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L'OSSERVATORE ROMANO

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.<br />

PAGINA<br />

8 .<br />

Tre mesi fa — il 22 settembre — Giovanni Paolo II era in Kazakhstan<br />

per lo storico pellegrinaggio in una terra che nel XX secolo ha conosciuto<br />

la ferocia dell'ateismo militante comunista. Il Papa ha reso omaggio ai<br />

martiri e ai figli dei martiri, alla Chiesa che, perseguitata in maniera brutalmente<br />

sistematica, ha saputo conservare viva la fede e trasmetterla alle<br />

nuove generazioni. Tra i tanti eroici pastori che in Kazakhstan hanno saputo<br />

persino inventare «la pastorale della deportazione» ci sono due sacerdoti<br />

polacchi particolarmente cari al Papa che li ha personalmente conosciuti:<br />

Padre Władysław Bukowiński, morto, all'età di 70 anni, il 3 dicembre<br />

1974, e Padre Tadeusz Fedorowicz, che, novantaquattrenne, vive oggi<br />

in Polonia. Le testimonianze di questi due sacerdoti costituiscono una pagina<br />

significativa della storia della Chiesa nel XX secolo. È la loro coraggiosa<br />

missione sacerdotale l'eredità più preziosa che i giovani cristiani del<br />

Kazakhstan hanno ricevuto. Sui loro patimenti, uniti alla Croce di Cristo,<br />

fiorisce ora la vita della comunità cristiana (g.p.m.).<br />

<strong>L'OSSERVATORE</strong> <strong>ROMANO</strong> Domenica 23 Dicembre 2001<br />

