessi francescani<br />
del grande pittore si replicarono nel tempo, fino all’ultimo,<br />
trasfigurato capolavoro delle Esequie, nella<br />
Cappella Bardi in Santa Croce a Firenze. Dante da<br />
una parte, l’artista dall’altra affrontarono il personaggio<br />
e, sovente, gli stessi temi, con una carica di partecipazione<br />
esegetica che rimarrà fortissima alla base<br />
dell’una e dell’opposta indagine storica e mistica.<br />
Aparteilrispettivo,eccezionaleprestigioestetico che<br />
facilmente s’intuisce, è soprattutto la caratterizzazione<br />
psicologica e ambientale che viene in diversa luce:<br />
un san Francesco immerso nella vita contemporanea<br />
sia pure sulle basi della tradizione e dell’agiografia<br />
ufficiale, in Giotto; una sintesi degli argomenti biografici,<br />
scritturali, dottrinali, escatologici in Dante.<br />
Il soggetto francescano campeggia su uno sfondo<br />
parimenti, ma diversamente eroico. Il risvolto biografico-narrativo<br />
della soluzione giottesca può essere forse<br />
compreso, partendo da un’analoga, celebre precedenza<br />
artistica, quella di Cimabue nella Basilica inferiore;<br />
molto probabilmente (seguiamo qui un’affermazione<br />
di Riccardo Bacchelli in un romanzo francescano<br />
di alcuni decenni fa) il più bel ritratto dipinto di<br />
una figura, il santo, destinata a un incessante tragitto<br />
nell’arte. Un ritratto, ci sarebbe pure da aggiungere,<br />
sovraccarico di umanità, lacerazione, dolore, da situare<br />
idealmente al culmine esistenziale, sull’ultimo<br />
margine della biografia.<br />
Ebbene, in Giotto, l’intesa della figura fu nettamente<br />
capovolta. Non più, come in Cimabue, l’asceta logorato<br />
dalle privazioni, lo smunto osservatore del mistero<br />
dei cuori. Giotto, che aveva lavorato anche a<br />
Roma, ricevendo incarichi ufficiali dalla corte pontificia,<br />
era in grado di allinearsi alle esigenze di una biografia<br />
ufficiale, rappresentativa, attinta dal testo della<br />
«Leggenda maggiore» di Bonaventura; testo di cui sarà<br />
seguita, nei ventotto riquadri assisiati, anche la<br />
successione. In adesione a una rappresentatività ufficialmente<br />
sancita, anche il tema della povertà viene<br />
temperato. Il personaggio è proiettato al di là di<br />
una eccezione popolare, comune; è un personaggio<br />
«intimo ed eroico» (così lo Gnudi); «magnanimo»<br />
(Bacchelli). Esprime razionalità, padronanza di sé<br />
(Battisti).<br />
Nei grandi riquadri, il santo si svincola dall’assuefazione<br />
insoavita della tradizione popolare, a vantaggio<br />
dell’accento di nobiltà trascendente che si preferisce<br />
attribuire a una figura ormai acquisita alla storia<br />
universale della Chiesa, l’ispirazione proviene dall’alto<br />
e la sinfonia di passioni che smuove suggerisce il<br />
senso provvidenziale delle vicende, né c’è nulla d’imperioso<br />
che faccia appello alle doti straordinarie di<br />
cui è provvisto, differenziandosi in quella pur nobile<br />
umanità dal tocco sovrano del Cristo protagonista e<br />
giudice, per esempio, dei riquadri di un altro ciclo<br />
giottesco, quello padovano. Quanto agli interventi in<br />
Santa Croce, l’accento è, semmai, di approfondita spi-<br />
«Ritratto<br />
di Dante»,<br />
affresco<br />
nella<br />
Cappella<br />
del Podestà,<br />
Firenze<br />
ria determinazione proprio dall'abitudine «a contemplare<br />
in quell'aria pura la grandezza di Dio».<br />
Ecco perché ogni «sentiero» aperto nel nome di Pier<br />
