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L'OSSERVATORE ROMANO

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ERZA T PAGINA .<br />

PAGINA<br />

9 .<br />

Una rilettura delle «Rovine di Parigi» di Giovanni Macchia<br />

«Gli illuministi tendevano<br />

a impoverire il mondo»<br />

MARCO TESTI<br />

Lo spazio della città. Benjamin ne sapeva<br />

qualcosa: la Parigi di Baudelaire,<br />

fatta di quartieri demoliti, o in via di<br />

sparizione, e che lasciavano ancora sentire<br />

gli odori intensi dei vicoli, delle case<br />

che si sviluppavano in alto per mancanza<br />

di spazio, i luoghi che rimandavano,<br />

ma solo i poeti, ai vagabondi volontari,<br />

agli irregolari, ai perdigiorno senza fissa<br />

dimora.<br />

Poi c’è lo spazio, insieme reale e simbolico,<br />

delle Rovine di Parigi di Macchia,<br />

riproposto negli Oscar Mondadori<br />

(pp.370, L. 16.000). E qui siamo di fronte<br />

ad un’altra città, rispetto a quella dei<br />

poeti maledetti, a quella degli sradicati,<br />

anche se lo studioso da poco scomparso<br />

non li esclude, anzi li incorpora in un<br />

più vasto discorso sui destini della cultura<br />

francese tra Settecento e Ottocento.<br />

In fondo Macchia sosta sul margine<br />

dell’abisso, corteggia i non-sistematici, i<br />

pensatori cultori del frammento, della<br />

massima, dell’aforisma, gira loro intorno<br />

con apparente noncuranza: Montaigne,<br />

cui è dedicato il primo saggio, è<br />

ammirato come scrittore non costruttivo,<br />

ma narratore di sé, ripiegato sulle<br />

proprie sconfitte, arrivato al cuore rovente<br />

del redde rationem con la storia<br />

personale.<br />

Questa a-sistematicità di Montaigne<br />

affascina lo studioso, che rivela senza<br />

parere la dimensione nascosta del proprio<br />

pensiero: il labirinto del ripiegamento,<br />

che somiglia al labirinto studiato<br />

da Kérenyi, intestino, filo attorcigliato<br />

del troppo umano che esorcizza la discesa<br />

della morte. Questa pulsione verso<br />

la vita, intesa come disvelamento dell’energia<br />

totale di anima e corpo affiora<br />

anche nelle pagine bachtiniane di Macchia,<br />

che davvero qui sorprende per il<br />

suo coraggio esegetico, la sua disposizione<br />

a dare giudizi chiari e semplici: l’antilluminismo<br />

di Bachtin «era essenziale.<br />

Gli illuministi tendevano a impoverire il<br />

mondo. La realtà era per essi come sfigurata<br />

dalle sopravvivenze, dai pregiudizi,<br />

dalle fantasie, dai sogni» (p.35). È<br />

una dichiarazione di gusto, uno scatto<br />

di liberazione, più che un argomento<br />

critico-ermeneutico.<br />

Macchia rivela anche qui il suo amore<br />

per il nascosto, per il simulato, per la<br />

mise en abime della scatola-uomo che<br />

nasconde un altro uomo e così via, verso<br />

il nucleo magmatico e non controllabile<br />

delle sue profondità, il che mi sembra<br />

una grande lezione di libertà vera:<br />

l’anima dell’uomo è libera e non la si<br />

può ingabbiare.<br />

La letteratura è di per sé un continente<br />

che cambia lentamente aspetto, spezzato<br />

da movimenti endogeni, da fratture<br />

profonde, che comunica da sempre con<br />

le altre manifestazioni dello spirito umano,<br />

la musica, l’arte figurativa, il teatro<br />

(ed il teatro non è assente da questa<br />

raccolta). Ma è l’arte che Macchia pone<br />

come contraltare alle ambiguità della<br />

scrittura, e chi, se non Watteau, il pittore<br />

delle Citere tanto care a Montesquieu<br />

o ad Algarotti, poteva servire da simbolo,<br />

da idolo polemico di un momento<br />

culturale che se idoleggiava la ragione,<br />

si rifugiava però nel giardino incantato<br />

degli amorini e delle allegorie stabilite<br />