Le testimonianze di due sacerdoti polacchi<br />

che attraverso la «pastorale della deportazione»<br />

hanno trasmesso la fede alle nuove generazioni in Kazakhstan<br />

Padre Bukowiński, «parroco»<br />

dei cristiani deportati nei gulag<br />

CZESŁAW DRĄŻEK<br />

Tre mesi fa siamo stati testimoni di<br />

un evento straordinario, impensabile<br />

dieci anni fa. Prima del 1989, infatti, chi<br />

avrebbe potuto prevedere che alla soglia<br />

del XXI secolo il Successore di San Pietro<br />

sarebbe andato nel Kazakhstan, per<br />

pregare in quella terra, segnata da una<br />

grande sofferenza per tutte le vittime<br />

del totalitarismo? che egli avrebbe reso<br />

omaggio ai martiri e ai presbiteri, restati<br />

fedelmente sulla breccia, benché ciò richiedesse<br />

eroismo?<br />

Uno di loro fu l’instancabile pastore<br />

di Karaganda, Padre Władysław Bukowiński,<br />

la cui figura Giovanni Paolo II<br />

ha ricordato ad Astana, il 23 settembre.<br />

Al termine della Santa Messa, salutando<br />

i suoi connazionali residenti nel Kazakhstan,<br />

il Papa ha detto: «Mi ha<br />

parlato molto di voi l’indimenticabile p.<br />

Władysław Bukowiński, che ho incontrato<br />

più volte e che sempre ho ammirato<br />

per la fedeltà sacerdotale e per lo<br />

slancio apostolico».<br />

Anche durante l’incontro con il Presidente<br />

della Repubblica, Nursultan Nazarbajev,<br />

il Santo Padre ha ricordato<br />

questo sacerdote con le seguenti parole:<br />

«È la prima volta che mi trovo in questo<br />

punto del globo, in Asia Centrale. La<br />

prima fonte di informazioni sul Kazakhstan<br />

è stata per me il padre Bukowiński,<br />

ben noto qui. Durante la Seconda<br />

Guerra Mondiale egli fu deportato, perché<br />

sacerdote, dalla Polonia in Unione<br />

Sovietica e qui ha passato tutta la sua<br />

vita. Qui anche morì e fu sepolto, a Ka-<br />

raganda. Da allora ho cominciato a conoscere<br />

alcune cose del Kazakhstan. Ma<br />

adesso è la prima volta che posso vederlo<br />

oculis propriis, con i miei propri occhi.<br />

Peccato che io non possa visitare<br />

Karaganda e la tomba di padre Bukowiński»<br />

(23 settembre 2001).<br />

Non è stata ancora scritta la biografia<br />

di questo sacerdote, ma i più importanti<br />

dati della sua vita, della sua attività e<br />

della sua spiritualità si possono trovare<br />

nelle sue lettere e nel suo piccolo libro<br />

Wspomnienia z Kazachstanu (Ricordi<br />

dal Kazakhstan) ed anche nel volumetto<br />

Spotkałem człowieka (Ho incontrato<br />

un uomo), una raccolta di riflessioni dei<br />

suoi amici, preparato e pubblicato alcuni<br />

mesi fa da Don Witold Kowalow.<br />

Padre Bukowiński nacque a Berdyczów,<br />

l’antica provincia di Kyiv, il 4<br />

gennaio 1905. Suo padre fu amministratore<br />

di proprietà terriere in Ucraina. La<br />

madre, Jadwiga, proveniva dal casato<br />

Scipio del Campo, una famiglia italiana<br />

polonizzata, giunta in Polonia insieme<br />

alla regina Bona.<br />

Negli anni 1921-1931 conseguì gli studi<br />

alla Facoltà di giurisprudenza e di<br />

teologia dell’Università Iagellonica a<br />

Cracovia, dopo di che il 23 giugno 1931,<br />

nella cattedrale di Wawel, ricevette gli<br />

ordini sacri dalle mani del Metropolita<br />

l’Arcivescovo Adam Sapieha. Per alcuni<br />

anni svolse il lavoro pastorale nell’arcidiocesi<br />

di Cracovia, e nell’agosto del<br />

1936 fu trasferito a Łuck in Volinia. Insegnava<br />

nel Seminario maggiore e dirigeva<br />

l’Istituto diocesano dell’Azione Cattolica.<br />

Qui lo sorprese la guerra.<br />

Padre Fedorowicz: «Che siate felici<br />

nel vostro sacerdozio come lo sono io!»<br />

ANDRZEJ GAŁKA<br />

“ Merita un ricordo particolare il martirologio dei sacerdoti<br />

«Che siate felici nel vostro sacerdozio,<br />

come lo sono io!». Così p. Tadeusz Fedorowicz<br />

ha iniziato l’incontro con i<br />

