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ERZA T PAGINA .<br />
PAGINA<br />
3 .<br />
«La forza del carattere»: un volume di James Hillman<br />
Invecchiare è una necessità<br />
della condizione umana<br />
FERDINANDO MONTUSCHI<br />
L’invecchiamento costituisce un problema sempre<br />
più angosciante nel mondo contemporaneo<br />
perché viene pensato come graduale perdita di efficienza<br />
fisica e mentale e perché viene associato<br />
all’idea della morte che lascia sgomenti e impotenti<br />
quanti amano la vita.<br />
James Hillman, uno psicologo di ottantotto anni,<br />
scrive un libro sulla vecchiaia per capovolgere<br />
questa angosciante prospettiva: La forza del carattere,<br />
edito da Adelphi. «Per spiegare la vecchiaia<br />
— egli dice — ci rivolgiamo di solito alla<br />
biologia, alla genetica e alla fisiologia geriatrica,<br />
ma per comprendere la vecchiaia abbiamo bisogno<br />
di qualcosa di più. Questo “qualcosa di più”<br />
è, per Hillman, l’idea di “carattere”. E proprio<br />
“gli ultimi anni della vita confermano e portano a<br />
compimento il carattere”» (pp. 11-13).<br />
L'idea che l’Autore ha di carattere si fonda sulla<br />
nozione archetipica di differenza: il carattere,<br />
infatti, «conferma, anzi esalta, ciò che è unico,<br />
singolare, strano» (p. 268). L’idea di carattere è<br />
un’idea psicosomatica perché comprende psiche<br />
e soma; essa richiede un linguaggio descrittivo,<br />
senza dubbio più vicino a quello della poesia che<br />
non a quello delle scienze comportamentali. E<br />
«così come il carattere guida l’invecchiamento,<br />
l’invecchiamento disvela il carattere» (p. 17).<br />
Nella «Prefazione per il lettore» (pp. 11-22), Hillman<br />
fornisce la chiave del suo riflettere sulla<br />
vecchiaia ponendo interrogativi a dir poco sollecitanti:<br />
«Che l’anima, prima di andarsene, debba<br />
essere invecchiata al punto giusto? In tal caso,<br />
possiamo immaginarci l’invecchiamento come<br />
una trasformazione nella bellezza non meno che<br />
nella biologia... I vecchi diventano qualcosa che<br />
colpisce la memoria, rappresentazioni ancestrali,<br />
personaggi della commedia della civiltà, ciascuno<br />
una figura unica, insostituibile, preziosa. Invecchiare:<br />
una forma d’arte?» (pp. 13-14).<br />
Si può affermare che ciò che resterà dopo che<br />
avremo lasciato la scena è un’immagine caratteristica,<br />
in particolare quella presentata negli ultimi<br />
anni... «Quel modo unico di essere e di fare<br />
che lasciamo nella mente degli altri, continuerà<br />
ad agire su di loro, nell’aneddotica, nei ricordi,<br />
nei sogni; come modello ideale, come voce guida,<br />
come antenato protettivo: una forza potente all’opera<br />
in coloro che hanno ancora una vita da vivere»<br />
(p. 31).<br />
Per l’indagine che Hillman propone è fondamentale<br />
«disfare la coppia morte-vecchiaia, ricostituendo<br />
invece l’antica connessione tra vecchiaia<br />
e unicità del carattere». Ciò comporta il<br />
«considerare gli anni della vecchiaia alla stregua<br />
di uno stato dell’esistenza», con i suoi miti e i<br />
suoi significati, e comporta inoltre lo «scoprire un<br />
valore nel diventare vecchi senza prenderlo in<br />
prestito dalle metafisiche e dalle teologie della<br />
morte» (p. 27).<br />
«L’interesse appassionato per la “vecchiaia” come<br />
possibilità archetipica presente in tutte le cose,<br />