una volta per tutte, svuotate dall’energia<br />

profonda del simbolo?<br />

Macchia come sempre cerca di andare<br />

al cuore della questione: Watteau pone<br />

ed insieme cancella l’isola della ragione<br />

dal suo universo e da quello dei<br />

poeti e degli artisti superstiti dal secolo<br />

di Luigi XIV. Watteau cerca di riassumere<br />

danza, poesia, musica, arte di<br />

un’epoca che affogava nel mare di Citera,<br />

e che poneva la moda come reazione<br />

a questa morte.<br />

Le contraddizioni dell’età dei lumi sono<br />

sintetizzate nelle lettere dall’Italia di<br />

Montesquieu: la nostra penisola è, per<br />

l’autore dell’Esprit du lois un richiamo<br />

non controllabile del paganesimo, mentre<br />

egli contava di verificare analiticamente<br />

sul terreno i reperti e i documenti<br />

che potevano servirgli per la stesura<br />

delle Considérations sur le causes de la<br />

grandeur des Romains et de leur décadence.<br />

Le contraddizioni del Settecento trovano<br />

uno specchio riflettente in Rousseau:<br />

Macchia affronta questa cerniera<br />

fondamentale tra Sette e Ottocento con<br />

la finezza che gli è propria, sondando<br />

insieme persona e pensiero, perché come<br />

tutti i maestri di umanità sanno,<br />

l’uomo è dato dall’insieme non algebrico<br />

di tutte le sue componenti irriducibili<br />

ad un’analisi quantitativa.<br />

Rousseau è visto all’interno della sua<br />

sfortuna, del suo porsi sempre e comunque<br />

dal di fuori, come non invitato alla<br />

grande festa della ragione, eppure nostalgico<br />

della festa perduta, dell’equilibrio<br />

archetipico che faceva dell’uomo<br />

un essere naturale. La contraddizione<br />

più evidente di questo isolato è che «era<br />

uno dei più grandi letterati del suo tempo<br />

eppure condannava la letteratura»<br />

(p.124). Si pose il problema della sincerità,<br />

ma, come nota bene il compianto<br />

studioso, la scelta del genere epistolare<br />

non lo poneva fuori dall’insincerità, perché<br />

in un romanzo, seppure fatto di lettere,<br />

il narratore può dire quel che vuole,<br />

può mentire, perfino a se stesso.<br />

Rousseau che ne esce fuori non deve<br />

essere simpatico a Macchia, perché<br />

quello guarda indietro, attacca il suo<br />

tempo ed anche una parte del passato,<br />

ma, ecco ancora una contraddizione,<br />

pone le basi per la melancholia romantica,<br />

e per una modernità fatta di rimpianto<br />

e insieme spirito rivoluzionario.<br />

La rilettura delle Rovine di Macchia<br />

ci porta poi di fronte all’anti-letteratura,<br />

davanti alla negazione della creatività e<br />

del coraggio poetico, in casa di un buon<br />

borghese, Célestin Guittard che a 67 anni,<br />

e in una data importante, quella del<br />

1791, decide di scrivere il suo diario.<br />

Grazie a lui abbiamo una messe di notizie<br />

eccezionali sul periodo più oscuro e<br />

drammatico della rivoluzione, ma anche<br />

la controprova del perché poco dopo i<br />

poeti romantici reagissero con tanta<br />

acrimonia al concetto di filisteo borghese.<br />

Il borghese — sembra suggerirci il<br />

buon cittadino Guittard, non è solo un<br />

piccolo possidente o un commerciante<br />

che si vuole godere in santa pace le sue<br />

rendite, fumare tranquillamente la sua<br />

pipa nel decoroso salotto di casa sua,<br />

godere la tranquillità domestica, ed essere<br />

soprattutto lasciato libero di commerciare<br />

e dare una ritoccatina ai prezzi<br />

quando ci vuole; il borghese è anche il<br />

brav’uomo che non sta da nessuna parte,<br />

dà dell’eroe al vincitore e del farabutto<br />

al perdente. Oggi a te, domani pure,<br />

se per te si legga gli altri: viva Robespierre<br />