chierici del primo anno del Seminario<br />

Maggiore di Łowicz. Chi conosce oggi<br />

l’ormai novantaquattrenne Padre Tadeusz<br />

Fedorowicz non si stupisce di queste<br />

parole. Nella sua lunga vita nulla ha potuto<br />

togliergli questa felicità. Perfino il<br />

difficile periodo della II Guerra Mondiale<br />

e la vita errante nel Kazakhstan. Nell’introduzione<br />

al suo libro «Drogi Opatrzności»<br />

(«Le vie della Provvidenza») scrive:<br />

«Per quei quattro anni non conobbi<br />

né la vera fame, né la mancanza di una<br />

casa, né i maltrattamenti nei riguardi<br />

della mia persona. Perfino durante i<br />

quattro mesi di prigione venivo trattato<br />

con rispetto. Non avevo freddo, non mi<br />

mancava il vestiario. Inoltre, come un<br />

“viaggiatore volontario” non mi sentivo<br />

come uno che subisce un torto, come<br />

tutti i deportati, avevo un rapporto completamente<br />

diverso con ciò che mi era<br />

capitato. Sapevo perché ero lì. La sconfinata<br />

fiducia in Dio e nella Provvidenza,<br />

e la convinzione che in ogni uomo c'è<br />

comunque il bene, mi permettono di<br />

guardare tutti e tutto con ottimismo e<br />

speranza».<br />

Nacque il 4 febbraio 1907 a Klebanówka,<br />

in Podolia, quarto figlio di Zofia<br />

nata Kraińska e di Aleksander. Dei suoi<br />

genitori scrive: «Nell’infanzia nostra madre<br />

ci insegnava il catechismo, ci leggeva<br />

la Sacra Scrittura e curava la nostra<br />

preghiera quotidiana. Fu profondamente<br />

credente, senza bigottismo». La mamma<br />

era una classica «madre polacca», concreta<br />

nel pensare, nel parlare e nell’agire.<br />

Il padre era molto socievole, pieno<br />

di fantasia, scherzoso, con una mente<br />

acuta e con il cuore tanto buono. Perciò<br />

era molto benvoluto da tutto il paese e<br />

dalla servitù. Era esigente verso i propri<br />

figli nelle questioni riguardanti il rispetto<br />

per gli uomini e ogni tipo di onestà. Il<br />

paese era ucraino e il mio padre parlava<br />

molto bene quella lingua. «Nella nostra<br />

famiglia si coltivavano le tradizioni familiari»<br />

ricorda.<br />

Senza dubbi questa atmosfera esercitò<br />

un enorme influsso sul futuro sacerdote.<br />

All’inizio studiava privatamente, nella<br />

casa paterna. In questo modo compì gli<br />

studi della scuola elementare e tre classi<br />

del ginnasio. Al termine del liceo classico,<br />

a Leopoli, nel 1925 superò l’esame<br />

di maturità e all’Università «Jan Kazimierz»<br />

conseguì la laurea in giurisprudenza.<br />

La sua strada verso il sacerdozio<br />

passò ancora attraverso la scuola dei cadetti<br />

di artiglieria a Włodzimierz e il servizio<br />

nella divisione dell’artiglieria a cavallo.<br />

Negli anni 1931-1936 studiò nella<br />

Facoltà di Teologia dell’Università di<br />

Leopoli e fu ordinato sacerdote dall’Arcivescovo<br />

Bolesław Twardowski. Per un<br />

anno lavorò come vicario parrocchiale a<br />

Tarnopol e, in seguito, per quattro anni<br />

diresse la segreteria caritativa nella Curia<br />

Metropolitana di Leopoli.<br />

Venne l’anno 1940 che portò le deportazioni<br />

di massa dei polacchi dai territori<br />

occupati dall’esercito sovietico. Subito<br />

Padre Władysław Bukowiński<br />

nei lager della Siberia e in altri del territorio<br />

dell'Unione Sovietica. Tra i molti che vi furono rinchiusi<br />

vorrei ricordare la figura di P. Tadeusz Fedorowicz, ben noto<br />

in Polonia, al quale come direttore spirituale devo<br />

personalmente molto. Padre Fedorowicz, giovane sacerdote<br />

dell'arcidiocesi di Leopoli, si era spontaneamente presentato<br />

al suo Arcivescovo per chiedere di poter accompagnare<br />

un gruppo di polacchi deportati verso l'Est.<br />

L'Arcivescovo Twardowski gli concesse il permesso<br />

ed egli poté così svolgere la sua missione sacerdotale<br />

tra i connazionali dispersi nei territori dell'Unione Sovietica<br />

