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<strong>L'OSSERVATORE</strong> IBRI<br />
PAGINA<br />
8 .<br />
<strong>L'OSSERVATORE</strong> <strong>ROMANO</strong> Mercoledì 5 Dicembre 2001<br />
Fanti italiani<br />
sul fronte<br />
dell'Isonzo<br />
In basso:<br />
una vedetta<br />
sopra un ghiaione<br />
dolomitico<br />
Il volume «1915-1918. La guerra sugli Altipiani. Testimonianze di soldati al fronte» a cura di Mario Rigoni Stern<br />
Dagli scritti «in diretta» dalle due trincee<br />
una profonda riflessione sull'«inutile strage»<br />
ROBERTO MOROZZO<br />
DELLA ROCCA<br />
La Prima Guerra Mondiale sembra<br />
sempre più evento remoto. È l'inesorabile<br />
legge del tempo, fatta non solo di<br />
anni che scorrono ma anche della forza<br />
di nuovi fenomeni storici che cancellano<br />
dalla memoria degli uomini quanto rimane<br />
indietro.<br />
La Seconda Guerra Mondiale, la guerra<br />
fredda, la illusoria belle époque liberista<br />
degli anni Novanta, ora le voci di<br />
nuovi scontri di civiltà — voci allarmiste<br />
quanto preoccupanti perché insinuano<br />
contrapposizione e odio —: tutto questo<br />
rende la Prima Guerra Mondiale un<br />
evento lontano, per l'appunto di un altro<br />
secolo e di un altro millennio. Coloro<br />
che l'hanno vissuta nelle trincee sono<br />
pressoché tutti scomparsi tranne qualche<br />
centenario, un tempo «ragazzo del<br />
'99». Resta ai loro nipoti qualche ricordo,<br />
sbiadito dal fatto che non si tratta di<br />
un'esperienza vissuta personalmente.<br />
Anche la letteratura e la storia sembrano<br />
mettere da parte quella che fu la<br />
Grande Guerra, ovvero la massima epopea<br />
dell'Italia unita. In anni recenti, la<br />
stessa fortuna di forze politiche localiste<br />
e antiunitarie, proprio in quelle terre del<br />
Nord-Est dove un tempo la memoria<br />
della guerra del '15-'18 era stata più viva<br />
e sentita, ha dissacrato con strumentali<br />
ed esibite nostalgie asburgiche il mito<br />
della Grande Guerra delle precedenti generazioni.<br />
Sì, il mito, perché almeno sino agli<br />
anni Sessanta la Grande Guerra — come<br />
era uso chiamare la Prima Guerra<br />
Mondiale — è stata un mito patriottico,<br />
un valore assoluto, un elemento intoccabile<br />
della storia italiana. Poi molto è<br />
cambiato, e almeno inizialmente non in<br />
senso negativo. Studi fondati su documentazione<br />
finalmente accessibile hanno<br />
restituito alla verità storica quegli anni<br />
tormentati e sanguinosi: vengono alla<br />
mente gli studi di Alberto Monticone su<br />
Caporetto e sulla giustizia militare, oppure<br />
quelli di Piero Melograni sulla Storia<br />
politica della Grande Guerra.<br />
Si comprese bene, in quegli anni Sessanta<br />
già distanti dal fuoco dei fatti, come<br />
la condotta della guerra italiana fino<br />
a Caporetto fosse stata condizionata dai<br />
tragici errori del Comando Supremo che<br />
portavano al sacrificio di centinaia di<br />
migliaia di vite umane in una guerra of-<br />
fensiva ad ogni costo, inutile e improduttiva.<br />
Era una direzione della guerra<br />
che non aveva compreso le caratteristiche<br />
del conflitto, spaventosamente moderno<br />
nelle tecniche di annientamento e<br />
distruzione, a iniziare dalla realtà quotidiana<br />
di trincee, reticolati, mitragliatrici,<br />
che rendevano obsoleti i manuali di<br />
guerra ancora fermi alle cariche di cavalleria<br />
e comunque al prescritto offensivismo.<br />
Negli ultimi anni tuttavia pare di assistere<br />