finché dura, poi viva la reazione<br />

termidoriana e morte allo scellerato giacobino.<br />

È un quadro stupendo, nella sua terribilità,<br />

del quieto vivere, del gioco delle<br />

parti e del tacere a se stesso. Ma non<br />

perché Guittard sapesse di mentirsi: perché<br />

egli non ha proprio una coscienza,<br />

ed è al contrario consapevole, ma alla fine,<br />

dell’inutilità di tanto sangue che ha<br />

portato solo crisi economica e fame.<br />

Questo sembra scuoterlo, ed è la prova<br />

di quanto arbitrarie siano state certe<br />

mitizzazioni pseudo-storiche di rivoluzionari<br />

e non. Macchia ci presenta questo<br />

affresco biografico in maniera davvero<br />

magistrale: pochi tocchi, nessun giudizio<br />

facile e scontato, la nuda scrittura di cose<br />

e di eventi, ma dal punto di vista talvolta<br />

desolante di una umanità costretta<br />

a subire, unicamente subire, eventi, in<br />

attesa del prossimo vincitore.<br />

La seconda parte del volume è quella<br />

dedicata agli spazi della città, intesa come<br />

luogo della scrittura, la Parigi e la<br />

scrittura di Balzac e della sua ossessione<br />

descrittiva, ma anche come testa troppo<br />

grande di una Francia provinciale dove<br />

l’immaginazione compensatoria crea i<br />

mostri alla Madame Bovary; oppure la<br />

città di Zola, che appare, come molti<br />

degli scrittori qui studiati, colmo di ossessioni<br />

e manie.<br />

Si diceva come Macchia sembrasse attirato<br />

dalla parte nascosta della luna,<br />

dall’insidia che si cela dietro la padronanza,<br />

l’affabulazione, il controllo dei<br />

propri mezzi espressivi, la capacità di<br />

dominare fantasmi inquietanti. Chi leggesse<br />

in questo approccio un ritorno alla<br />

equazione letteratura - vita sarebbe in<br />

errore: qui c’è letteratura malgrado la<br />

vita privata, malgrado l’oscurità e le<br />

contraddizioni biografiche.<br />

Non assistiamo però ad una ennesima<br />

riproposizione della funzione compensatoria<br />

della letteratura. Qui esce fuori il<br />

grande equilibrio di marca realistica di<br />

Macchia, che afferma la inafferrabile<br />

fluidità dell’essere e delle sue manifestazioni:<br />

Zola era insidiato da pulsioni irrazionali,<br />

ma scriveva per mostrare i meccanismi<br />

deterministici della società e<br />

della biologia.<br />

Questa edizione delle Rovine ci ripropone<br />

brevi pagine sulla compostezza, la<br />

ricerca della bellezza di Anatole France<br />

e una ulteriore conferma della continuità<br />

«classica» tra antico e moderno nell’episodio<br />

già da altri affrontato: l’incontro<br />

tra Enea e Andromaca in Epiro.<br />

Si apre la grande questione della teatralità<br />

della letteratura, che qui diviene<br />

discorso sugli spazi della finzione. Andromaca<br />

ricostruisce un’altra Ilion,<br />

piange su un simulacro e non sul corpo<br />

di Ettore, e anche Macchia, come Starobinki<br />

si riallaccia alla lettura «parigina»<br />

di quest’episodio in «Le Cygne» di Baudelaire.<br />

La città moderna è il simulacro<br />

di antiche mura e eroici furori che non<br />

possono più esistere. Non rimane che<br />

il tempo dell’esilio, il tempo in cui si<br />

può solo accettare il vagabondaggio-comunione<br />

con la città come Baudelaire<br />

o il rimpianto degli dèi assenti come<br />

Hölderlin.<br />

I poeti sono spettatori, dice Macchia,<br />

dello sgretolarsi della città sotto i loro<br />

occhi, ma devono accettare il proprio<br />

essere come testimonianza di una promessa<br />

perduta, di un altrove che un<br />

tempo fu qui. Parigi è insieme paradiso<br />

e inferno. La città è, lo insegna Huysmans,<br />

tentazione del rimpianto e coraggio<br />

di accettare il tempo e lo spazio<br />