e soprattutto in Kazakhstan. Ultimamente egli ha descritto<br />

in un libro interessante questa tragica vicenda<br />

(Giovanni Paolo II — «Dono e Mistero», Libreria Editrice Vaticana 1996 —<br />

pagine 46-47)<br />

dopo la prima deportazione, nel febbraio<br />

dello stesso anno, alcuni sacerdoti<br />

si recarono dall’Arcivescovo Bolesław<br />

Twardowski chiedendo il suo consenso<br />

per partire insieme con i prigionieri. Tra<br />

loro c’era Tadeusz Fedorowicz. Partì<br />

verso la fine di giugno del 1940. Karolina<br />

Lanckorońska ricorda nel suo libro:<br />

«In quel tempo, non mi ricordo il giorno,<br />

ebbi una visita, una delle più importanti<br />

visite nella mia vita. Venne a trovarmi<br />

Don Tadeusz Fedorowicz. Quando<br />

gli aprii la porta mi colpì l’espressione<br />

del suo volto, calma, quasi gioiosa,<br />

perfino raggiante di una felicità interiore.<br />

Fu uno strano contrasto con la sofferenza<br />

che allora ci circondava. “Sono<br />

venuto per salutarla”. “E lei per dove<br />

parte?”. “Non lo so”. Sedutosi, tirò fuori<br />

da una tasca un piccolo calice di cristallo.<br />

“È da casa” disse con un sorriso.<br />

Dall’altra tasca tirò fuori un libretto nel<br />

quale, con piccolissime lettere, erano<br />

scritte le parti stabili della Messa. Avevo<br />

capito. Andò via, salutandomi con un<br />

sorriso e una luce negli occhi».<br />

A questo evento della vita di Don Fedorowicz<br />

fa riferimento anche Giovanni<br />

Paolo II nel suo libro «Dono e Mistero»:<br />

«Vorrei ricordare la figura di p. Tadeusz<br />

Fedorowicz, ben noto in Polonia, al<br />

quale come direttore spirituale devo personalmente<br />

molto. Padre Fedorowicz,<br />

giovane sacerdote dell’arcidiocesi di<br />

Leopoli, si era spontaneamente presentato<br />

al suo Arcivescovo per chiedere di<br />

poter accompagnare un gruppo di polacchi<br />

deportati verso l’Est. L’Arcivescovo<br />

Twardowski gli concesse il permesso,<br />

ed egli poté così svolgere la sua missione<br />

sacerdotale tra i connazionali dispersi<br />

nei territori dell’Unione Sovietica e soprattutto<br />

in Kazakhstan». E durante il<br />

suo pellegrinaggio in Kazakhstan, parlando<br />

nella cattedrale di Astana, il 24<br />

settembre, il Santo Padre disse: «Ricordo<br />

anche p. Tadeusz Fedorowicz, che<br />

conosco personalmente, e che ha scoperto<br />

una nuova forma di pastorale dei<br />

deportati».<br />

Questa non è la fine delle avventure<br />

di p. Fedorowicz durante la guerra. Nel<br />

marzo del 1943 venne arrestato e trascorse<br />

quattro mesi nella prigione di Semipalatinsk.<br />

Uscito dalla prigione, diventò<br />

cappellano della IV Divisione della<br />

Prima Armata Polacca nell’Unione Sovietica.<br />

Lo fu fino al novembre del 1944.<br />

Non era partito con l’esercito del generale<br />

Anders perché, come scrisse successivamente,<br />

«avevo preferito rimanere<br />

con la mia gente nel Kazakhstan piuttosto<br />

che andare all’Occidente fuori dell’Unione<br />

Sovietica».<br />

Dopo essere stato dimesso dall’esercito<br />

per «motivi politici», p. Fedorowicz si<br />

recò a Lublino e lì incontrò Don<br />

Władysław Korniłowicz. Fu proprio quest’ultimo<br />

ad invitare p. Tadeusz a<br />

Żułów. Non avendo una chiara idea di<br />

che cosa fare, non riusciva infatti a trovare<br />

un’occasione per recarsi da suo<br />

fratello Aleksander che lavorava nella<br />

parrocchia di Tywonia presso Jarosław,<br />

andò a Żułów, dalle Suore Francescane<br />

Ancelle della Croce, di Laski. Iniziò così<br />

la grande avventura con l’opera di Laski<br />

che continua fino ad oggi. Fino al mese<br />

di aprile del 1947 soggiornò a Żułów,<br />

dove svolse il ministero pastorale nell’Istituto<br />

per i non vedenti, gestito dalle<br />

Suore. Nell’aprile di quell’anno giunse a<br />

Laski, presso Varsavia, e divenne padre<br />