al mero oblio della Prima Guerra<br />
Mondiale. In controtendenza va segnalato<br />
un corposo volume edito a Vicenza a<br />
cura dello scrittore Mario Rigoni Stern:<br />
1915-1918. La guerra sugli Altipiani. Testimonianze<br />
di soldati al fronte (Vicenza,<br />
Neri Pozza, 2001, pp. 661, s.i.p.) Si<br />
tratta in sostanza di una antologia di autori<br />
più o meno celebri, che hanno in<br />
comune l'avere scritto pagine sulla guerra<br />
degli Altipiani, ossia di quella parte di<br />
fronte che apparteneva soprattutto alla<br />
provincia vicentina nelle sue propaggini<br />
settentrionali. Questo fronte è quello<br />
della montagna, così diverso da quello<br />
della pianura e dei fiumi, dove Cadorna<br />
dello schieramento italiano che si accaniva<br />
nelle offensive di pianura.<br />
Senza essere romantica, dato il sudore<br />
che costava e la gran quantità di sangue<br />
versato, la guerra di montagna era<br />
più variegata e avventurosa di quella di<br />
pianura, e richiedeva ardimento, resistenza<br />
fisica e anche fantasia in misura<br />
probabilmente maggiori. Per questo tale<br />
tipo di guerra ha maggiormente ispirato<br />
memorie e opere letterarie. Si pensi solo<br />
al classico e fortunatissimo libro di Emilio<br />
Lussu, Un anno sull'Altipiano, apparso<br />
in prima edizione nel 1945 (non a<br />
caso appena finito il fascismo).<br />
Il volume vicentino si avvale di firme<br />
celebri della letteratura sul '15-'18:<br />
Robert Musil, Angelo Gatti, Giani Stuparich,<br />
Carlo Emilio Gadda, Paolo Monelli,<br />
Piero Jahier, Aldo Valori. Altri autori<br />
sono meno noti, quantomeno al pubblico<br />
italiano. Infatti alcuni brani appartengono<br />
ad autori «nemici», cioè ad ex<br />
combattenti dell'impero asburgico, oppure<br />
ad autori di nazionalità alleate dell'Italia<br />
(sugli Altipiani combatterono, insieme<br />
agli italiani, inglesi e francesi, specie<br />
nel 1918).<br />
«L'intuizione intellettuale da Kant a Hegel» di Xavier Tilliette<br />
L'ascesa e il tramonto<br />
della categoria filosofica dell'«Anschauung»<br />
PAOLO MICCOLI<br />
Xavier Tilliette nel suo volume L'intuizione<br />
intellettuale da Kant a Hegel<br />
(Brescia, Morcelliana, 2001, pp. 374) —<br />
sul quale è già intervenuto lo scorso 8<br />
luglio Armando Rigobello in Terza Pagina<br />
— ricostruisce, con stile lucido e<br />
incisivo, l’avventura della Anschauung,<br />
categoria filosofica che funge da coagulo<br />
nel fervido dibattito culturale dell’ultimo<br />
decennio del secolo XVIII, che vede<br />
intrecciate questioni letterarie, artistiche,<br />
filosofiche, teologiche e mistiche<br />
nella tipica sensibilità dell’incipiente<br />
romanticismo tedesco.<br />
Sullo sfondo di circostanze e personaggi<br />
noti veniamo a capire meglio,<br />
grazie a questo ulteriore contributo<br />
scientifico del Padre Tilliette che integra<br />
la sua monumentale tesi su Schelling,<br />
la germinazione, l’imporsi e il tramontare<br />
della categoria di intuizione<br />
che acquista sfumature semantiche diverse<br />
a secondo degli aggettivi che la<br />
qualificano e dei contesti letterari e filosofici<br />
nei quali la si trova.<br />
Non sempre è agevole cogliere le distinzioni<br />
sottili che determinano di volta<br />
in volta l’intuizione come intellettuale,<br />
spirituale, estetica, speculativa, essenziale,<br />
mediana, mistica, cosmica,<br />
originaria. L’autore ne offre le intersecazioni,<br />
ricostruendo il clima di<br />
entusiasmo della cultura filosofica tedesca<br />
