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L'OSSERVATORE ROMANO

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ERZA T PAGINA .<br />

INCONTRI<br />

«Lamusicaclassicacontribuisce<br />

allosviluppospiritualedeigiovani»<br />

ANTONIO BRAGA<br />

PAGINA<br />

In Italia, secondo il maestro, vi è una<br />

situazione curiosa: vi è la tradizione secolare<br />

del melodramma; ma anche l’assoluta<br />

mancanza di preparazione verso<br />

la musica classica, che la scuola non offre.<br />

Diffuso poi è il pregiudizio che la<br />

buona musica sia appannaggio di alcune<br />

classi sociali. «Questo è un fatto molto<br />

grave, — commenta il nostro —, cui si<br />

è aggiunto il periodo nocivo delle “avanguardie”,<br />

che hanno prodotto danni gravissimi<br />

alla cultura, in specie da noi».<br />

Quel movimento, appoggiato da alcune<br />

classi dominanti, ha allontanato il<br />

pubblico dalle sale da concerto. Nell’opera,<br />

il danno è stato circoscritto, per la<br />

resistenza del pubblico ad assistere a simili<br />

esibizioni di «non musica». C’è stata<br />

così la scissione tra il grande pubblico e<br />

quello intellettuale, perché la musica di<br />

quel genere veniva presentata senza essere<br />

prima ben selezionata. Non sempre<br />

le scelte erano negative; ma in gran parte<br />

lo erano.<br />

La scissione, il baratro tra pubblico<br />

giovane e quello conservatore, è colpa<br />

di quegli anni. Ed in specie in Italia,<br />

perché in Francia, ad esempio, c'è stato<br />

un operatore culturale di prima grandezza:<br />

Pierre Boulez, uomo di «avanguardia»,<br />

ma anche di grande cultura,<br />

3 .<br />

Riccardo Chailly, giunto alla vetta della carriera<br />

di direttore d’orchestra, conserva la sua innata<br />

cortesia ed il pregio di una conversazione piacevole.<br />

Mi riceve nella sua ampia casa fuori Milano,<br />

circondata di verde, luogo di studio e di riposo<br />

allo stesso tempo.<br />

Gli chiedo di raccontarmi in sintesi la sua<br />

straordinaria vita, segnata dalla musica, e le sue<br />

idee su quel mondo dei suoni che conosce così<br />

bene.<br />

Logicamente gli esordi lo riportano alla figura<br />

paterna, a Luciano Chailly, notissimo compositore<br />

del XX secolo, ed alle prime esperienze giovanili.<br />

Il prematuro agitare le mani, i gesti di un direttore<br />

davanti ad una orchestra immaginaria,<br />

sogni d’infanzia che come sempre provocano<br />

reazioni diverse nei genitori, tra l’orgoglio di possedere<br />

un enfant-prodige, e il timore di alimentare<br />

una passione forse sbagliata.<br />

La formazione con Guarino<br />

Caracciolo e Ferrara<br />

«Innanzi tutto — corregge il maestro —, niente<br />

di prodigioso nei miei esordi. Avevo la musica<br />

in casa, eravamo a Perugia, ed a tredici anni iniziai<br />

a studiare composizione con mio padre, che<br />

insegnava in quella città; ed egli mi affidò a Piero<br />

Guarino, che insegnava direzione d’orchestra,<br />