come qualcosa che è dato con la natura umana<br />
così come con la natura di tutte le cose esistenti,<br />
è appunto ciò che manca nella nostra società,<br />
ciò di cui sentono la mancanza e che anelano<br />
a scoprire, più di tutti, le persone anziane»<br />
(pp. 27-28).<br />
«Invecchiare non è un accidente. È una necessità<br />
della condizione umana; ed è l’anima a volerlo.<br />
L’invecchiamento è inscritto nella nostra fisio-<br />
logia; eppure, il fatto che la vita umana duri a<br />
lungo dopo l’età feconda e ben oltre il periodo di<br />
funzionalità dei muscoli e di acuità dei sensi ci<br />
rende perplessi. Per questo motivo si sente il bisogno<br />
di idee immaginative capaci di aggraziare il<br />
diventare vecchi e di parlare alla vecchiaia con<br />
l’intelligenza che essa si merita» (p. 11).<br />
Il libro di Hillman è formato di tre parti principali,<br />
costruite intorno a tre idee portanti: durare,<br />
lasciare, restare. Il desiderio di durare il più a<br />
lungo possibile è legato all’idea di longevità, ai significati<br />
e alle aspirazioni che la accompagnano,<br />
al di là delle misure di efficienza biologica e delle<br />
aspettative statistiche. Per secoli l’età avanzata è<br />
«stata associata non già con la morte, bensì con<br />
la vitalità e il carattere.<br />
I vecchi erano pensati principalmente non come<br />
individui arrancanti con passo incerto verso la<br />
porta della morte, ma come saldi depositari delle<br />
usanze e delle leggende, come custodi dei valori<br />
locali, come esperti di arti e mestieri, come voci<br />
apprezzate del consiglio cittadino. Ciò che contava<br />
era la forza del carattere comprovata da una<br />
lunga vita» (pp. 35-36).<br />
Lasciare è la seconda delle idee portanti intorno<br />
alle quali si struttura il lavoro di Hillman: è l’idea<br />
che cerca di «mostrare come le disfunzioni<br />
della vecchiaia si trasformino in funzioni del carattere».<br />
Ma perché questo possa avvenire bisogna<br />
smetterla di studiare la vecchiaia sotto l’influenza<br />
dell’archetipo della giovinezza.<br />
Per quanto riguarda l’invecchiamento, Hillman<br />
ipotizza l’esistenza di un’intelligenza della vita la<br />
quale vuole l’invecchiamento esattamente come<br />
vuole la crescita durante la giovinezza: «così come<br />
dobbiamo dispiegarci, o svilupparci, per guadagnare<br />
l’accesso al mondo, allo stesso modo il<br />
ripiegamento, o invecchiamento, è essenziale per<br />
la nostra uscita». Ma non si tratta di uscire dalla<br />
vita («noi non lasciamo la vita finché essa non ci<br />
lascia»). È «un errore madornale leggere i fenomeni<br />
della vecchiaia come indizi di morte invece<br />
che come iniziazioni a un’altra modalità di vita»<br />
(p. 106).<br />
Resta pur vero, tuttavia, che il processo che attraversiamo<br />
negli ultimi anni della vita è una preparazione<br />
per la partenza. Ma è possibile partire<br />
e insieme restare?<br />
«Quel che resta di noi dopo che ce ne siamo<br />
andati è il carattere, l’immagine a più strati che<br />
fin dall’inizio era andata plasmando le nostre potenzialità<br />
e i nostri limiti» (p. 222). È un’immagine<br />
caratteristica, in particolare quella presentata<br />
negli ultimi anni. «Quel modo unico di essere e di<br />
fare che lasciamo nella mente degli altri, continuerà<br />
ad agire su di loro, nell’aneddotica, nei ricordi,<br />