dell’ultimo scorcio del secolo dei<br />
lumi.<br />
Il libro risulta particolarmente illuminante<br />
nel settore della storiografia filosofica.<br />
Lo schema riporta a Kant che distingue<br />
metodicamente tra percezioni sensibili<br />
e categorie logiche, vietando ogni<br />
volo nel regno delle ombre e degli «arcana<br />
coelestia» dei visionari alla Swedenborg.<br />
Pur rispettando la lettera e lo<br />
spirito della filosofia kantiana, Reinhold<br />
apre il sentiero alle capacità intuitive<br />
della mente grazie alla categoria<br />
della rappresentazione che, nella<br />
coscienza, stabilisce una relazione immanente<br />
tra rappresentante e rappresentato.<br />
Su questo terreno «morbido», che<br />
chiama in causa la terza Kritik kantiana,<br />
avanzano imperterriti e travolgenti<br />
Fichte e Schelling, tematizzando nell’Io<br />
il rapporto di finito/infinito per venire<br />
a capo di ogni produzione trascendentale<br />
dei significati spirituali che prosperano<br />
tra concetto e giudizio.<br />
Vicenda speculativa, questa, che conosce<br />
tappe di maturazione e di chiarificazione<br />
filosofica nel crogiuolo arrovellato<br />
di polemiche, suggestioni, contagi<br />
e critiche inerenti allo stile schlegheliano<br />
e novalisiano del con-filosofare<br />
degli spiriti eletti che appellano al<br />
genio.<br />
È significativo che l’autore introduca,<br />
tra le prime posizioni teoriche di Fichte<br />
e Schelling e i loro rispettivi ulteriori<br />
destini professionali e speculativi,<br />
capitoli specifici sulla personalità di<br />
Hölderlin, Novalis e Schleiermacher<br />
con l’apporto di un ricco e suggestivo<br />
materiale letterario che chiarisce la natura<br />
dell’intuizione in sede estetica.<br />
Tutto questo fa emergere la spia di<br />
un supporto sulla natura dell’intelligenza<br />
corporea che sottende questioni<br />
vive riprese da Leibniz e discusse, nel<br />
Settecento illuministico, soprattutto da<br />
Herder, Hamann, Sulzer e von Humboldt<br />
in un contesto filosofico che registra<br />
la prevalenza di Spinoza su Kant.<br />
Questioni nuove incalzano. E con esse<br />
l’interrogativo: come muoversi su un<br />
terreno franoso, dal momento che l’intuizione<br />
viene avvertita da Hölderlin<br />
nell’ambivalenza della seduzione e dell’illusione?<br />
Il «Titano di Jena» (Fichte) e<br />
l’entusiasta «Banditore dell’Io» (Schelling)<br />
non hanno dubbi: nell’atto di libertà<br />
della coscienza trascendentale è<br />
dato cogliere l’unitotalità del mondo e<br />
della storia.<br />
L’ardimento speculativo che sorregge<br />
il nuovo impianto della vita dello spirito<br />
mette conto della vivacità delle polemiche<br />
tese al superamento dello spinozismo<br />
e del kantismo e, successivamente,<br />
delle divergenze fondamentali che<br />
andranno sempre più stabilizzandosi<br />
tra l’autore della Wissenschaftslehre e<br />
l’autore delle Lettere sul dogmatismo e<br />
criticismo, nell’intento di esplicitare la<br />
vita spirituale e giustificare l’autoponenza<br />
incondizionata dell’Assoluto metaempirico,<br />
utilizzando un linguaggio<br />
spesso sibillino, sfuggente e misticheggiante.<br />
Un dire teso ai limiti del riposo estatico<br />
caratterizza poeti e filosofi in talu-<br />
lanciò le sue innumerevoli<br />
e costosissime<br />
offensive<br />
dette dell'Isonzo,<br />
che fallivano una<br />
dopo l'altra, tanto<br />
da essere poi stancamentedenominate<br />
ciascuna con<br />
un numero progressivo.<br />
La guerra della<br />
montagna vicentina<br />