per prendere lezioni anche da lui. Quello fu per<br />

me un incontro folgorante, perché mi aprì la<br />

porta a quella che sarebbe stata la mia scelta definitiva».<br />

Ed era anche anomala la situazione di quell’allievo<br />

che, in mezzo a colleghi molto più vecchi<br />

di lui, mostrava talento per quella materia, scelta<br />

come una opzione a quella che doveva essere la<br />

principale, la composizione. Guarino comprese<br />

subito le grandi qualità che albergavano nel suo<br />

allievo, e lo mise a dirigere le sinfonie di Beethoven<br />

con pochi strumenti racimolati in classe: un<br />

flauto, un violino, un contrabbasso... Alla fine<br />

dell’anno, all’esame gli diede un bel dieci, «perché<br />

la lode non esiste nel conservatorio».<br />

Proprio quell’anno andò a Perugia Claudio Scimone,<br />

noto direttore dei «Solisti Veneti» di Padova.<br />

Incontrò Guarino e gli chiese se c’era qualcosa<br />

di nuovo da segnalargli. E questi gli parlò con<br />

entusiasmo del giovanissimo Chailly. Ciò attrasse<br />

la curiosità del maestro, che presentò il quattordicenne<br />

direttore a Padova, con lusinghiero successo.<br />

Fu l’esordio, che lo portò a continuare gli<br />

studi a Milano. Qui incontrò Franco Caracciolo,<br />

maestro di grande carisma, che comprese subito<br />

le sue qualità, e gli insegnò praticamente come<br />

dirigere tutto il repertorio della grande musica.<br />

Terminati gli studi a Milano, occorreva un perfezionamento:<br />

nulla di meglio dei corsi di Franco<br />

Ferrara a Siena. Questo maestro, ormai mitico<br />

nella memoria dei suoi numerosi allievi, lo spinse<br />

verso la maturazione interpretativa, facendogli<br />

compiere progressi notevoli. La presenza di Ferrara<br />

fu «folgorante» per l’allievo, come persona e<br />

come artista.<br />

Da Siena venne via con un «diploma di merito»<br />

a diciannove anni. Prima della prova finale,<br />

incontrò il maestro Bruno Bartoletti, il quale, incuriosito,<br />

volle presenziare al concerto; ed alla fine,<br />

entusiasmato da così inusuale perfezione direttoriale<br />

in un giovane, lo invitò a dirigere a<br />

Chicago, al «Lyric Opera». Vennero poi gli impegni<br />

al teatro Nuovo diMilanoe,infine,allaScala.<br />

Alcune volte, nelle sue occasioni fortunate, è<br />

stato il destino a decidere. Ne parlava ad una intervistatrice<br />

americana molti anni or sono. Ad<br />

esempio, quando diresse «Turandot» a San Francisco,<br />

l’opera fu diffusa per radio. Quella trasmissione<br />

fu ascoltata dal manager della Filarmonica<br />

di Los Angeles; il quale il mattino dopo,<br />

mentre il maestro dormiva profondamente, lo<br />

svegliò per invitarlo a dirigere quell’ottima orchestra.<br />

Vennero presto gli incarichi stabili, oltre alle<br />

indispensabili tournées. Fu davvero un felice momento,<br />

quando Chailly ebbe l’opportunità di vivere<br />

a Berlino, quale capo dell’orchestra della<br />

RIAS, la radio di Berlino occidentale. Un incontrofelice,conunodeimiglioripubblicidelmondo.<br />