nei sogni; come modello ideale, come voce<br />
guida, come antenato protettivo: una forza potente<br />
all’opera in coloro che hanno ancora una vita<br />
da vivere» (p. 31).<br />
Il carattere, in conclusione, finisce la vita, la rifinisce<br />
in un’immagine più duratura.<br />
Un libro, dunque, di grande interesse per ripensare<br />
la vecchiaia in modo nuovo e per rivalutare<br />
una stagione della vita che tende a dilatarsi<br />
creando pesantezza non solo per quanti invecchiano<br />
ma anche per tutti coloro che accompagnano<br />
e assistono gli anziani. Uno studio profondo<br />
sul piano psicologico, ma anche una testimonianza<br />
umana ricca, raccontata da un «vecchio»<br />
amante della propria condizione, volta a confermare<br />
che la vita ha senso ad ogni età e non conosce<br />
tramonto.<br />
<strong>L'OSSERVATORE</strong> <strong>ROMANO</strong> Giovedì 6 Dicembre 2001<br />
A Venezia l'esposizione di atlanti, mappe, tavole e globi cinesi e giapponesi dal XV al XX secolo<br />
Dalla carta di riso, dal legno e dalla seta<br />
risaltano i paesaggi e i colori dell'Estremo Oriente<br />
NICOLETTA PIETRAVALLE<br />
Una bella mostra, originale e suggestiva, è in<br />
corso nelle monumentali Sale Sansoviniane della<br />
Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia.<br />
La mostra è frutto della collaborazione tra la<br />
Biblioteca stessa e la Società Geografica Italiana<br />
— che ha sede a Roma, nel cinquecentesco<br />
Palazzetto Mattei in Villa Celimontana — e sarà<br />
aperta al pubblico con il titolo «Carte di riso.<br />
Genti, paesaggi, colori dell’Estremo Oriente nelle<br />
Collezioni della Società Geografica Italiana»,<br />
fino al 14 febbraio. Realizzata con il sostegno<br />
la sua millenaria tradizione di ponte verso l’Oriente.<br />
Il Fondo Orientale della Società Geografica<br />
Italiana, costituito, dal tramonto dell’Ottocento<br />
all’alba del Novecento, in specie grazie alle donazioni<br />
di illustri membri che furono esploratori,<br />
diplomatici, collezionisti, conta circa duemila<br />
«pezzi», cinquantatré dei quali, opportunamente<br />
selezionati secondo il criterio degli studiosi<br />
e degli allestitori, sono appunto esposti a<br />
Venezia, accompagnati da un catalogo, con<br />
saggi, introdotto da Franco Salvatori, presidente<br />
della Società Geografica Italiana, cura-<br />
Una mostra a Milano riscopre l'opera di Camillo Kaiser, frate lombardo dell'Ottocento<br />
La fertile vena di un pittore, disegnatore e litografo<br />
ANDREA COLOMBO<br />
Un frate francescano nella Lombardia dell’800<br />
con una passione particolare: la pittura. È la vicenda,<br />
poco conosciuta, di Camillo Kaiser. Una<br />
figura significativa per capire l’incontro fra arte e<br />
fede in un periodo particolarmente tormentato<br />
della nostra storia. Ora una mostra, «Camillo<br />
Kaiser, un cappuccino tra gli artisti dell’800 lombardo»<br />
(Palazzo Kramer, Milano, sino al 30 giugno<br />
2002), permette di ricostruire l’originale itinerario<br />
di questo pittore religioso.<br />
DiCamilloKaisersieranoperse quasi le tracce.<br />
Una memoria ottocentesca gli dedica poche righe:<br />
la nascita a Milano nel 1822, la precoce «inclinazione<br />
e genio per l’arte del pennello», il viaggio<br />
a Roma per studiare i maestri del rinascimento<br />
e del barocco, la morte nel 1865 sopravvenuta<br />