dell’oggi. Il discorso di Macchia, ha saputo<br />

essere sapientemente deduttivo, dal<br />

generale al particolare, dalla Francia del<br />

Settecento alla Parigi del XIX secolo e<br />

oltre.<br />

Le rovine sono quelle di Baudelaire,<br />

ma anche quelle di ogni epoca che cancella<br />

e afferma, in cui ogni cosa sembra<br />

essere nuova e vecchia insieme. Macchia<br />

dice in fondo questo, che le contraddizioni<br />

fanno parte di un luogo che<br />

è inscritto in un tempo, e che i sogni<br />

puramente umani da realizzare a tutti i<br />

costi divengono le carceri infere di Piranesi.<br />

<strong>L'OSSERVATORE</strong> <strong>ROMANO</strong> Lunedì-Martedì 3-4 Dicembre 2001<br />

Giunge alle strette finali un progetto di scavi e di lavori inaugurato nel 1997<br />

Il «Parco del Battesimo» a Wadi Kharrar:<br />

recenti scoperte archeologiche<br />

sulla sponda orientale del fiume Giordano<br />

MICHELE PICCIRILLO<br />

Sono trascorsi quasi cinque anni da quando nel<br />

novembre 1997 re Hussein di Giordania formò una<br />

commissione reale con il compito di riaprire i santuari<br />

del Battesimo del Wadi Kharrar sulla sponda orientale<br />

del fiume Giordano in occasione del Grande Giubileo<br />

cristiano del 2000. La morte del re e i tragici<br />

eventi che si susseguono in Medio Oriente hanno soltanto<br />

ritardato la realizzazione del progetto giunto<br />

oramai alla fine.<br />

La Commissione si è mossa su tre piani complementari:<br />

l’indagine archeologica per determinare l’esatta<br />

ubicazione e consistenza dei monumenti visitati<br />

dai pellegrini fino al XII secolo nel Wadi Kharrar, lo<br />

studio e la preparazione di un progetto di Parco per<br />

la conservazione dell’ambiente naturale della piccola<br />

valle pur inserendo dei percorsi e i servizi per i pellegrini,<br />

la realizzazione del progetto in tempi brevi.<br />

La ricerca archeologica venne affidata al Diparti-<br />

mento delle Antichità, la preparazione del progetto ad<br />

un gruppo di architetti guidati da Vito<br />

Sonzogni e dagli archeologi francescani del<br />

Monte Nebo, la realizzazione ad una impresa<br />

locale giordana.<br />

Nelle grandi linee il progetto prevedeva<br />

una zona protetta con al centro il piccolo<br />

Wadi, un Centro di accoglienza per i pellegrini<br />

ai margini del parco arrivando, e<br />

due punti di raccoglimento per la preghiera,<br />

nei pressi della sorgente dove i pellegrini<br />

ricordavano la Betania al di là del Giordano<br />

ricordata nel Vangelo di Giovanni, e<br />

sulla sponda del fiume, per commemorare<br />

il Battesimo di Gesù nel luogo indicato<br />

dalla tradizione palestinese.<br />

Alla ricerca archeologica condotta dai<br />

giovani del Dipartimento in un ambiente<br />

estremamente difficile, si deve la riscoperta<br />

dei due santuari una volta visitati dai<br />

pellegrini, la Cappella di san Giovanni sulla<br />

cima di Tell Mar Liyas nei pressi della<br />

sorgente, e la Chiesa delle Vesti sulla<br />

sponda del fiume.<br />

La Cappella di san Giovanni faceva parte<br />

del complesso monastico di Sapsafas ricordato<br />

da Giovanni Mosco nel Prato Spirituale<br />

e nella Carta musiva di Madaba.<br />

Una iscrizione in greco nel mosaico della<br />

cappella scavata nel terreno marnoso della<br />

collina ci ha conservato alcuni dettagli di<br />

cronaca che integrano il racconto del Prato<br />

Spirituale.<br />

In essa si legge: «Con la grazia di Cristo<br />

nostro Dio tutto il monastero fu costruito<br />

al tempo di Rotorios, prete amatissimo da<br />

Dio e igumeno. Che Dio abbia misericor-<br />

dia di lui».<br />

La XXXXIV edizione del «Certamen Vaticanum» al Palazzo della Cancelleria Apostolica<br />