è quella di rilievi<br />
divenuti celebri<br />
con la guerra: il<br />
Pasubio, l'Ortigara,<br />
il Cengio, il<br />
Grappa, lo Zebio.<br />
Qui gli italiani non<br />
subirono rovesci<br />
come a Caporetto,<br />
ed anzi resistettero<br />
a vari tentativi<br />
austriaci di sfondare<br />
le linee avverse<br />
per rovesciarsi<br />
in pianura<br />
e prendere alle<br />
spalle il grosso<br />
ne convergenze teoriche di intonazione<br />
spinoziana, annullando la realtà oggettiva<br />
nell’Io e tripudiando nell’estasi cosmica<br />
dell’Unitotalità. Questo avviene<br />
quando si pretende di far transitare<br />
l’intelligenza senziente in quella intellettiva,<br />
con oblio della lezione kantiana.<br />
Gli apporti folgoranti di Hölderlin,<br />
Novalis e Schleiermacher sull’incanto<br />
panico consentono di allargare la prospettiva,<br />
di incentivare raccordi inusitati<br />
con la poetica e con l’estetica della<br />
Frühromantik, ma altresì di stabilire<br />
differenze specifiche tra lo stile del ragionamento<br />
filosofico che lega l’intuizione<br />
alla fichteana riflessione della coscienza<br />
trascendentale e il linguaggio<br />
poetico che si esalta nella visionarietà<br />
del paesaggio, dell’immenso, dell’infinito,<br />
fino all’estasi e allo smarrimento<br />
del compassato io giudicante.<br />
Una stagione breve ma densa di stimoli<br />
poetici e filosofici, quella racchiusa<br />
tra il 1790 e il 1800. Ben presto la<br />
categoria dell’intuizione passerà in secondo<br />
piano fino a essere quasi dimenticata<br />
e diffidata. Questo non toglie che<br />
nello sviluppo del pensiero ottocentesco<br />
rivivano tracce significative di intonazione<br />
quasi mistica del pensiero «sconfinato»,<br />
come nel caso di Schopenhauer<br />
e di Nietzsche, per arrivare, nel Novecento,<br />
al diniego della validità speculativa<br />
di tale categoria da parte di Croce<br />
e di Gentile, o alla sua modificata utilizzazione<br />
semantica da parte di Gioberti<br />
e Rosmini, di Husserl e della<br />
Scuola fenomenologica sia pur con le<br />
riserve espresse da Merleau-Ponty, e<br />
dell’indirizzo neoscolastico con Maritain<br />
e Gilson...<br />
Gli epigoni del romanticismo poetico<br />
e letterario hanno riacceso la fiaccola<br />
dell’intuizione visionaria in epoca di<br />
pacatezza scettica e di positivismo<br />
scientista, non mancando di farne intravvedere<br />
il suo ruolo fecondo all’interno<br />
delle ipotesi scientifiche.<br />
Aver richiamato l’attenzione su un<br />
tema suggestivo del preromanticismo è<br />
opera benefica che riequilibra la crescente<br />
perdita di umanità nei professionisti<br />
odierni dei laboratori genetici e<br />
del virtuale telematico. I Gebildeten più<br />
avvertiti delle ragioni dell’umanesimo<br />
sono grati a Xavier Tilliette per questa<br />
sua ennesima, encomiabile fatica.<br />
La prefazione del Presidente della Repubblica,<br />
Carlo Azeglio Ciampi, insiste<br />
molto opportunamente sul valore pedagogico<br />
che il volume può avere nel trasmettere<br />
alle giovani generazioni la memoria<br />
di un evento bellico e tragico così<br />
significativo della storia d'Italia e d'Europa:<br />
«È importante... non dimenticare,<br />
affinché gli errori, le tragedie, i crimini<br />
del XX secolo non abbiano a ripetersi».<br />
Per soggiungere che «questa raccolta di<br />
scritti, scelti per la loro qualità di vivida,<br />
diretta testimonianza di quella che Papa<br />
Benedetto XV condannò come “l'inutile<br />
strage”, indurrà i giovani di oggi a un'intensa<br />