nelconventodiBergamo, dove aveva uno studio.<br />
L’800 non è un secolo facile per i Cappuccini<br />
lombardi, colpiti dai decreti napoleonici di soppressione<br />
dei conventi prima e dalla legislazione<br />
antireligiosa dello Stato risorgimentale poi. Nel<br />
1761 i frati in questa zona erano 34.029 sparsi in<br />
1762 conventi; nel 1883 erano scesi a 7722. Nella<br />
sola città di Milano, nel 1805, fu soppresso il<br />
convento di san Vittore e nel 1810 quello della<br />
Concezione.<br />
Alla fine degli anni ’30 i Cappuccini rientrarono<br />
poco per volta in possesso di alcuni conventi,<br />
ma una nuova ondata di persecuzioni si abbatté<br />
sui discepoli di san Francesco nel primo decennio<br />
del nuovo regno italico, a partire dal 1861,<br />
tanto che il Generale dell’Ordine, nel 1866, vietava<br />
l’acquisto di beni stabili, a meno che i frati,<br />
individualmente, non ne diventassero giuridicamente<br />
proprietari.<br />
Di tutto ciò si ha un'eco nella vita di frate Camillo<br />
soltanto per quanto si riferisce alla commissione<br />
di alcuni suoi lavori, forse destinati al convento<br />
di san Vittore, ma poi collocati altrove data<br />
la trasformazione del cenobio in carceri di Stato.<br />
La vena artistica di questo cappuccino è subito<br />
riconosciuta dai superiori, che, dopo aver assistito<br />
i malati all’Ospedale maggiore di Milano, lo<br />
esentano dagli obblighi di servizio e usano spesso<br />
sue litografie per rinforzare legami con autorità o<br />
benefattori.<br />
Durante la sua lunga attività come pittore Camillo<br />
Kaiser emerge, prima di tutto, come un<br />
abile copista, con preferenze per il seicento emiliano<br />
(Guido Reni e Guercino), che si confermano<br />
nelle sue grandi pale d’altare, come il San<br />
Luigi Gonzaga o la Maria Immacolata. È un disegnatore-litografo<br />
di un certo successo: la moltiplicazione<br />
di immagini devozionali permette una<br />
diffusione poco costosa delle sue opere che accontentano<br />
i confratelli e il popolo, ma può ancheessere<br />
un dono gradito o un ringraziamento.<br />
Ma l’aspetto più interessante, privato, «intimistico»,<br />
è la cronaca pittorica dell’umile vita dei<br />
frati, ripresi, per esempio, intorno allo Scaldatoio<br />
(una delle sue opere più significative), l’uni-<br />
«Yokohama<br />
meisai zenzu»<br />
(Pianta completa<br />
particolareggiata<br />
di Yokohama), 1870<br />
«Tôkaidô<br />
goiûsan shôkei<br />
(Le belle vedute<br />
delle cinquantatré<br />
stazioni di Tôkaidô),<br />
1860<br />
del Ministero per i Beni e le Attività<br />
Culturali che ha consentito<br />
il restauro di alcuni preziosi<br />
esemplari ad opera dei tecnici<br />
del Museo Nazionale d’Arte<br />
Orientale, sito in Roma, a Palazzo<br />
Brancaccio, la mostra si<br />
rivolge innanzitutto agli studiosi,<br />
ai quali offre un raro materiale,<br />
interessante, non da ultimo,<br />
perché documentario di<br />
metodologie cartografiche particolari<br />
della Cina e del Giappone,<br />
gradualmente poi influenzate<br />
dalla cartografia occidentale,<br />
ma si volge nel contempo a un<br />
pubblico più ampio, immancabilmente<br />
consapevole del pregio<br />
artistico di talune raffigurazioni,<br />
ove le dettagliate scene e i<br />
paesaggi, eseguiti con delicato<br />
tratto e pigmenti colorati naturali,<br />
sono efficace trampolino di<br />
lancio all’immaginazione.<br />