spirituale delle suore e di tutta l’opera<br />

di Laski. Si allontanò ancora per due<br />

anni per essere, dal 1948 al 1950, padre<br />

spirituale nel seminario di Leopoli, trasferito<br />

allora nel convento dei Bernardini<br />

a Kalwaria Zebrzydowska. Lì incontrò<br />

l’attuale Metropolita dei Latini di<br />

Leopoli, il Cardinale Marian Jaworski<br />

che, all’epoca, fu suo educando. La loro<br />

cordiale amicizia dura fino ad oggi.<br />

Tornato a Laski, servì come confessore<br />

ai chierici del Seminario Maggiore di<br />

Varsavia e più tardi anche ai sacerdoti<br />

studenti dell’Accademia di Teologia Cattolica<br />

a Varsavia. Nel frattempo divenne<br />

membro del capitolo della cattedrale di<br />

Leopoli.<br />

-<br />

”<br />

Egli prese così alla lettera le parole di<br />

Isaia, pronunciate da Gesù a Nazareth:<br />

«Lo Spirito del Signore è sopra di me;<br />

per questo mi ha consacrato con l’unzione,<br />

e mi ha mandato per annunziare<br />

ai poveri un lieto messaggio, per proclamare<br />

ai prigionieri la liberazione e ai<br />

ciechi la vista». Queste parole divennero<br />

il contenuto di tutta la sua vita. Così visse<br />

in Kazakhstan, dove andò per proclamare<br />

la liberazione ai prigionieri, per insegnare,<br />

lì, in quelle condizioni disumane,<br />

la fede e la fiducia in Dio, per portare<br />

nella loro vita coraggio e speranza.<br />

Una delle polacche imprigionate allora<br />

nel Kazakhstan ricorda così il ministero<br />

di p. Fedorowicz: «Poco dopo p. Tadeusz<br />

visita le nostre casupole. In via Uczuliczna,<br />

dalla signora Urbańska, si svolge<br />

la confessione. Un lungo sguardo di occhi<br />

buoni, sereni, e parole molto belle e<br />

calorose rincuorano».<br />

«La vista ai ciechi»: queste parole rendono<br />

in modo particolare il suo ministero<br />

a Laski, dove da quasi cinquantacinque<br />

anni il Padre condivide con i non<br />

vedenti e con coloro che formano Laski<br />

e che vanno lì, la sua esperienza di fede,<br />

la sua speranza, che da lui emana, e la<br />

bontà di cui è ricolmo. Essere a Laski,<br />

come egli ci dice, è la più grande felicità.<br />

Ha tempo e cuore aperto per tutti.<br />

Qui, a Laski, il Padre ha guidato centinaia<br />

di esercizi spirituali e ha tenuto un<br />

numero ancora maggiore di conferenze.<br />

Tuttavia, il suo più importante servizio<br />

— come disse una volta lui stesso — è<br />

quello nel confessionale. A quante persone<br />

ha dato un aiuto! Quanti «ciechi<br />

nell’anima» sono tornati, grazie a lui, al<br />

Signore! In ogni uomo vede il bene e<br />

non ha mai detto di nessuno: «È un uomo<br />

cattivo». Vuole bene ai non vedenti<br />

e darebbe tutto per loro. Coloro che<br />

stanno con lui abitualmente dicono di<br />

lui: «È così normale, semplice e accessibile<br />

per ognuno. Sereno, con un sano<br />

senso di umorismo e sorridente verso le<br />

persone, gli uccelli, il cielo, i fiori». Sa<br />

chiamare per nome tutte le piantine e<br />

distinguere tutti gli uccelli che cantano.<br />

Sa gioire cordialmente di ogni cosa.<br />

Verso ogni cosa sa mantenere un sano<br />

distacco. Sa ridere di se stesso, tratta se<br />

stesso un po’ per ridere, però, molto seriamente<br />

gli altri. Quando gli ho detto:<br />

«Padre, devo scrivere un articolo su di<br />

lei per “L’Osservatore Romano”» lui si è<br />

messo a ridere e ha aggiunto: «Sai, è<br />

proprio da ridere». È così il nostro caro<br />

Padre!<br />

Il Primate, Cardinale Glemp, nell’introduzione<br />

al libro «Drogi Opatrzności»<br />

ha scritto: «Don Fedorowicz oppure —<br />

come tutti lo chiamano — p. Tadeusz,<br />

oppure monsignor mitrato, è un sacerdote<br />

che vale la pena incontrare. Nel<br />

suo sguardo sempre noterai che si interessa<br />

di te. Avrebbe voglia di vedere le<br />

tue ansie in relazione a Dio. Per spiegarti<br />

le cose di Dio, si richiama ad un albero,<br />