Era il 1982: nello stesso tempo occupava il posto<br />

stabile a Berlino, che tenne fino all’88, ed era<br />

nominato «Direttore Principale Ospite» alla «London<br />

Philarmonic», dove restò fino all’85. Inoltre<br />

dirigeva altre grandi orchestre, con il «Metropoli-<br />

tan»elaScala,aViennaed a Monaco di Baviera.<br />

che ha saputo gestire l’emergenza con cura, soprattutto<br />

come direttore d’orchestra; Boulez sapeva<br />

influenzare il pubblico (e quello francese è<br />

meno friabile dell’italiano, perché preparato da<br />

migliori scuole).<br />

«Boulez è un personaggio irripetibile — afferma<br />

il maestro — perché da noi è mancato un direttore<br />

che potesse sperimentare “sulla propria<br />

pelle” le nuove esperienze musicali. In Italia c’è<br />

Berio, ma non è direttore, e quindi non ha le<br />

qualità di convincimento di Boulez. Come c’è voluto<br />

un cinquantennio per distruggere il retaggio<br />

della nostra musica sinfonica, così forse ne occorrerà<br />

un altro, per ricostruire quanto è stato<br />

demolito».<br />

Malgrado questi presupposti, Chailly non ha rinunciato<br />

a convincere il suo pubblico sulla validità<br />

di alcuni brani della nuova musica. Anche se<br />

questi esperimenti sono stati rischiosi.<br />

«Da quando sono a capo dell’Orchestra Verdi<br />

a Milano, ho voluto sperimentare le possibilità ricettive<br />

del migliore pubblico italiano, affezionato<br />

alla “Sala Verdi”, ed alla sua compagine sinfonico-corale,<br />

verso la musica del XX secolo — commenta<br />

il maestro —: ma è sempre stato un rischio.<br />

Ricordo di avere messo in programma<br />

Hindemith, grande compositore del Novecento,<br />

lontanissimo dalle sperimentazione delle “avanguardie”:<br />

ebbene, il pubblico aveva un senso di<br />

paura, di grande diffidenza verso questoautore».<br />

Eppure la serie delle «Kammermik» è conside-<br />

rata fondamentale nella produzione del suo tem-<br />

po, come quella di un Bach dei<br />

nostri giorni. La reazione milanese<br />

fu questa: gli ascoltatori<br />

intellettuali, furono eccitati dall’evento<br />

ed accorsero ad ascoltare.<br />

Il grande pubblico, invece,<br />

restò a casa. Il dubbio non<br />

stimola questa importante parte<br />

di ascoltatori, li lascia fuori; e<br />

questo, purtroppo, è il retaggio<br />

degli errori organizzativi dei<br />

passati decenni.<br />

«Quando eseguiamo la IX<br />

Sinfonia di Beethoven abbiamo<br />

il “tutto esaurito”, e questo ci<br />

fa onore; ma quando mettiamo<br />

in programma Arcana di Varèse,<br />

che è un brano emblematico<br />

del Novecento, vi sono molti<br />

vuoti in sala. Questo significa<br />

che la crisi di rigetto non è passata»,<br />

conclude il maestro.<br />

Del resto, in Italia vi è la<br />

sproporzione tra l’ascolto di<br />

opere, con circa ventitré enti lirici<br />

attivi nella penisola, e le<br />

grandi orchestre sinfoniche,<br />

che non superano le cinque<br />

unità. Questo non accade nei Paesi colti d’Europa,<br />

come Germania, Austria, Francia, Inghilterra.<br />

In questi Paesi il pubblico ascolta musica da<br />

concerto e opere, dando in alcuni luoghi preferenza<br />

alla prima.<br />

L'Italia e lo scarso legame<br />

con la tradizione concertistica<br />

L’Italia è stato sempre il Paese del melodramma,<br />

e quindi il concerto è stato messo in seconda<br />

linea. Ed ancora oggi se ne vedono le conseguenze.<br />

A parte Milano, non si vede alcun progresso<br />

nel settore. A Roma, forse si inaugura il<br />

prossimo anno il nuovo auditorio, ed è un significativo<br />

passo avanti. A Napoli, malgrado la grande<br />

sala della RAI, da quando è stata decretata la<br />

fine delle orchestre dell’Ente, non vi è più una<br />

attività fissa, a parte un recente tentativo del<br />

Conservatorio e gli abituali concerti del teatro<br />

San Carlo. A Palermo si cerca di sopperire al<br />

meglio, ma manca un degno auditorio, tutto<br />

rientra nei teatri.<br />

Perché in Italia non si è tenuto conto della tradizione<br />

concertistica? A Roma vi era l’Auditorium<br />

dell’Augusteo, che ha svolto una attività<br />

mitica tra le due guerre. Distrutto quel luogo è<br />

rimasto un «buco», forse tra poco colmato. Ma è<br />

sempre una vergogna che una grande città non<br />

sia stata capace di rifare un luogo dedicato ai<br />

concerti in tanto tempo.<br />

«Se l’Accademia di Santa Cecilia — aggiunge il<br />

maestro — avesse avuto a lato altre sette compagini<br />

simili in altre grandi e medie città, non<br />

<strong>L'OSSERVATORE</strong> <strong>ROMANO</strong> Lunedì-Martedì 31 Dicembre 2001-1 Gennaio 2002<br />