Giorgio Frassati costituisce di per sé un tacito invito a<br />
guardare sempre più in alto per sentirsi più vicini a<br />
Dio e ritrovarsi sempre accanto all'uomo che soffre.<br />
L'idea dei «Sentieri» era sorta in Campania e infatti<br />
il primo ad essere aperto, nel 1996, è stato quello di<br />
Sala Consilina in provincia di Salerno. Verranno poi<br />
quelli di Traves in Piemonte, nel 1977; della Calabria,<br />
tra Mongiana e Serra San Bruno, nel 1998; della<br />
Sicilia, tra Cassaro e Buscemi, sempre nello stesso anno;<br />
della Toscana, all'eremo francescano della Verna,<br />
nel 1999.<br />
Un secondo «sentiero» è stato aperto nel corso dell'anno<br />
giubilare in Piemonte, a Pollone in provincia di<br />
Biella, per onorare i luoghi frequentati dal beato durante<br />
le vacanze estive e nel 2001, anno centenario della<br />
sua nascita, sono stati inaugurati il sentiero delle<br />
Marche, da Cagli a Fonte Avellana, e quello del Veneto<br />
in Val Comelico e Sappada.<br />
Al momento dell'apertura di questo «sentiero» è stato<br />
scritto che col «Frassati» del Veneto l'alpinismo, dopo<br />
aver conquistato le vette, torna a valle onde riscoprirne<br />
storia, religione e cultura, attraverso le molteplici<br />
testimonianze delle chiese, delle cappelle, dei crocifissi<br />
e dei capitelli.<br />
Il percorso del «sentiero», che si snoda per ottanta<br />
ritualizzazione dell’immagine, sull’onda di un sentimento<br />
religioso intrinsecamente e progressivamente<br />
affinato che chiude l’epopea francescana di Giotto;<br />
Del tutto diversificata, come abbiamo premesso, la<br />
versione del canto dantesco, in quanto non conserva<br />
quasi nulla del personaggio umano che il pittore aveva<br />
pur impresso di sottile, squisita spiritualità, e mette<br />
in causa invece argomenti di particolare indole —<br />
soprattutto mistica e teologica — in procinto di tradursi<br />
in rapinosa, trascendente poesia.<br />
Già nel periodo duecentesco, dopo la morte del santo,<br />
la decifrazione del suo messaggio aveva dato luogo<br />
a un nodo intricato di problemi dibattuti tra biografismo,<br />
esemplarità, simbolismo mistico e filosofico, ed<br />
escatologia, a cominciare dalla travagliatissima querelle<br />
della povertà. E proprio dalla povertà Dante parte<br />
per tracciarvi intorno l’effigie del santo, infondendovi<br />
la carica simbolica che gli aggiudica senza diversivi.<br />
Quando, nel quarto cielo del Paradiso, san Tommaso<br />
e san Bonaventura intervengono a celebrare in<br />
cavalleresca, e monitrice, simmetria, i due fondatori<br />
«Il santo riceve le stimmate sulla Verna»<br />
Francesco e Domenico, abbiamo la sensazione di entrare<br />
di colpo nel vivo di una problematica radicale.<br />
Dopo un breve enunciato, la celebrazione dell’assisiate<br />
si apre con una solenne inquadratura dei luoghi<br />
dove dovrà svolgersi l’azione del nascituro, con una<br />
serie di versi che «possono apparire troppo e troppo<br />
lussureggianti di perifrasi» (Bosco).<br />
Quel che preme sottolineare è la carica metaforica<br />
del passo. L’evento, in concorso con la puntualizzazione<br />
geografica, evolve nell’allegoria, e l’effetto di luminismo<br />
si trasfigura e denaturalizza. Ma lo stacco<br />
da qualsiasi raffigurazione letteraria o pittorica degli<br />
esordi francescani non si ferma, e incrementa la simbolizzazione<br />
e stilizzazione dei connotati biografici,<br />
storici, agiografici della figura, omettendo senza risparmio<br />
tutti gli aspetti del san Francesco storico, a<br />