Il latino saldo legame nella cultura dei popoli europei<br />

MASSIMILIANO PORZIA<br />

Domenica 2 gennaio si è svolta a Roma,<br />

nella splendida cornice del Palazzo<br />

della Cancelleria Apostolica, la tradizionale<br />

«Festa del Latino», organizzata dalla<br />

Fondazione «Latinitas»: una rinnovata<br />

occasione per ribadire la forza e la modernità<br />

di una lingua capace ancora oggi<br />

di rappresentare un legame saldo nella<br />

cultura dei popoli europei. Oggi più<br />

che mai, tanto è vicina la data della definitiva<br />

unificazione del «vecchio continente».<br />

«Anche quest'anno la spirito che anima<br />

la “Festa del Latino” — ha spiegato<br />

Don Cleto Pavanetto, Presidente della<br />

Fondazione “Latinitas” — è la difesa del<br />

latino, patrimonio per l'Europa poiché<br />

si rischia di andare incontro ad una perdita<br />

incalcolabile sia per l'interpretazione<br />

della cultura classica che per un sereno<br />

equilibrio della persona umana».<br />

«L'impero romano sotto Traiano ci ha<br />

fornito l'esempio di unità dal punto legislativo<br />

— ha aggiunto Don Pavanetto<br />

—. Come cittadini del terzo millennio ci<br />

prepariamo ad un senso di unità che<br />

trova una manifestazione esterna nell'Euro,<br />

la moneta che tra qualche mese<br />

sostituirà definitivamente quelle attualmente<br />

in circolazione nei vari Paesi. A<br />

questo punto, però, è lecito porci una<br />

domanda: perché sul dollaro americano<br />

è riportata l'iscrizione latina “et pluribus<br />

unum” mentre sull'Euro non v'è nulla di<br />

simile?»<br />

Alla presenza di un pubblico scelto e<br />

di numerose autorità, tra le quali il Cardinale<br />

Alfonso Maria Stickler, la festa si<br />

è articolata in due momenti: la rappresentazione<br />

scenica dell'«Edipo Re», con<br />

testi di Jean Cocteau ricavati dalla omonima<br />

tragedia di Sofocle e sulle musiche<br />

Wadi Kharrar:<br />

i pilastri<br />

della Chiesa<br />

delle Vesti<br />

riportati alla luce<br />

sulla sponda<br />

orientale<br />

del fiume<br />

Giordano<br />

A parte la cappella con le sue dipendenze, del monastero<br />

restano tracce di muri, le cisterne del sottosuolo,<br />

e alcuni ambienti mosaicati sul fianco della<br />

collina e sull’area pianeggiante che sovrasta la valle a<br />

meridione. Sul terreno resta veramente poco per accreditare<br />

l’ipotesi che i pochi stralci di mosaici facessero<br />

parte di altri edifici sacri e non degli ambienti<br />

del monastero.<br />

In onore di Giovanni Paolo II che vi sostò in preghiera<br />

durante la visita del 21 marzo, sotto un arco<br />

malamente ricostruito, uno degli ambienti è stato ribattezzato<br />

Chiesa del Papa.<br />

Per troppo entusiasmo normali cisterne utilitarie di<br />

epoca bizantina erano state considerate vasche battesimali<br />

del primo secolo, perciò contemporanee di Giovanni<br />

Battista e di Gesù. Positivamente, la ricerca ha<br />

chiarito che la numerosa colonia monastica che abitava<br />

la valle era rifornita d’acqua dolce con un acquedotto<br />

proveniente dalle sorgenti di Ayn Salim e<br />

Ayn Daliah che sgorgano ai piedi del Monte Nebo e di<br />

Hesban.<br />

Nei pressi del fiume gli archeologi hanno riportato<br />

alla luce i resti della chiesa che storicamente sappiamo<br />

costruita al tempo dell’imperatore Anastasio.<br />

Stando alla testimonianza dell’arcidiacono Teodosio<br />

(530 ca), la chiesa del Battesimo o delle Vesti si trovava<br />

«trans Jordanem» (al di là del Giordano). Il pellegrino<br />

la descrive come costruita in alto su grandi arconi<br />

(cameras maiores) per evitare che l’acqua del fiume<br />