Riccardo Chailly intervistato da Antonio Braga<br />

RiccardoChailly è nato a Milano il 20 febbraio 1953. Il padre, Luciano, noto<br />

compositore, è stato il suo primo maestro. Dopo avere studiato composizione<br />

con lui, a Perugia, passò a Milano a studiare con Bettinelli, e direzione<br />

d’orchestra con Franco Caracciolo. Seguì anche i corsi di Franco Ferrara.Nonappenaventenne,divenneassistentedi<br />

Claudio Abbado alla Scala.<br />

Fece il suo debutto in questo teatro nel 1978 e divenne rapidamente noto<br />

a Vienna, al «Metropolitan» di New York, al «Covent Garden» a Londra, e<br />

all’Opera di Baviera a Monaco. Il giovane Maestro volle anche sperimentare<br />

la musica sinfonica, oltre a quella lirica, che gli era congeniale come italiano.<br />

Dal 1982 al 1988 è stato direttore stabile dell’Orchestra della radio di Berlino,<br />

RIAS, e principale direttore ospite della «London Philarmonic», ma il<br />

suo momento più notevole lo colse quando iniziò la collaborazione con la<br />

«Royal Concertgebouw Orchestra» ad Amsterdam, con la quale era destinato<br />

ad avere un incarico stabile, che si protrae fino ad oggi.<br />

Ha registrato per la Decca per più di venti anni. Con questa ha realizzato<br />

molte registrazioni di opere in grandi esecuzioni, dal ’78 ad oggi.<br />

Ha diretto i «Berliner Philarmoniker», i «Wiener Philarmoniker», l’«Orchestre<br />

de Paris», la «London Symphony», la «New York Philarmonic», le orchestre<br />

di Cleveland e Boston, avendo un ruolo principale con quella di<br />

Chicago.<br />

Dopo il debutto alla Scala nel ’78, ha diretto in tutti i maggiori teatri lirici<br />

del mondo. Nell’84 ha inaugurato il festival di Salisburgo, ed è stato direttore<br />