riflessione».<br />
Il presidente Ciampi non intende fare<br />
del revisionismo: la Grande Guerra fu<br />
combattuta dagli italiani — egli scrive<br />
— non come guerra di conquista ma come<br />
guerra per compiere legittimamente<br />
il Risorgimento, ed è l'interpretazione<br />
cara a tanti democratici italiani: la guerra<br />
del 1915-1918 come Quarta guerra del<br />
Risorgimento, combattuta in nome della<br />
patria e non di una idea imperialista.<br />
D'altra parte Ciampi percepisce appieno<br />
il messaggio delle centinaia di pagine<br />
di testimonianze sulla guerra degli Altipiani<br />
quando si richiama alla frase di<br />
Benedetto XV e quando rileva che sia la<br />
prima che la Seconda Guerra Mondiale<br />
si trasformarono «in disumani conflitti».<br />
In effetti l'impressione che si ricava<br />
dalla lettura del volume, curato con intelligenza<br />
e acume da Mario Rigoni<br />
Stern, è quella di un profondo orrore.<br />
Quasi ad ogni pagina si incontrano massacri,<br />
stragi, carneficine. Non si incontra<br />
forse una crudeltà allo stato puro.<br />
Si uccide e si muore, il più delle volte,<br />
senza vedere in faccia il nemico, che<br />
appare senza volto, senza fattezze umane.<br />
Il nemico si manifesta solo col ferro<br />
e col fuoco, a distanza, mai con la voce<br />
del proprio simile. Si moriva lontani dal<br />
nemico, per le granate e per i gas. A<br />
volte si moriva per atti di incoscienza<br />
(come un colonnello che violando l'avviso<br />
degli esperti del genio si pose volontariamente<br />
in pericolo, perdendo stupidamente<br />
la vita, e meraviglia il racconto<br />
dell'Anonimo alpino che alle pp. 315-317<br />
ne celebra la grandezza umana).<br />
Nel volume la guerra, per i suoi meccanismi,<br />
i suoi automatismi, il mors tua<br />
vita mea, si palesa per quello che normalmente<br />
è: una morte continua, si direbbe<br />
folle, assurda, in forme talora raccapriccianti.<br />
Si incontrano, qua e là nei<br />
brani letterari, episodi e momenti di pietà<br />
umana, ma sono rari lenitivi di una<br />
realtà tragica di macelleria organizzata e<br />
perseguita con ogni mezzo.<br />
Tipiche sono le descrizioni lasciate dagli<br />
artiglieri, del tutto indifferenti alle<br />
stragi operate dai loro grossi calibri: gli<br />
uomini che saltano in aria, che vengono<br />
maciullati, osservati a distanza con il<br />
cannocchiale, appaiono come dei birilli<br />
di un gioco a punti. La morte che colpisce<br />
i compagni diventa motivo per odio<br />
al nemico. La legge del taglione domina<br />
la scena bellica.<br />
Scrive il viennese Fritz Weber, artigliere<br />
in un forte austriaco di prima linea<br />
bersagliato da obici avversari, il<br />
quale si augura che venga l'offensiva italiana<br />
per potersi vendicare:<br />
«Cerchiamo continuamente di immaginare<br />
il momento in cui potremo finalmente<br />
vedere da vicino i nostri carnefici.<br />
Siamo diventati bestie feroci, che sono<br />
state aizzate per giorni interi. Nessuna<br />
crudeltà ci sembra proporzionata,<br />
nessun bagno di sangue abbastanza<br />
grande per vendicare i nostri compagni<br />
uccisi o mutilati. La paura e il ribrezzo<br />
sono vinti: attendiamo febbrilmente l'ora<br />
della rappresaglia».<br />
Sono pagine non infrequenti nella memorialistica<br />
di guerra. Ma, soprattutto,<br />
a questi sentimenti tenevano dietro i fatti,<br />
cioè i massacri, soprattutto a danno<br />
delle fanterie all'assalto, e fossero poi in<br />
questo scenario degli Altipiani delle<br />