ad un’ape, spiega il profumo del fiore.<br />

È il Don Tadeusz Fedorowicz che<br />

conosciamo oggi, e difatti, a dir il vero,<br />

non lo conosciamo, o piuttosto lo conosciamo<br />

così poco».<br />

Sì, vale la pena incontrare un prete<br />

così.<br />

Nel novembre del 1939 Mons. Piotr<br />

Szelążek lo nominò parroco della cattedrale<br />

di Łuck. Sviluppò una vasta attività<br />

caritativa, con la quale abbracciò in<br />

modo particolare i soldati dei reparti polacchi<br />

dispersi. Con bontà e sapienza<br />

conquistò la benevolenza dei parrocchiani.<br />

Dopo l’occupazione dell’Ucraina da<br />

parte dell’Armata Rossa venne arrestato<br />

insieme ad altri membri del clero, il 22<br />

agosto 1940. Rimase in prigione fino al<br />

26 giugno 1941. Uscitone, continuò a<br />

svolgere la funzione di parroco della cattedrale<br />

nella stessa città.<br />

Il 4 gennaio 1945 venne arrestato per<br />

la seconda volta. Venne rinchiuso in varie<br />

prigioni e in vari campi di lavoro forzato<br />

nel territorio dell’Unione Sovietica,<br />

fino al 10 agosto 1954. Per imposizione<br />

delle autorità amministrative fu trasportato<br />

a Karaganda, al centro del Kazakhstan.<br />

Si stabilì nella casa degli operai.<br />

Lavorava ogni due notti come custode<br />

degli edifici in costruzione e il resto del<br />

tempo lo dedicava al lavoro pastorale,<br />

svolto in case private.<br />

Quando, dal giugno 1955, i deportati<br />

polacchi ebbero la possibilità di tornare<br />

dal Kazakhstan in patria, egli non usufruì<br />

della possibilità di rimpatrio, perché<br />

vedeva nel Kazakhstan il suo posto di<br />

vita e di lavoro sacerdotale. Fu una scelta<br />

su cui aveva riflettuto, pregato. Fu<br />

una scelta libera ed irrevocabile. Fu<br />

un’espressione del suo amore per Cristo<br />

e per i fratelli. Non voleva lasciare le<br />

sue pecore senza un pastore. «Non posso<br />

abbandonarli, come Jan Beyzym non<br />

ha abbandonato i lebbrosi in Madagascar»<br />

scrisse ad un amico.<br />

Perfino i suoi cari non furono in grado<br />

di comprendere una decisione di<br />

questo genere. Tra le lettere conservate<br />

ce n’è una di suo fratello, Zygmunt Bukowiński,<br />

del 10 dicembre 1956, scritta<br />

al Cardinale Stefan Wyszyński, con la<br />

quale egli implorava il Primate di Polonia<br />

di convincere padre Władysław a<br />

tornare in Polonia, perché nel Kazakhstan<br />

ci sarebbe stato sempre minor<br />

bisogno di lui e in patria invece l’attendeva<br />

molto lavoro. In risposta, il Primate<br />

scrisse, il 26 febbraio 1957, di lasciare<br />

la decisione al sacerdote stesso: «Abbandonare<br />

gli uomini e dunque condannarli<br />

ad essere privati dell’Eucaristia, della<br />

confessione, del Sacramento del Battesimo,<br />

è qualcosa di terribile. Perfino un<br />

sacerdote poco zelante si decide a questo<br />

con difficoltà. E che cosa dire di un<br />

uomo così meraviglioso quale è suo fratello,<br />

che io conosco bene?».<br />

Una delle conseguenze del fatto che<br />

padre Bukowiński rimase nel Kazakhstan<br />

fu che venne arrestato per la terza<br />

volta, il 3 giugno 1958. Rimase in prigione<br />

fino al 3 dicembre 1961. Lasciato<br />

libero, riprese l’apostolato nelle case private,<br />

portando l’aiuto spirituale a coloro<br />

che vi abitavano: bielorussi, tedeschi,<br />

polacchi, ucraini. Da molti anni non c’era<br />

tra loro un sacerdote. Godevano di<br />

aver potuto finalmente incontrarlo ed<br />

accostarsi ai santi sacramenti. Nelle abitazioni<br />

private si raccoglievano alcune<br />

persone fidate e padre Bukowiński celebrava<br />

per loro la Santa Messa, confessava,<br />

battezzava, benediceva le unioni matrimoniali,<br />

preparava i bambini alla Prima<br />

Comunione.<br />

Era molto rispettato e benvoluto dagli<br />

abitanti di Karaganda e dei dintorni, indipendentemente<br />