vantaggio di due motivi dominanti: l’eroica dignità e<br />
il misticismo pauperistico, pur rifiutando le correnti<br />
spiritualiste radicali in corso per definire a una dimensione<br />
«equilibrata» (Stanislao da Campagnola),<br />
cioè non rigorista né estremista, di quel pauperismo.<br />
Niente, rispetto a Giotto, contorno di frati e di laici<br />
che stiano a incrementare la «socialità» del santo. Se<br />
quello giottesco è insieme uno spirito eccezionalmente<br />
nobile e un asceta immerso nel suo proprio segreto,<br />
in Dante c’è in assoluto un grande della rivelazione<br />
chilometri, è articolato in sei tappe. Si parte da Danta,<br />
incantevole centro del Cadore a quota 1.328 m., per<br />
giungere a Sappada alla fine del primo giorno. Da Sappada,<br />
naturale collegamento fra il Comelico e la Carnia,<br />
si prosegue verso la Val Visdende e, dopo aver<br />
toccato il Passo del Roccolo e il Rifugio delle Sorgenti<br />
delPiave,sigiungeallaCostad'Antola(secondogiorno).<br />
La Val Visdende, certamente uno dei luoghi più affascinanti<br />
delle Dolomiti, da cui ha inizio la terza tappa,<br />
è circondata da superbe montagne coperte di conifere,<br />
dominate dal Monte Peralba (2.694 m.), la cui<br />
presenza accompagna gli escursionisti fino a S. Pietro<br />
in Cadore.<br />
Laquartatappa si conclude a Padola, con le incantevoli<br />
immagini di Costalta, Costalissoio, Costa, s. Nicolò,<br />
Candide, Dosoledo, autentiche perle del Comelico.<br />
La quinta tappa che, passando da Valgrande, conduce<br />
alla conca di Selvapiana, è la più breve: soltanto<br />
quattro ore di cammino, largamente compensate dalle<br />
otto necessarie per coprire la sesta tappa che da Selvapiana<br />
riporta da Danta dove, per iniziativa del sindaco<br />
Luigino Menia, il cerchio idealmente si chiude.<br />
Riappaiono così il selvaggio e maestoso Gruppo dei<br />
Brentoni, quello delle Marmorale e l'Antelao che, offrendo<br />
la possibilità di contemplare ancora una volta il<br />
panorama già visto, lasciano sedimentare nella memoria<br />
e nell'anima immagini ed emozioni irripetibili.<br />
religiosa, un protagonista profetico pervaso dal soffio<br />
dello Spirito, che procede nella sua inarrestabile ascesa<br />
con la fatalità di un astro, fino a coinvolgere la<br />
Chiesa nel suo appello, imperioso, di predestinato,<br />
condotto dalla mano di Dio fino al traguardo supremo;<br />
la immedesimazione al Cristo con l’impressione<br />
delle stigmate.<br />
Il momento culminante della celebrazione per bocca<br />
di san Tommaso segue, com’è noto, nella celebrazione<br />
delle nozze con un’insolita figura, la Povertà.<br />
Nella impavida personificazione sembrano saldarsi<br />
tutte le correnti, dalle biografiche alle escatologiche,<br />
della esaltazione francescana. Francesco e Povertà sono<br />
effigiati come due «amanti» in tutta l’estensione<br />
ideale e affettiva del termine con una serie consequenziale<br />
di immagini su cui è suonata perplessa<br />
l’indagine persino di un dantista dell’altezza dell’Auerbach.<br />
E certo, non abbiamo qui un linguaggio<br />
confortato da un’aperta, moderna leggibilità. Non però,<br />
come si potrebbe fors’anche sospettare, per un’eccedenza<br />
anomala del gusto medioevale. Ciò che Dante<br />
esalta non è davvero una sfrenata incidenza erotica,<br />
ma un’atmosfera di diffuso, contagioso incantesimo,<br />
dominata dal duo dei mirabili «amanti», e chiave di<br />
tutto è l’incondizionato soprasenso simbolico.<br />