Carta di riso, legno e seta so-<br />
no tra i supporti di base sui<br />
Camillo Kaiser: «Autoritratto nello studio»<br />
quali hanno lavorato gli esecutori di atlanti,<br />
mappe di città, itinerari, schemi costieri, tavole<br />
militari; i formati, variatissimi, vanno dal minimo<br />
al massimo, cioè a dire dal modestissimo<br />
spazio utilizzato per una tavoletta alla rispettabile<br />
lunghezza di oltre venti metri lineari per<br />
un rotolo; c’è persino la pagina acquerellata di<br />
un ventaglio geografico; c’è un vassoio di porcellana<br />
bianco/blu; non mancano splendidi volumi<br />
ed album etnografici che illustrano la vita<br />
quotidiana di popolazioni appartate, di confine,<br />
le quali assurgono, tutto sommato, a misteriose<br />
protagoniste di una mostra, alla quale Venezia<br />
è fascinoso sfondo, non solo architettonico, con<br />
co luogo riscaldato del convento, e l’unico luogo<br />
dove i religiosi potevano scambiare quattro<br />
chiacchiere al riparo dal freddo. In questo periodo<br />
infatti i conventi non erano riscaldati, e vigeva<br />
una rigida regola di silenzio.<br />
Di questa cronaca della quotidianità la scena<br />
forse più rappresentativa è L’autoritratto nello<br />
studio, una tela di 45 x 60 centimetri dipinta a<br />
olio con mille particolari che raccontano le preferenze<br />
dell’autore, seduto a disegnare in mezzo<br />
alla stanza, nel suo atelier di Bergamo, con il<br />
grosso rosario che pende dalla sedia impagliata.<br />
I pennelli e la cassetta dei colori sono appoggiati<br />
su uno sgabello al suo fianco. La tavolozza<br />
è appesa al muro. È una giornata di sole: a destra<br />
i vetri della finestra spalancati lasciano vedere<br />
la finestra mezzo chiusa della casa d’angolo,<br />
Carta del Giappone e isole adiacenti prodotta nel periodo di regno Tenpô, 1830-1843<br />
to da Claudio Cerreti; e non si esclude, sia<br />
pure nei tempi lunghi che tali operazioni culturali<br />
composite comportano, una futura, esauriente<br />
esposizione con relativa pubblicazione.<br />
È cospicuo il fondo di carte cinesi, appartenuto<br />
al console a Pechino Giuseppe Ros, da cui<br />
sono state estrapolate quelle presenti in mostra;<br />
e qui, con mappamondi, carte dell’intera Cina,<br />
carte corografiche, carte delle comunicazioni,<br />
carte fluviali eccetera, citiamo almeno la stampa<br />
xilografica del mappamondo composto nel<br />
1694 per l’Imperatore della Cina dal gesuita<br />
olandese Ferdinand Verbiest, matematico e<br />
astronomo, attivo alla corte cinese per un trentennio<br />
e fino alla morte, avvenuta nel 1688; ed<br />
così come la porta di sinistra lascia intravedere<br />
un’altra porta sul fondo. La luce si spande a descrivere<br />
un ambiente sereno e ordinato.<br />
Vi sono quadri sulle pareti, un ovale sul cavalletto,<br />
gessi e calchi. Un’incisione riproduce la sua<br />
tela di Santa Veronica Giuliani, così come un’altra<br />
è forse un bozzetto della sua Vergine Immacolata<br />
(il riprodurre, all’interno delle opere, altre<br />
sue creazioni è come una «cifra», un’originalissima<br />
firma, un gioco di specchi che ricorre anche<br />
in diversi capolavori del Kaiser).<br />
Una macchina fotografica è ben piantata sul<br />
treppiede: segno che frate Camillo non disdegnava<br />
le nuove tecnologie. Anzi, come indicano i<br />
suoi appunti in mostra a Milano questo cappuccino<br />