stabile della «London Philarmonic» dal 1983 al 1989. Dal 1986 al 1993<br />

avremmo avuto questa fuga di pubblico, questa<br />

disaffezione che si nota in molti centri».<br />

Qui il Nostro lancia un progetto di sfida: secondo<br />

lui, bisognerebbe, tornando agli Enti Lirici,<br />

creare un cartellone unico, e farlo girare tra i<br />

grandi teatri italiani. Si eviterebbe così lo scempio<br />

di denaro con quattro allestimenti di «Traviata»,<br />

ad esempio, nello stesso anno.<br />

Un'idea contro<br />

la programmazione «localistica»<br />

Con un «cartellone centrale» si potrebbe, attraverso<br />

una commissione unica, stabilire al meglio<br />

la programmazione, con grandi cantanti, scenografie,<br />

regie; e farle circolare, se non in tutti, nei<br />

maggiori teatri. Questo progetto, di per sé assai<br />

sensato, trova l’opposizione dei sovrintendenti,<br />

sempre in sterile lotta fra di loro. Altrove non è<br />

così: in Svizzera, l’Opera di Zurigo passa i suoi<br />

spettacoli al teatro di San Gallo, e agli altri.<br />

«Qui siamo ancorati ancora ad una cultura retriva,<br />

localistica», commenta amareggiato il Nostro.<br />

Se si potesse alternare il repertorio tra Settecento,<br />

opera romantica e Novecento, ci sarebbe<br />

da guadagnare in termini di cultura. Ma in<br />

Italia vi è questo «monocentrismo» degli enti lirici,<br />

e c’è tanta strada da fare per migliorare le offerte<br />

al pubblico.<br />

Ad aiutare il pubblico, a Milano è stata messa<br />

in moto la formula del «discovery concert», così<br />

come era già praticato alla «London Philarmonic»:<br />

il pubblico ascolta il brano, con il direttore<br />

che ne spiega i meccanismi, assieme ad aneddoti<br />

su di quello, e le note all'esecuzione che venivano<br />

dalla concertazione. In tal modo entra nel tessuto<br />

sinfonico, e si sentiva più a suo agio nell’ascolto<br />

successivo. Questa formula ha ottenuto a<br />

Milanounenormeconsensodapartedelpubblico.<br />

Non è senza sforzo che si porta a termine questa<br />

formula, che deve essere presentata all’impronta<br />

(pur se si parte da uno schema), per offrire<br />

spiegazioni valide e spontanee. Il maestro confessa<br />

che fare l’oratore e dirigere non è sforzo da<br />

poco; ed anche l’orchestra, alla vigilia dell’esecuzione,<br />

è nervosa, perché spesso è chiamata ad<br />

intervenire per sezioni, allo scoperto, in modo<br />

che eventuali errori non emergano. Ma vale la<br />

pena di sperimentare questo intento didattico,<br />

che ora si sta diffondendo in molti Paesi.<br />

Tra i compositori preferiti da Chailly, vi sono<br />

molti in posizioni antitetiche. Ad esempio, nell’opera,<br />

Rossini e Puccini; ma nella musica sinfonica,<br />

egli ama Mahler. Nel 1995, per celebrare in<br />

uno speciale «Mahler Festival» il centesimo anniversario<br />

del primo concerto diretto al «Concertgebouw»<br />

di Amsterdam dal grande maestro, si<br />

immerse nelle partiture del grande compositore.<br />

La sua frequentazione con la grande orchestra<br />

olandese, iniziata da oltre un quarto di secolo, lo<br />

ha plasmato; così come egli ha plasmato l’orchestra,<br />

ereditata da Haitink dal 1988. Qui, sino ad<br />

oggi, si è formato un sodalizio ferreo, che ha<br />

coinvolto il pubblico e l’orchestra. I gusti di quel<br />

pubblico sono raffinati ed aperti alle musiche del<br />

XX secolo. Tra i grandi, Mahler e Bruckner hanno<br />

un posto di rilievo.<br />

«Da Bruckner e Mahler sprigiona l’incanto di<br />

-RICCARDO CHAILLY-<br />

una strumentazione che è largamente derivata<br />

da quella wagneriana: essa è preziosa, ed offre<br />

tante occasioni all’orchestra per brillare — commenta<br />

il maestro —. Ma non basta soffermarsi<br />

su alcuni tardo-romantici; è bello poter spaziare<br />

tra i tanti compositori precedenti e successivi a<br />

questi», conclude con entusiasmo.<br />

Chailly studia «più di quanto non lo esegua»,<br />

Giovanni Sebastiano Bach: questo grande compositore<br />

sta alle sorgenti della musica sinfonica e<br />

sinfonico-corale. Ciò lo porta a dirigere ogni anno<br />

a Milano, come ad Amsterdam, la «Passione<br />

secondo san Matteo», pagina di «folgorante bellezza»,<br />

che arricchisce l’atmosfera della Settimana<br />

Santa. Una tradizione che è divenuta fissa per<br />

il pubblico milanese. «All’inizio — spiega il maestro<br />