truppe alpine all'assalto non cambia<br />
granché.<br />
Conclude il volume un saggio di Rigoni<br />
Stern, così comunicativo nella sua<br />
bella essenzialità narrativa, sul ritorno<br />
nei luoghi d'origine dei profughi dell'altipiano<br />
di Asiago. Esso mostra in micro<br />
il perdurare tragico delle violenze della<br />
guerra, negli incidenti drammatici alle<br />
persone, nelle sofferenze del rimpatrio,<br />
nelle difficoltà a riprendere la vita normale.<br />
È triste apprendere dell'insensibilità di<br />
governanti e legislatori nel 1919-1920. Il<br />
contadino al rientro nella sua terra che,<br />
dovendo dormire all'addiaccio, si appropriava<br />
di qualche residuato bellico abbandonato<br />
per costruirsi una baracca,<br />
veniva incriminato per furto ai danni<br />
dello Stato, rischiando fino a 15 anni di<br />
prigione per una stecca di legno o un<br />
pezzo di ferro. Per non dire del fiscalismo<br />
dello Stato trionfante nella guerra,<br />
che esigeva dai rifugiati senzatetto il pagamento<br />
delle tasse per case e proprietà<br />
distrutte completamente dalla guerra.<br />
Tutto questo non avrebbe impedito a<br />
genti laboriose di riprendersi, di ricostruire,<br />
e di continuare a nutrire sentimenti<br />
di amor patrio.<br />
Documenti sui primi anni<br />
del Cristianesimo in Cina<br />
Il titolo La via della luce echeggia la fortunata<br />
definizione «la via della seta» che indica non l'unico,<br />
ma i vari intrecciati cammini tra la Cina e<br />
l'Europa attraverso l'Asia Centrale fra antichità e<br />
Medio Evo. Tra il VII e il IX secolo, mentre la Cina<br />
viveva gli anni rigogliosi della dinastia Tang,<br />
il cristianesimo generalmente detto nestoriano,<br />
allargava la sua influenza nell'Asia centrale fino<br />
M. Nicolini-Zani<br />
La via<br />
della luce<br />
Qiqajon<br />
a raggiungere la Cina, particolarmente ricettiva grazie all'apertura d'idee e<br />
di costumi che caratterizzava la dinastia. Le testimonianze della presenza<br />
cristiana in Cina all'epoca Tang non sono moltissime. Risalta tra queste la<br />
cosiddetta «stele di Xi'an», dalla zona del rinvenimento, nei pressi della capitale<br />
dei Tang (detta allora Chang'an) nello Shaanxi, dove era stata collocata,<br />
in località non ancora identificata, nel 781. Molto spesso citata, anche<br />
per il valore simbolico del suo rinvenimento la stele non aveva ancora avuto<br />
una attendibile versione italiana, ma solo una seicentesca traduzione dal<br />
portoghese. Il testo della stele consiste in una breve sintesi teologico-dottrinale<br />
di presentazione del cristianesimo o «religione della Luce» e in un<br />
profilo storico della sua diffusione in Cina, con la trascrizione dello storico<br />
editto del 638 con cui l'imperatore Taizong le concedeva la diffusione nei<br />
territori dell'impero. Al testo della stele è unito un breve ma intenso<br />
inno rinvenuto tra i manoscritti di Dunhuang. Il traduttore-curatore correda<br />
i testi di un denso apparato di note che offrono al lettore una ricca<br />
messe di riferimenti linguistici e concettuali sia alle fonti religiose cristiane,<br />
sia alla cultura religiosa della Cina. Ad essa infatti l'autore del testo<br />
della stele di Xi'an ha attinto nello sforzo di «riformulare il messaggio evangelico<br />
in un linguaggio accessibile» ai cinesi, nella cui religiosità la tendenza<br />
al sincretismo, costituisce un tratto peculiare e fecondo, anche proprio<br />
nella prospettiva di un innesto come avvio all'opera di evangelizzazione.<br />