padroneggiava l’allora innovativa arte fotografica,<br />
ed era in grado di sviluppare le lastre negative.<br />
Nell’ambito della mostra su Camillo Kaiser,<br />
per inquadrare il momento storico in cui visse<br />
questo pittore francescano, si terranno due incontri<br />
a gennaio e a marzo 2002, sempre nella<br />
sede di palazzo Kramer.<br />
Lamostrasu Camillo Kaiser (che include anche<br />
opere di altri pittori devozionali dell’epoca) è<br />
il secondo evento espositivo organizzato a Palazzo<br />
Kramer, un nuovo strumento di divulgazione<br />
culturale, inaugurato nel marzo scorso con una<br />
rassegna di documenti e quadri su tre figure fondamentali<br />
che hanno gestito l’assistenza dei più<br />
poveri nel secolo della peste.<br />
Palazzo Kramer è sviluppato su due piani, con<br />
una sala conferenze di 150 posti, con spazi ben<br />
misurati e forniti delle più moderne risorse espositive,<br />
conta circa 3600 opere catalogate (su<br />
10.000), dipinti, sculture, oggetti liturgici, arredi,<br />
fotografie. La struttura è solo una parte dell’iniziativa<br />
intesa non solo a restaurare e catalogare,<br />
ma a valorizzare i beni artistici dell'Ordine di<br />
Lombardia, sconosciuti al pubblico.<br />
Vi sono inoltre un archivio provinciale, due biblioteche,<br />
una di carattere generale e un’altra<br />
specializzata in autori e soggetti francescani, con<br />
15.500 titoli. Un patrimonio artistico e culturale,<br />
all'insegna dello spirito francescano.<br />
Carta stradale<br />
della provincia<br />
Guangxi,<br />
fine XIX secolo<br />
Dipinto raffigurante<br />
scene di caccia,<br />
mercanti<br />
e stranieri<br />
nelle zone<br />
del Nord-Ovest<br />
della Cina<br />
il reperto risalente alla dinastia Ming da datarsi<br />
attorno alla prima metà del Seicento che raffigura<br />
le guarnigioni cinesi che presidiavano i<br />
confini nord-occidentali del Paese, con note<br />
esplicative sulla regione; poi il lungo rotolo<br />
orizzontale ad acquerello che tratteggia le coste<br />
cinesi dal Nord al Sud, e che ricorda la carta di<br />
Gough conservata al British Museum londinese.<br />
Nella sezione dedicata ai libri, legati in fascicoli<br />
secondo il metodo cinese, osserviamo la<br />
descrizione del globo di Giulio Aleni (1582-<br />
1649), gesuita che operò alla corte degli impera-<br />
tori Ming, fornendo, attraverso un testo che<br />
allargò le limitate conoscenze<br />
cinesi del mondo esterno, una<br />
nuova prova dell’apostolato cartografico<br />
della Compagnia di<br />
Gesù.<br />
Ma indubbiamente a fare la<br />
cosiddetta parte del leone, almeno<br />
per i visitatori attenti all’elemento<br />
pittorico, sono alcuni<br />
rotoli dipinti nell’ambito dell’Accademia<br />
Hanlin cui competeva<br />
l’illustrazione degli usi e<br />
dei costumi delle minoranze etniche;<br />
cinque album di notevole<br />
bellezza, purtroppo visibili solo<br />
nelle immagini aperte allo<br />
sguardo, che raffigurano popolazioni<br />
di etnia non cinese: fra<br />
esse i Miao, destinati a popolare<br />
piacevolmente la memoria di<br />
chi ha gustato la movimentata<br />
aggregazione di dignitari, di<br />
cacciatori, di mercanti, di stanziali<br />
dediti alle attività domestiche<br />
e all’allevamento del be-<br />
stiame, di cavalieri a cavallo, di<br />
favolosi cani da guardia con sontuosa coda arricciata<br />