durante la piena primaverile l’allagasse. Il santuario<br />

era servito da monaci che ricevevano sei solidi<br />

(monete d’oro) dal fisco imperiale per il loro mantenimento.<br />

Inoltre i pellegrini sono concordi nel ricordare una<br />

colonna votiva che terminava con una croce di ferro<br />

infissa nell’acqua al centro del fiume. Il più esplicito<br />

è lo stesso Teodosio: «Nel luogo dove il Signore è stato<br />

battezzato, vi è una colonna di marmo, e sulla colonna<br />

vi è infissa una croce di ferro».<br />

Il Pellegrino di Piacenza (570 ca) scrive invece di<br />

Scavi in corrispondenza degli ultimi scalini<br />

che portano alla falda acquifera del Giordano<br />

aver visto un obelisco di marmo circondato da cancelli<br />

o balaustrata, e una croce di legno infissa nell’acqua,<br />

con una scala di discesa e di risalita dall’acqua<br />

sui lati del monumento in marmo: «Vi si trova<br />

un obelisco circondato da cancelli e nel punto dove<br />

l’acqua rifluisce nel suo alveo è posta una croce di legno<br />

dentro l’acqua su un piedistallo tutto intorno di<br />

marmo». La chiesa come la colonna furono ricordate<br />

dai pellegrini posteriori fino in epoca medievale.<br />

Il Vescovo Arculfo che vi venne verso il 670, nel primo<br />

secolo dell’Egira, si bagnò nel fiume attraversandolo<br />

a nuoto. Poté così raggiungere la chiesa sull’altra<br />

sponda che descrisse con la solita accuratezza. All’abate<br />

Adamnano che ne mise per scritto i ricordi<br />

raccontò di aver visto una chiesa praticamente in<br />

mezzo all’acqua in quel luogo sacrosanto e onorabile<br />

nel quale Gesù fu battezzato da Giovanni.<br />

Scrive Adamnano: «All’estremità del fiume esiste<br />

una piccola chiesa quadrata costruita, secondo la tradizione,<br />

nel luogo dove furono guardate le vesti del<br />

di Igor Stravinski e la consueta e tanto<br />

attesa premiazione del Certamen Vaticanum,<br />

giunto quest'anno alla XXXXIV<br />

edizione.<br />

La prima composizione dell'«Edipo<br />

Re» di Stravinski ebbe luogo a Parigi del<br />

1927, in forma di concerto ed è considerato<br />

uno dei grandi capolavori del Novecento<br />

musicale.<br />

La rappresentazione in occasione della<br />

«Festa del Latino» è stata messa in<br />

scena da Paola Sarcina, sotto la direzione<br />

artistica di Antonio Sorgi, grazie all'esecuzione<br />

del Coro polifonico maschile<br />

«Orpheus» e all'Associazione «Music<br />

Theatre International».<br />

La scelta de l'«Edipo Re», nel quale la<br />

tragedia del destino dell'uomo, colpevole<br />

di grandi misfatti, per l'intervento della<br />

Divinità viene purificata «ha un preciso<br />

scopo — come spiega Don Pavanetto<br />

—. Edipo castiga se stesso che non ha<br />

visto le malefatte, ma giunto a Colono<br />

potrà espiare ed essere trasfigurato. Tutto<br />

questo a noi insegna che di fronte<br />

agli errori più gravi l'uomo può trovare<br />

la capacità di redimersi e di purificarsi,<br />

con l'occhio rivolto alla Divinità».<br />

Al termine della rappresentazione è<br />

giunto il momento della consegna dei<br />

prestigiosi riconoscimenti ai cultori della<br />

lingua latina.<br />

Nella sezione dedicata alla «Poesia» il<br />

primo premio è stato assegnato a Fernando<br />

Bandini, autore del componimento<br />

intitolato: «Mense Decembri dum exit<br />

secundum millennium» nel quale l'Autore,<br />

in distici pitiambici (sistema metrico<br />

antico, usato anche da Orazio) rievoca<br />

l'ultima notte di Natale che ha chiuso<br />

l'anno giubilare. Da elogiare sia il talento<br />

poetico dell'Autore che l'eleganza dei<br />