dalla nazionalità. Nonostante<br />

le molteplici difficoltà sapeva<br />

conservare la serenità d’animo. Credeva<br />

profondamente nella Divina Provvidenza<br />

e non cedeva alla disperazione e al pessimismo.<br />

Il principio della sua vita era:<br />

«Il giogo di Cristo è dolce e il suo carico<br />

leggero» (cfr Mt 11, 30). Con queste parole<br />

del Maestro terminò anche i suoi<br />

Wspomnienia z Kazachstanu (Ricordi<br />

dal Kazakhstan) scritti nel 1970 e pubblicati<br />

nel 1979.<br />

In questo libro non ci sono lamenti<br />

per la dura sorte, non c’è ombra di rancore<br />

e di avversione. Tutto il contrario,<br />

c’è tanta modestia, umiltà, bontà, comprensione<br />

e benevolenza perfino verso i<br />

suoi persecutori. Il libro possiede un valore<br />

ultratemporale, prima di tutto grazie<br />

alla fede soprannaturale dell’autore,<br />

percepibile in molte pagine del racconto.<br />

Termina i suoi ricordi con la descrizione<br />

dell’arrivo, su un vecchio carro tirato<br />

da un paio di cavalli, in un villaggio<br />

di montagna, staccato dal mondo, nel<br />

quale la gente viveva nell’abbandono e<br />

nell’isolamento. Salutarono il sacerdote<br />

con le lacrime agli occhi. «Nessuno si ricordava<br />

di noi, soltanto il padre è venuto<br />

da noi» dicevano.<br />

Quella bellissima giornata di sole nel<br />

mese di giugno rimase per sempre impressa<br />

nel cuore del sacerdote. «Allora<br />

— confessa — mi sentii molto felice e<br />

grato alla Provvidenza perché mi aveva<br />

condotto lì, da quella gente così povera<br />

ed abbandonata e tuttavia così credente<br />

e che amava Cristo. Quella felicità<br />

sperimentata su quel carretto tremante,<br />

io non l’avrei cambiata con sommi<br />

onori e piaceri» (Ricordi dal Kazakhstan,<br />

p. 78).<br />

Fu sempre molto laborioso, ben disposto<br />

e servizievole. Sensibile alla miseria<br />

umana, consolava coloro che erano<br />

abbattuti, portava la speranza nella loro<br />

vita. La gente si rivolgeva a lui per svariati<br />

problemi, chiedendo un consiglio.<br />

Molti giungevano da tanto lontano. Pa-<br />

dre Bukowiński scriveva: «A Karaganda<br />

c’è tanto lavoro pastorale con gli abitanti<br />

stabili di questa città. Il lavoro viene<br />

aumentato dal fatto che bisogna servire<br />

numerosi forestieri, che a volte fanno<br />

migliaia di chilometri pur di trovare un<br />

sacerdote.<br />

«Tra la popolazione cattolica si è diffusa<br />

ampiamente la fama che a Karaganda<br />

si può sempre trovare un sacerdote.<br />

Non parla ormai soltanto del Kazakhstan.<br />

La gente viene dal sud, dalle<br />

Repubbliche dell’Asia centrale. Giungono<br />

dal nord, a volte perfino da Archangielsk,<br />

benché da lì sia molto più vicina<br />

Mosca che Karaganda. Vengono dall’ovest,<br />

persino dai territori sul Volga.<br />

Giungono dall’est, persino dal profondo<br />

della Siberia. Vengono dai parenti, ma<br />

allo stesso tempo, anche dal sacerdote.<br />

Quanto spesso tra questi viaggiatori e<br />

non soltanto tra loro, ci sono coloro che<br />

non si sono confessati da moltissimi anni,<br />

a volte da 20, anche da 40 anni. E<br />

forse ancora più spesso capitano coloro<br />

che non si sono confessati neanche una<br />

volta nella vita. Il più grande “bambino”<br />

che si è confessato da me è stata una<br />

vedova di 52 anni. E sarebbe difficile<br />

contare coloro che hanno ricevuto da<br />

me la Santa Comunione a 40 anni»<br />

(Ibid., p. 51).<br />

Compiva la sua missione con una totale<br />

dedizione e abnegazione di sé non<br />

soltanto in Karaganda. Con un piccolo<br />

fagotto di cose personali, attraversò<br />

molti luoghi, come i primi discepoli di<br />

Cristo. Compiva viaggi missionari, che<br />

duravano mesi, nelle Repubbliche dell’Asia<br />

Centrale, confinanti con il Kazakhstan,<br />

per portare la luce del Vangelo<br />