— è stato un inserimento forzato per il pubblico<br />

milanese, questo della “Passione”, che è un<br />

brano della tradizione protestante, più che di<br />

quella cattolica. Eppure, ormai, a Milano non<br />

può mancare questa sublime pagina di riflessione<br />

cristiana. È stato un magnifico trapianto di due<br />

culture, con la stessa origine spirituale».<br />

Altro brano, e questo tutto italiano, pieno di<br />

una spiritualità solare, e profondamente cattolica,<br />

è lo «Stabat Mater» di Rossini, anch’esso inserito<br />

definitivamente nella celebrazione della<br />

Settimana Santa milanese, con il Coro della Verdi<br />

diretto da Romano Gandolfi.<br />

Ed i giovani, seguono questa corrente di rinnovamento<br />

spirituale? Attraverso i suoi figli, Ales-<br />

sandro, che ha trent’anni, e Luana, di ventiquat-<br />

tro, e gli amici di questi, Chailly<br />

può avere un piccolo osservatorio<br />

su quanto accade oggi.<br />

Nella gioventù odierna alligna<br />

una grande insicurezza spirituale,<br />

un bisogno di miti cui aggrapparsi,<br />

un ondeggiare con<br />

alterni entusiasmi su progetti<br />

stimolanti, spesso illusioni. Ma<br />

forse in tanto muoversi, in quegli<br />

animi si verifica un bisogno<br />

di spiritualità, che sfocia nell’amare<br />

la musica sacra, quale<br />

elementodipaceediriflessione.<br />

Infine, molti tra di loro vengono<br />

sconvolti dal significato<br />

tragico della vita di Cristo,<br />

ascoltando la «Passione» di Bach.<br />

«Da questa risalgono al Credo<br />

— afferma il maestro — che<br />

può maggiormente rafforzare la<br />

loro convinzione d’essere sulla<br />

strada giusta». Ecco come un<br />

capolavoro della musica può<br />

giungere allo spirito, ed aiutarlo<br />

a rafforzarsi nella fede.<br />

«Nei giovani la musica classi-<br />

ca rende un particolare aiuto<br />

allo sviluppo spirituale, anche a quella “civiltà<br />

cattolica” che molti non hanno potuto ricevere<br />

nella loro normale educazione» afferma il maestro.<br />

Non si dimentichi che, sempre nella «Passione»,<br />

il testo del Picander, drammatico, a volte<br />

violento, che descrive le ultime ore di Cristo, circondato<br />

da orde ostili — quante riflessioni sul<br />

mondo contemporaneo — è di grande suggestione.<br />

Il raffronto con la vita odierna è ovvio. Quel<br />

testo, proiettato sullo schermo durante l’esecuzione,<br />

genera un «mostruoso sconcerto» nell’animo<br />

dei giovani, in prima linea; e per la durata di<br />

tre ore — tante ne passano per la «Passione» di<br />

Bach —, ci accompagna attraverso eventi di<br />

enorme drammaticità.<br />

L'entusiastica dedizione<br />

all'«Orchestra Verdi»<br />

Chailly tra due grandi orchestre: il più che<br />

centenario «Concertgebouw» di Amsterdam, con<br />

la splendida sala, piena di ricordi, di fantasmi del<br />

passato, di grandi direttori su quel podio; e a Milano<br />

quest’orchestra di «giovani» — ora un poco<br />

più maturi —, che sopperisce con l’entusiasmo<br />

ed il lavoro arduo alla mancanza di storia. Ed<br />

ancora, il recente Auditorio milanese, sorto sulle<br />

rovine di un vecchio cinema, divenuto luogo di<br />

unità per un pubblico che vi si ritrova come nel<br />

proprio salotto. Una attività densa, scandita da<br />

un calendario che non lascia posto all’ozio, alle<br />

vacanze.<br />

Il maestro dice che in Olanda, tra pubblico ed<br />

orchestra, «è un prendere e dare»; mentre a Milano<br />

«è un dare». Ma il pubblico si sta formando<br />

ha avuto l’incarico di direttore stabile presso il Teatro Comunale di Bologna,<br />

ove ha diretto molte produzioni operistiche di successo.<br />

Al «Concertgebouw» ha diretto molta musica contemporanea, attirando un<br />

pubblico sempre più numeroso. Ha compiute con questa grande Orchestra<br />

molte tournées nei festival europei (Salisburgo, Lucerna, Vienna, Londra).<br />

Nel 2001 è tornato sul podio dei «Berliner Philarmoniker». Ha diretto anche<br />

nuove produzioni di «Falstaff» e «Otello» di Verdi, e «Tosca» di Puccini<br />

alla «Nederlandse Opera».<br />

Nel 1994 è stato insignito dell’Ordine di Grand’Ufficiale della Repubblica<br />

Italiana e nel ’96 è stato nominato Membro Onorario della «Royal Academy<br />

of Music» di Londra. È stato anche insignito del titolo di «Cavaliere di Gran<br />