versi.<br />

Archeologi durante<br />

ilavorilungo<br />

lascalachescendeva<br />

al Giordano<br />

nelluogotradizionale<br />

delBattesimodiGesù<br />

Abisde<br />

di una cappellina<br />

a ridosso<br />

della scala<br />

che scendeva<br />

al fiume Giordano<br />

Il secondo premio è andato a Orazio<br />

Antonio Bologna per il suo «Ad uxorem»,<br />

mentre tre menzioni di merito sono<br />

state assegnate a Florindo di Monaco<br />

(«Maxima debetur mulieri reverentia»),<br />

a Oreste Carbonero («Sera Amorgini Semonidis<br />

confutatio» e a Mauro Pisini<br />

(«Esse»).<br />

Per quanto riguarda la sezione di<br />

«Prosa» il vincitore di quest'anno è stato<br />

Luigi Carta, il quale ha presentato il<br />

componimento «Laudatoris tempoeris<br />

acti de causis corruptae humanitas sermo<br />

contentiosus». In quest'opera il biasimo<br />

è rivolto contro l'odierna corruzione<br />

dei costumi per vincere la quale contribuisce<br />

l'età matura il cui vigore è necessario<br />

per correggere ed emendare i<br />

propri errori. A tal fine l'Autore propone<br />

quali criteri di valutazione brevi testi<br />

di scrittori classici. In questa composizione<br />

sono da lodare la forma della lingua<br />

latina e la proprietà del vocabolario.<br />

Secondo premio ex aequo a Guido<br />

Angelino col suo «Natura Noverca» e a<br />

Mario Vitali per «Farina Diaboli». Anche<br />

in questa occasione sono state conferite<br />

delle menzioni di merito: a Giancarlo<br />

Rossi per «Epistulae», ad Antonio<br />

Nogare per «De aetatis nostrae peregrinatoribus»,<br />

a Oreste Carbonero per<br />

«Nec sine vobis nec vobiscum vivere<br />

possum», a Gustav Wallner per «Transtiberina<br />

ambulatincula» e a Orazio Antonio<br />

Bologna per «Ad Claudiam matrem<br />

de patris obitu consolatio».<br />

I temi trattati dalle composizioni in<br />

questa XXXXIV edizione del «Certamen<br />

Vaticanum» — che hanno visto un numero<br />

di partecipanti superiori agli altri<br />

anni — riflettono soprattutto argomenti<br />

di attualità, anche se trovano un con-<br />

Signore mentre riceveva il battesimo. Questa (chiesa)<br />

è poggiata su quattro supporti di pietra: trovandosi<br />

sull’acqua è inabitabile perché le acque vi circolano<br />

sotto. Un tetto di tegole la ricopre, e, come già detto,<br />

è sostenuta da supporti e da archi. Questa chiesa si<br />

trova in fondo alla valle dove scorre il Giordano,<br />

mentre un grande monastero di monaci occupa un<br />

luogo rialzato che domina la chiesa che abbiamo descritto».<br />

Nei pressi c’era una croce di legno infissa nell’acqua<br />

che raggiungeva il collo di un uomo molto alto.<br />

Altezza che si riduceva in tempo di grande siccità fino<br />

al petto. La croce spariva sotto acqua durante la<br />

grande inondazione annuale. La chiesa come la croce<br />

erano collegati alla riva occidentale da un ponte costruito<br />

su archi. L’altra sponda si trova alla distanza<br />

di un tiro di sasso lanciato con una fionda da un uomo<br />

robusto.<br />

Dettagli simili li leggiamo nell’itinerario del Vescovo<br />

Willibaldus (723-26) secondo il quale nel fiume,<br />

dove il Signore fu battezzato, sorgeva una chiesa co-<br />

struita su pilastri non nell’acqua ma sulla<br />

sponda (est nunc arida terra). Nel fiume era<br />

infissa una croce di legno. Una corda tesa<br />

tra le due sponde serviva di sostegno a chi<br />

desiderava bagnarsi (battezzarsi) nel fiume<br />

specialmente per gli ammalati. Seguendone<br />

l’esempio di devozione, anche il Vescovo si<br />

immerse nell’acqua.<br />

Tracce dell’edificio erano già state viste e<br />