agli uomini assetati di Dio, senza badare<br />

alla stanchezza fisica e alle vessazioni<br />

che rischiava. Scrisse in una delle lettere:<br />

«L’inverno di quest’anno è passato<br />

per me tutto nel viaggiare attraverso il<br />

Tagikistan. Sono tornato a casa il 18<br />

marzo [1968]. Il Tagikistan è un paese<br />

indubbiamente interessante sotto l’aspetto<br />

turistico. In quanto la nostra Karaganda<br />

non ha in sé nulla ma nulla di<br />

esotico, in tanto là ad ogni passo si vede<br />

che lì vi è l’Oriente musulmano. È ovvio<br />

che io sono andato lì non a causa del<br />

variopinto esoterismo. Sono andato da<br />

coloro che per anni interi attendono un<br />

ospite come me. C’era molta gioia, ma<br />

non sono mancate neppure le lagrime<br />

quando andavo via. Ero lì ormai per la<br />

quarta volta, e ogni volta il lavoro non<br />

diminuiva, piuttosto aumentava. In queste<br />

condizioni è infondato il pessimismo<br />

riguardo al futuro, anche se la sproporzione<br />

evangelica tra la messe e i mietitori<br />

si sentiva acutamente. Sono profondamente<br />

grato alla Provvidenza per questo<br />

viaggio» (Spotkałem człowieka [Ho incontrato<br />

un uomo], Biały Dunajec —<br />

Ostróg 2001, p. 118).<br />

Nell’estate 1963 padre Bukowiński ricevette<br />

dalle autorità il permesso di visitare<br />

la Polonia. La seconda volta andò<br />

in patria nell’autunno del 1969 e l’ultima<br />

volta per le feste di Natale del 1972. Si<br />

incontrò con i suoi familiari, gli amici,<br />

con il Primate Cardinale Stefan Wyszyński<br />

e il Metropolita di Cracovia Cardinale<br />

Karol Wojtyła. Curava la sua salute<br />

ormai minata. Ogni volta aveva fretta di<br />

ritornare dai suoi «parrocchiani» che<br />

l’attendevano con nostalgia.<br />

Le penose condizioni di vita e dell’apostolato,<br />

il clima severo e l’eccesso di<br />

lavoro avevano affievolito le sue forze fisiche.<br />

Gravemente malato non cessò di<br />

celebrare la Santa Messa per la gente,<br />

dicendo: «Voglio ancora servirvi, sebbene<br />

mi sia tanto difficile». Morì il 3 dicembre<br />

1974, nella memoria liturgica di<br />

San Francesco Saverio, patrono delle<br />

missioni. Tantissime persone parteciparono<br />

ai funerali, credenti e non credenti,<br />

vecchi e giovani. Si disse che fu una<br />

grande manifestazione di fede che egli<br />

rafforzava nei cuori umani, riscattando<br />

il proprio ministero con oltre 13 anni di<br />

prigione e di lager.<br />

Dopo aver ricevuto la notizia della<br />

morte di padre Bukowiński, il Cardinale<br />

Karol Wojtyła inviò, il 9 dicembre 1974,<br />

una lettera al fratello Zygmunt: «Mi sono<br />

rattristato — egli scrisse — per la<br />

notizia della morte di padre Władysław,<br />

quell’autentico sacerdote di Cristo e<br />

Apostolo tra i più bisognosi della parola<br />

di Dio, del ministero della consolazione<br />

sacerdotale (...). Spero che egli ormai<br />

goda il premio di un Servo Buono del<br />

Vangelo e continui a ricordare le pecore<br />

di cui qui ebbe cura zelante». Celebrò a<br />

Cracovia anche una Santa Messa per la<br />

sua anima.<br />

Nel decimo anniversario della morte<br />

di padre Bukowiński, al cimitero di Karaganda,<br />

fu fatta l’esumazione delle spoglie<br />

che successivamente furono sepolte<br />

presso la nuova chiesa di San Giuseppe,<br />

dove fu murata una lapide-ricordo con<br />

una scritta in lingua tedesca, polacca e<br />

russa. La gente va lì per pregare.<br />

Si stanno avverando le parole che,<br />

durante il suo ultimo soggiorno in patria<br />

egli disse ai suoi amici, spiegando loro<br />

perché, nonostante il cattivo stato di salute,<br />

non poteva rimanere nel paese, ma<br />

doveva tornare a Karaganda. Disse allora:<br />

«Fa apostolato anche la tomba del<br />

sacerdote».<br />

E partì.

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