(anna bujatti)<br />
Matteo Nicolini-Zani, a cura di, La via della luce, Bose, Qiqajon, 2001,<br />
pp. 51, L. 5.000;<br />
Brunetto<br />
Salvarani<br />
A scuola<br />
con<br />
la Bibbia<br />
E.M.I.<br />
La Bibbia «grande codice»<br />
della cultura di ogni tempo<br />
La Bibbia, questa sconosciuta... Eppure il Libro<br />
dei Libri è anche una miniera di notizie, un patrimonio<br />
della cultura universale. E il Ferroni ne<br />
vorrebbe l'insegnamento nelle scuole italiane.<br />
Brunetto Salvarani, docente di lettere nei licei e<br />
studioso attento di problemi biblici e religiosi (è<br />
direttore di «Qol», bimestrale per il dialogo<br />
ebreo-cristiano, redattore di «CEM Mondialità» e<br />
autore di libri d'argomento biblico), prende da qui le mosse per un discorso<br />
limpido, documentato, sostanziato di fine sensibilità pedagogica. Richiama<br />
l'attenzione di docenti, genitori e ragazzi e di quanti si occupano, per vocazione<br />
o per mandato politico, di problemi educativi e scolastici, sul «grande<br />
codice» della cultura di ogni tempo. Presente nell'arte, nella letteratura,<br />
nella musica, nel cinema..., il libro della Bibbia è assente nella programmazione<br />
didattica. Va ritrovato, recuperato, utilizzato anche come strumento<br />
didattico per agevolare l'intelligenza della storia e della civiltà. Va fruito<br />
nello spirito, nel messaggio, nei valori di cui è portatore. Le parole di Francesco<br />
De Sanctis («Mi meraviglio come nelle nostre scuole, dove si fanno<br />
leggere tante cose frivole, non sia penetrata un'antologia biblica, attissima<br />
a tenere vivo il sentimento religioso, ch'è lo stesso sentimento morale nel<br />
suo senso più elevato»), tratte da La giovinezza (e riportate a p. 30), introducono<br />
una serie di brani e di interventi di associazioni e di singoli studiosi<br />
sullo «status quaestionis» in Italia, in Europa, nell'Occidente. Il Salvarani offre<br />
spunti per una lettura interdisciplinare della Bibbia, orienta sul piano bibliografico,<br />
suggerisce le vie per un approccio semplice ed efficace. Il suo<br />
è davvero un libro prezioso (come si evince dalla presentazione di Gianfranco<br />
Ravasi) per insegnanti pensosi della crescita delle persone e del<br />
progresso umano. (francesco pistoia)<br />
Brunetto Salvarani, A scuola con la Bibbia. Dal libro assente al libro ritrovato,<br />
Bologna, E.M.I., 2001, pp. 252, lire 24.000<br />
Personaggi e figure<br />
della storia di ieri e di oggi<br />
Dovevamo attendere Il potere, il destino e la gloria,<br />
uscito lo scorso maggio per leggere la confessione<br />
di Antonio Spinosa circa il suo metodo<br />
di lavoro che lo tiene inchiodato al tavolino per<br />
otto ore al giorno. «Nato con l'inchiostro», secondo<br />
la pittoresca espressione di un amico, Spinosa<br />
non nega la sua nevrosi per lo scrivere che lo<br />
spinge a prendere appunti dovunque si trovi. Per<br />
Antonio Spinosa<br />
Il potere,<br />
il destino<br />
e la gloria<br />
Mondadori<br />
i personaggi da biografare la preferenze va alle figure di primo piano, non<br />
tanto perché — egli dice — la loro popolarità è una garanzia di diffusione<br />
dell'opera, quanto perché le loro vicende sono più affascinanti. Prima<br />
preoccupazione di Spinosa è quella di apprendere il linguaggio dei personaggi<br />
oggetto delle sue indagini: per questo ne legge e rilegge gli scritti e<br />
soprattutto gli epistolari, dove è più facile scoprire i comportamenti, le passioni,<br />
i riposti pensieri, il modo di pensare e di esprimersi. Altra accortezza,<br />