fotografate nel 1899 dal Padre Federlin dei<br />

Padri Bianchi di sant’Anna a Gerusalemme<br />

nell’estuario del Wadi Kharrar. Lo scavo ha<br />

dimostrato che quei pochi resti tenuti in<br />

onore dai Monaci del Patriarcato Greco Ortodosso<br />

di Gerusalemme facevano parte di<br />

un vasto complesso monastico che aveva<br />

subito nei secoli diverse distruzioni e ricostruzioni,<br />

come facevano fede i pavimenti<br />

sovrapposti in marmo o in mosaico. Distruzioni<br />

dovute alle inondazioni annuali del<br />

fiume che aveva sotterrato sotto più di un<br />

metro di terra la maggior parte delle strutture<br />

ora pazientemente riportate alla luce.<br />

I poderosi pilastri sui quali era costruito<br />

gran parte dell’edificio alla lunga non erano<br />

riusciti a sostenere la forza d’urto della corrente<br />

del fiume che la pendenza rendeva minaccioso.<br />

A dare maggior credito ai ricordi dei pellegrini,<br />

è venuta anche la scoperta in questi<br />

ultimi mesi di lavoro, di una scala che univa<br />

il complesso monastico alla sponda del<br />

fiume. Sono diversi gradini di scisto bituminoso<br />

che scendono fino alla falda d’acqua<br />

ma che oggi non raggiungono il fiume allontanatosi<br />

di un centinaio di metri dalla<br />

chiesa.<br />

Al termine della scala ancora protetta su un fianco<br />

da un muro di contenimento, sorge un piedistallo<br />

quadrangolare apparentemente isolato che è stato ipotizzato<br />

come il basamento della colonna e della croce<br />

ricordata dai pellegrini.<br />

Scoperte archeologiche di grande rilievo che serviranno<br />

da base per ridimensionare positivamente le intemperanze<br />

dell’impresa edilizia, purtroppo mal consigliata<br />

e soggetta a pressioni fuori posto, che al progetto<br />

originale rispettoso del luogo e della sua sacralità<br />

ha aggiunto di suo una interpretazione sbagliata<br />

con interventi poco rispettosi dell’ambiente naturale<br />

che la commissione reale aveva giudicato prioritario.<br />

La riscoperta delle tracce di epoca bizantina e medievale<br />

serviranno da guida per correggere queste sfasature<br />

e ridare al luogo il fascino gelosamente conservato<br />

in secoli di abbandono, dove i pellegrini potranno<br />

ritrovare rileggendo il Vangelo la memoria di Giovanni<br />

il Battista che in questo angolo di Giordania riconobbe<br />

in Gesù di Nazareth l’Agnello che toglie i<br />

peccati del mondo.<br />

fronto con vicende del passato. «In questi<br />

interessanti testi — conclude don il<br />

Presidente della Fondazione «Latinitas»<br />

— troviamo la purezza della lingua, la<br />

vivacità del pensiero e l'eleganza dello<br />

stile propri di una lingua viva come ancora<br />

oggi il latino».<br />

All'interno della manifestazione, il<br />

prof. Antonio Taglieri ha presentato i risultati<br />

del corso intensivo di lingua latina<br />

svolto in autunno per iniziativa della<br />

Fondazione e frequentato con lodevole<br />

buona volontà e interesse sincero dagli<br />

allievi.<br />

Appuntamenti<br />

culturali<br />

Roma, 6 dicembre<br />

Un ricordo<br />

del Cardinale Tisserant<br />

Giovedì 6 dicembre, alle ore<br />

18.30, presso il Centre Culturel<br />

Saint-Louis de France, Jean<br />

Chèlini terrà la conferenza: «Le<br />

Cardinal Tisserant: le Prince<br />

Eugène».<br />

Velletri, fino al 9 dicembre<br />

«L'oro dei Castelli»<br />

Il Museo Diocesano di Velletri<br />

ospita, fino al 9 dicembre, la<br />

mostra «L'oro dei Castelli». La<br />

rassegna presenta 50 opere tra<br />

gioielli, iscrizioni e busti di matrone<br />

romane.

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