e vistoso collare rosso, fortissimi difensori<br />
capaci di contrastare l’assalto dei lupi. Il<br />
fondo cartografico giapponese, di cui citeremo<br />
alcuni esemplari esposti, proviene per la maggior<br />
parte dalla collezione di Cristoforo Robecchi,<br />
primo Console Generale d’Italia in Giappone,<br />
da lui donata alla Società Geografica nel<br />
1866, al suo rientro in patria. E va precisato<br />
che la Società, fondata, a Firenze, da circa duecento<br />
studiosi e geografi per iniziativa di Cristoforo<br />
Negri e di Orazio Antinori, venne successivamente<br />
trasferita a Roma, nuovacapitale,nel1872,comerichiedeva<br />
lo statuto.<br />
Il Robecchi, inoltre, ben cosciente del problema<br />
rappresentato dalla difficoltà di lettura della<br />
scrittura ideografica, ebbe anche il merito di<br />
trascrivere e far trascrivere, a proprie spese da<br />
esperti giapponesi, le carte più rilevanti in caratteri<br />
fonetici giapponesi o katakana, di cui<br />
ciascun carattere corrisponde a una sillaba.<br />
Molto bella la carta realizzata da Hasegawa<br />
Settei (1812-1882), non datata stampa xilografica<br />
a colori su carta di riso con appoggio di seta<br />
su carta; montata a rotolo su bastone, la carta<br />
rappresenta il corso del fiume Tamagawa dalle<br />
sorgenti alla foce, tra Edo e Yokohama; la prospettiva<br />
dall’alto, con visione degli affluenti, dei<br />
paesi, delle borgate, pone davanti agli occhi<br />
una rappresentazione pratica utilissima, al<br />
tempo stesso ricca di sostanziale, dotta, poetica<br />
qualità artistica a testimoniare, come è stato<br />
sottolineato nell’importante e non solo commemorativo<br />
Convegno tenutosi a Palazzo Ducale<br />
nell’occasione dell’inaugurazione della mostra,<br />
l’ammirevole commistione, tipica del Giappone,<br />
«tra sapere e saper fare»; caratteristica questa<br />
comune anche alla storica Venezia, nella cui<br />
Biblioteca Nazionale, come ha indicato il direttore<br />
Marino Zorzi, si serbano eccezionali cimeli<br />
relativi a Marco Polo, «nobile e savio citadin de<br />
Veniexia», mercante, e primo occidentale a descrivere<br />
la Cina, l’Impero del Catai, allora governato<br />
dai Mongoli.<br />
Marco Polo non giunse in Giappone, ma ampiamente<br />
del Giappone parla nella sua opera. E<br />
alla metà del Quattrocento un cartografo veneziano,<br />
fra Mauro, è il primo a rappresentare<br />
quel remoto, vetusto, inaccessibile regno, nel<br />
celebre mappamondo conservato anch’esso nella<br />
Libreria Sansoviniana della Biblioteca Marciana,<br />
dove la mostra è ospitata.<br />
Giovan Battista Ramusio, cui si deve la più<br />
famosa raccolta di scritti di esplorazioni e viaggi,<br />
fu dal 1530 al 1543, bibliotecario di San<br />
Marco, poiché il bibliotecario titolare, il letterato<br />
Pietro Bembo era sovente assente da Venezia.<br />
E la Libreria di San Marco fu visitata nel<br />
1585 da Ito Mancho e dal suo gruppo di gentiluomini<br />
giapponesi, accompagnati dal gesuita<br />
Mezquita, i primi a raggiungere l’Italia. Se i libri<br />
che all’epoca riempivano la Libreria e le tele<br />
del Tintoretto che all’epoca si trovavano al<br />
loro posto nel vestibolo sono stati rispettivamente<br />
collocati o trasferiti altrove, le tele invece<br />
che tuttora ne adornano il soffitto sono ancor<br />
oggi tali e quali le ammirarono quei giapponesi<br />
ardimentosi di tanti secoli fa.