Più che a Giotto, saremmo riportati all’anonimo<br />
Maestro delle Vele, cioè al pittore degli affreschi sopra<br />
il presbiterio che congiunge i due bracci del transetto<br />
del Basilica Inferiore, con l’allegoria centrale della<br />
Povertà, mediata attraverso l’Arbor vitae di Ubertino<br />
da Casale, con effetti di notevole fervore. Ma il discorso<br />
dantesco si conferma a un grado, dove la letteralità<br />
dell’evento tocca un livello che tutto trascende.<br />
Mai, nel Francesco del poeta, interviene il tratto<br />
storico, terrestre, su cui poggia, pur nella sua nobiltà,<br />
la figura di Giotto. Il solido personaggio delle serie dipinte<br />
dal grande artista, con imperativa benignità si<br />
svelava nel vigoroso dominio delle forze naturali, sociali<br />
e soprannaturali. Giotto in persona, oppure tramite<br />
i collaboratori, sensibile com’era agli influssi<br />
della nuova società comunale, aveva occhi aperti a<br />
ogni aspetto esistenziale, la morte nell’esultanza dei<br />
festini, la vigoria divorante della natura, l’infiltrarsi<br />
delle suggestioni negative tra le torri e le cuspidi delle<br />
città. Squillava nella sua pittura il nuovo linguaggio<br />
volgare, propizio all’esaltazione e divulgazione dell’ordine<br />
francescano, ormai affermato sotto la guida di<br />
un costruttore della tempra di frate Elia.<br />
Dante, non meno aperto alla realtà, mira a tradurne<br />
i valori universalizzandoli, conforme al sistema<br />
speculativo a cui si ispira; e se un equivalente figurativo<br />
— plastico, pittorico, architettonico — vogliamo<br />
allinearvi, più che un taglio col passato alla stregua<br />
di Giotto, è il senso di una sintesi che ne trarremmo,<br />
magari per via di superiori presentimenti; si pensi al<br />
tocco di «santo archimandrita» (come a dire guida,<br />
istitutore spirituale) con cui sigilla di Francesco la figura.<br />
Non dunque nel poeta il protagonista umanamente<br />
incardinato nel suo tempo storico, sia pure alla<br />
luce del verbo evangelico, quale Giotto aveva voluto<br />
rappresentare, non il dominatore insieme religioso<br />
e sociale che personifica le istanze complesse della civiltà<br />
comunale nascente.<br />
Nessuno come Francesco d’Assisi, a giudizio di<br />
Dante, aveva attinto il trascendente nel quotidiano, il<br />
clima dei cieli tolemaici al di là delle ambagi, pur<br />
identificate, della sfera terrena. E a una transumanante<br />
spiritualità e provvidenzialità, differenziata dai<br />
puri contemplativi quanto dai gestori temporali, a filo<br />
di una veridicità che deve essere còlta al di sopra della<br />
forma simbolica, che è tesa per intero la interpretazione<br />
dantesca.<br />
Appuntamenti<br />
culturali<br />
Vicenza, 15 dicembre<br />
La scultura moderna<br />
in Italia dal 1900 al 1965<br />
Il Palazzo Trissino di Vicenza<br />
sarà sede, sabato 15 dicembre,<br />
alle ore 17, dell'inaugurazione<br />
della mostra «La scultura moderna<br />
in Italia: prima parte,<br />
1900-1965.». La rassegna, allestita<br />
presso la Basilica Palladiana,<br />
resterà aperta fino al 1°<br />
aprile 2002 e comprende circa<br />
70 opere di 23 grandi artisti.<br />
Roma, 15 dicembre<br />
«La rinuncia agli averi»<br />
«Il volto nascosto<br />
e trasfigurato di Cristo»<br />
Sabato 15 dicembre, alle ore<br />
18, nella sede della «Civiltà<br />
Cattolica» si terrà la tavola rotonda<br />
sul tema: «Il volto nascosto<br />
e trasfigurato di Cristo». Tra<br />
i relatori sarà presente il Cardinale<br />
Fiorenzo Angelini.