Croce» della Repubblica Italiana.<br />

Nel ’98, in occasione del decennale della sua permanenza presso il<br />

«Concertgebouw», ha ricevuto dalla Regina d’Olanda l’onorificenza di «Cavaliere<br />

dell’Ordine del Leone d’Olanda». Dal luglio del 1999 ha assunto la<br />

carica di Direttore musicale dell’«Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe<br />

Verdi», mantenendo la guida della «Royal Concertgebouw Orchestra» di<br />

Amsterdam.<br />

Con la Decca ha registrato un ampio repertorio sinfonico ed operistico,<br />

vincendo molti premi. Di recente è stato nominato «Artista dell’anno» dalla<br />

rivista francese «Diapason» e dall’inglese «Gramophone». Con l’Orchestra<br />

«Verdi» ha inciso «Verdi Heroines» e i brani di musica sacra di Verdi, in<br />

prima registrazione assoluta.<br />

rapidamente, e questa compagine regionale guadagna<br />

un posto di rilievo tra le attività culturali<br />

cittadine.<br />

È evidente che la natura di Riccardo Chailly è<br />

profondamente dinamica; il suo entusiasmo verso<br />

questo nuovo «giocattolo» che è l'«Orchestra<br />

Verdi» è enorme, la sua dedizione infinita. In<br />

questo, non vi è dubbio che il suo carattere possa<br />

essere definito «romantico». Tutto scorre perfettamente<br />

organizzato, dalla preparazione delle<br />

partiture, alla messa in cantiere nei suoi dettagli,<br />

attraverso una complessa concertazione, sino all’esecuzione<br />

in pubblico. E, in molti casi, con la<br />

successiva fase, quella che rimane impressa su<br />

disco. In più di venti anni Chailly ha realizzato<br />

oltre ottanta registrazioni, comprese dieci opere.<br />

Ma il discorso sulla sua enorme discografia ci<br />

porterebbe lontano.<br />

Tra i progetti successivi al nostro incontro, c’è<br />

Lipsia, con quella ottima orchestra del «Gewendhaus»<br />

che è da poco rientrata nei circuiti internazionali,<br />

essendo stata confinata a lungo tra<br />

quelle dell’Europa dell'Est; l’ultima volta che il<br />

maestro la diresse, fu nell’86 a Salisburgo, altro<br />

luogo di grande musica, nel quale è stato presente<br />

dagli inizi della carriera. In programma la musica<br />

russa, con la Suite da «Romeo e Giulietta» di<br />

Prokofiev e la Quinta Sinfonia di Ciaikovsky.<br />

E poi l’America, verso la quale c’è sempre stato<br />

un rapporto privilegiato, in special modo con<br />

l’Orchestra «Philarmonia» di Chicago, da un<br />

trentennio ormai. Il pubblico americano è tra i<br />

migliori: entusiasta, pronto a decretare il successo<br />

di un concerto, di un direttore, dei solisti. Ma<br />

ha in comune con l’italiano il terrore del nuovo,<br />

non sopporta, o sopporta male, nomi di compositori<br />

contemporanei sconosciuti. Forse ancor più<br />

che in Italia.<br />

«Non dimentichiamo che il promotore dei primi<br />

grandi concerti in America è stato Stokowsky,<br />

il quale si era conquistato un tale carisma,<br />

che poteva tentare di mettere in programma anche<br />

musica del XX secolo, sconosciuta ai più. A<br />

lui si perdonava tutto», commenta il Nostro.<br />

«Del resto — aggiunge il maestro — lo stesso<br />

Stokowsky, con la sua caparbia decisione di rinnovare<br />

il repertorio, allargandolo ai contemporanei,<br />

provocò la sua fine»; perché «invece di ottenere<br />

che la città seguisse lui, fu questa a non seguirlo<br />

più, decretandone l’abbandono». Quel<br />

pubblico è tornato ad essere diffidente, e preferisce<br />

«cadere sul sicuro», ed ascoltare musica già<br />

collaudata.<br />

Eppure, per un direttore, cosa sarebbe cedere<br />

alla tradizione più retriva? È vero che chi dirige<br />