l'attenzione a selezionare le vicende, nella convinzione che il lavoro<br />
biografico consista soprattutto nel setacciare l'essenziale dal superfluo, onde<br />
scegliere gli eventi utili alla narrazione. Questo il metodo usato anche<br />
nel presente lavoro che si qualifica come «viaggio nel tempo con sovrani,<br />
rivoluzionari ed eroine», esponenti inconfondibili della storia nel suo «passato<br />
remoto», «participio passato», «passato prossimo» e «participio presente»,<br />
secondo la titolazione delle quattro parti in cui il libro si articola. Ciò<br />
che non può sfuggire al lettore è il senso di contemporaneità dei biografi,<br />
da Romolo a Maria José di Savoia, presentati con intensità e partecipazione.<br />
Non è tanto la puntualità del dato storico ad impreziosire il volume,<br />
quanto la sua liricizzazione, anche quando la realtà si presenta con drammatica<br />
problematicità. Le figure della storia sono quelle che sono, ma il libro<br />
di Spinosa travalica le singole biografie per offrirsi nell'unitario cammino<br />
della storia alla quale tutti apparteniamo. (francesco licinio galati)<br />
Antonio Spinosa, Il potere, il destino e la gloria. Viaggio nel tempo con sovrani,<br />
rivoluzionari ed eroine, Milano, Mondadori, 2001, pp. 289, L. 33.000<br />
Franco Zangrilli<br />
Il bestiario<br />
di<br />
Pirandello<br />
Metauro<br />
La simbologia degli animali<br />
nelle opere di Pirandello<br />
Dall'assidua penna critica del giovane docente<br />
frosinate, da anni Full Professor alla The City<br />
University di New York, perviene oggi un libro, su<br />
un aspetto particolare di un suo fertile oggetto di<br />
studi (Pirandello). «Le prime storie narrate oralmente<br />
e per iscritto dall'uomo» — esordisce Zangrilli<br />
ne Il bestiario di Pirandello — «secondo<br />
certi narratologi sono state storie di animali». Co-<br />
sì prende le mosse una frastagliata ma comunque verticale rivisitazione di<br />
tutti gli scritti pirandelliani secondo l'esegetico punto di vista dichiarato in<br />
titolo, quinto della collana «studi» di una pregevole quanto non ingombrante<br />
editrice pesaro-urbinate diretta da Corrado Donati, a sua volta ottimo nome<br />
della più giovane e dinamica critica letteraria italiana. Pirandello non ignorava<br />
certo la tradizione favolistica che dai tempi dei tempi (vale a dire da<br />
Esopo a Fedro in poi) e aveva narrativamente trattato animali come metafore<br />
umane, o uomini disegnati e descritti come animali. Un contraltare dalle<br />
vivide risultanze espressive e cognitive, comportamentali e morali. Nella<br />
sua arte, quindi, lo scrittore agrigentino poneva la presenza animale in<br />
stretta connessione con la vicenda esistenziale e spirituale dei suoi vari<br />
personaggi, in una fitta osmosi-simbiosi, in una serie cioè di scambi, apparentamenti<br />
e parallelismi, di fisionomie, di azioni, di «poli» e di ruoli. Al<br />
punto che, spesso e volentieri, l'animalizzazione di protagonisti, comprimari<br />
o comparse (un bestiario a due gambe, insomma), nei suoi infiniti<br />
testi e contesti, viene a decretare una finale superiorità della bestia<br />
sulla persona umana. Ma, come mette bene in risalto Zangrilli, mai la «riduzione»<br />
o l'imitazione, la metafora o la figuralità connotativa, è fine a se<br />
stessa, concorrendo invece al disvelamento del mistero dell'animo umano.<br />
(claudio toscani)<br />
Franco Zangrilli, Il bestiario di Pirandello, Fossombrone, Metauro, 2001, pp.<br />
167, L. 22.000.