un brano nuovo rischia in proprio; ma non si<br />

può evitare di mettere in programma qualcosa<br />

che faccia progredire la cultura musicale. A suo<br />

avviso, la soluzione consiste nel bilanciamento<br />

dei programmi, fatti con grande oculatezza, tenendo<br />

presente la reazione del pubblico, ma cercando<br />

di correggerla con brani già noti ed apprezzati,<br />

posti nello stesso gruppo di esecuzioni.<br />

Scegliere la musica nuova, stabilire qual è<br />

quella che conta prima di presentarla, e poi offrirla<br />

nel migliore dei modi: solo in questo caso<br />

si rischia meno. È molto comodo ripetere quei<br />

trenta o quaranta brani che formano il nocciolo<br />

dei programmi; ma la professione ne soffre, si diviene<br />

schiavi della routine, non si procede verso<br />

il futuro. Bisogna osare, senza giungere agli<br />

estremi, tenendo conto della ricettività del pubblico,<br />

di ogni singolo pubblico, nei paesi in cui si<br />

eseguono le composizioni «da sfida».<br />

Riccardo Chailly vive tra le due sedi principali<br />

della sua attività, Amsterdam e Milano. Il suo<br />

rapporto privilegiato con la «Royal Concertgebouw<br />

Orchestra» è ormai stabilito da dodici anni;<br />

mentre da tre è sorto con l’«Orchestra Sinfonica<br />

di Milano Giuseppe Verdi». Oltre Berlino e<br />

Chicago, che hanno inciso sulla sua carriera, egli<br />

non dimentica Salisburgo, dove è presente da<br />

molti decenni; e Bologna, dove è stato per anni<br />

direttore artistico del Teatro Comunale.<br />

Non sempre è «filato tutto liscio», con queste<br />

orchestre, non per ragioni artistiche, o di comunicazione<br />

con gli esecutori, ma per cause burocratiche,<br />

o per il continuo cambio di esecutori alle<br />

prove, come accadde a Vienna. Qui ha diretto<br />

nel ’98 un concerto con brani di Zemlinsky e<br />

Korngold, che non erano stati mai eseguiti, e<br />

non vi è stato alcun problema di ricettività da<br />

parte degli esecutori e del pubblico.<br />

Quando giunse ad Amsterdam, aveva trentadue<br />

anni, e si trovò di fronte ad un colosso di<br />

centoquindici esecutori abituati ad una routine<br />

di lavoro precisa. Il giovane direttore<br />

italiano prese il suo incarico d’emblée,<br />

affidandosi al suo sesto senso: egli stesso<br />

confessa che, se avesse saputo appieno<br />

quanto fosse difficile rompere il muro di<br />

una tradizione, non avrebbe osato procedere<br />

in quell’atteggiamento. Il concerto<br />

del 1985 fu il suo biglietto da visita<br />

con quella prestigiosa istituzione; vinse<br />

la sua battaglia attraverso un rapporto<br />

umano che conquistò l’orchestra. Da allora<br />

ne fu indissolubilmente legato. Anche<br />

perché ad Amsterdam molta musica<br />

di «avanguardia» (che oggi può essere<br />

definita di «post-avanguardia») è sempre<br />

piaciuta, non solo al pubblico giovane,<br />

ma anche agli esecutori, in specie adesso<br />

— a differenza degli esordi — rinnovati<br />

nei ranghi.<br />

Al termine di questa piacevole conversazione<br />

giunge la signora Chailly, per<br />

accompagnarmi all’uscita, assieme al<br />

maestro. Egli ammette che la famiglia è<br />

il fulcro del suo lavoro, la ragione stessa<br />

della sua esistenza: la consorteorganizza<br />

il flusso degli incontri, aiutandolo ad isolarsi<br />

da quanto possa essere d’intralcio<br />

alla concentrazione nelsuolavorodianalisi<br />

delle partiture. «Senza la famiglia —<br />

dice soddisfatto il maestro — la mia esistenza<br />

sarebbe finita. È ad essa che devo<br />

il mio grande equilibrio spirituale».

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