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ERZA T PAGINA .<br />
PAGINA<br />
3 .<br />
Un volume di Bodei su figure e momenti dell'ateismo<br />
«Continuerò a cercare<br />
risposte, rifiutando<br />
banalità e indifferenza»<br />
ARMANDO RIGOBELLO<br />
Il periodo liturgico dell'Avvento ci induce<br />
a riflettere sul tema centrale della<br />
nostra fede nell'attesa di una Parola che<br />
ci fonda e ci salva. La riflessione teologica<br />
però non ci dispensa dall'allargare<br />
l'orizzonte della meditazione alla condizione<br />
religiosa dell'umanità del nostro<br />
tempo e, in maniera più specifica, a<br />
quell'ambito culturale ove lo stesso riconoscimento<br />
di Dio è messo in discussione.<br />
Ci invita e ci aiuta a fare ciò un breve,<br />
agile, puntuale e recente saggio: I<br />
senza Dio. Figure e momenti dell'ateismo,<br />
pubblicato a Brescia dalla Morcelliana,<br />
a cura di Gabriella Caramore in<br />
dialogo con Remo Bodei, dell'Università<br />
di Pisa, ben noto anche al grande pubblico<br />
per i suoi acuti ed equilibrati interventi<br />
sui temi di fondo della nostra tradizione<br />
e del nostro futuro.<br />
La forma letteraria è quella di un'intervista<br />
che assume, per l'impegno che<br />
la guida, la natura di un vero e proprio<br />
dialogo filosofico. Concentriamo la nostra<br />
attenzione sul quarto spartito del testo:<br />
Nel mondo adulto, in cui si raggiunge,<br />
per così dire, la stretta finale del<br />
discorso dopo aver caratterizzato le tre<br />
«correnti di interrogazione» che percorrono<br />
il dibattito su l'ateismo contemporaneo:<br />
«l'ateismo come premessa per la<br />
libertà umana»; «l'ateismo come risposta<br />
all'indifferenza di Dio»; «l'ateismo come<br />
conseguenza alla domanda sul male del<br />
mondo». Come premessa, quindi, come<br />
risposta, come conseguenza.<br />
La visione prospettica sulla questione<br />
dal punto di vista dell'uscita di minorità<br />
attraverso il componimento teatrale di<br />
J.P. Sartre, Il diavolo e il buon Dio, ove<br />
Goetz, il monaco ribelle che invita a liberarsi<br />
dalla regola e dalla stessa religione,<br />
compiuto l'atto rivoluzionario, raggiunge<br />
una disperante maturità: ha liberato<br />
i cieli da Dio in nome di una nuova<br />
solidarietà tra gli uomini e si trova irrimediabilmente<br />
solo sotto «il peso intollerabile<br />
della libertà». Una libertà assoluta,<br />
allucinante, inutile titanismo di un<br />
uomo che si scopre «inutile passione».<br />
Un'altra via che porta all'adulto disincantato<br />
di fronte all'illusione religiosa,<br />
sarebbe il silenzio di Dio di fronte all'incomprensibile<br />
e all'assurdo. La «domanda<br />
di senso» cresce sempre più di fronte<br />
all'«abisso del senso». In una poesia di<br />
Hölderlin si dice «che Dio ha rivolto lo<br />
sguardo altrove e che il cielo è vuoto».<br />
Di fronte all'abisso del non senso potrebbe<br />
dialetticamente porsi Dio come<br />
consolatore. Ma l'uomo divenuto adulto<br />
non chiede consolazioni, ma risposte razionali.<br />
Di qui si snoda un'ulteriore via<br />
all'ateismo contemporaneo: il dolore invendicato,<br />
soprattutto il dolore degli innocenti,<br />
non permette una risposta ragionevole.<br />
Il crollo degli equilibri morali,<br />
la vittoria del male, le sofferenze invendicate<br />
possono certamente spegnere<br />
la fede in Dio, tuttavia gli stessi argomenti<br />
possono portare a conclusioni opposte:<br />
l'affermazione di un Dio che ristabilisca<br />
la supremazia del bene sul male<br />
in un livello di esistenza diversa da<br />
quella terrena, un'esistenza che trascenda<br />
il tempo. L'immortalità dell'anima è<br />
condizione per la restaurazione del senso<br />
della vita morale in una trascendente,<br />
e Dio, la fede in Dio, ne è la garanzia.<br />
È questa via kantiana ai postulati della<br />
ragion pura pratica, una via non percorsa<br />
nel dialogo. Kant non è un pensatore<br />
dell'età contemporanea, una età<br />
ove la fede morale di cui parla Kant è<br />
profondamente scossa dal dubbio.<br />
Il serrato procedere del dialogo, arricchito<br />
di suggestivi riferimenti testuali,<br />
procede serrato ma non se ne coglierebbe<br />
la profondità, né si rimarrebbe coinvolti<br />
nella sua suggestione se non seguissimo<br />
il discorso in una dimensione più<br />
profonda che non si presta ad una schematizzazione.<br />
Gli elementi che concorrono<br />
a questa profondità emergono dai<br />
riferimenti a Bonhoeffer e a Lévinas, alla<br />
sfida di «vivere come se Dio non esistesse»<br />
del primo, alla nozione di anima<br />
«naturalmente atea» del secondo.<br />
Bodei ricorda un passo di Benedetto<br />
Croce in Religione e serenità (nella raccolta<br />
Frammenti di etica) ove Croce<br />
contesta il valore consolatorio della speranza<br />
cristiana di ristabilire in una vita<br />
eterna gli affetti infranti quaggiù dalla<br />
morte. La vera serenità non verrebbe<br />
dall'attesa di un'altra vita, ma nell'operoso<br />
ricordo dell'unica forma di vita che<br />
conosciamo.<br />
L'esperienza cristiana che immagina<br />
Croce è l'opposto di quella che alimenta<br />
la fede di Dietrich Bonhoeffer. La fede<br />
di Bonhoeffer potrebbe essere intesa come<br />
ateismo metodico, esercizio di un<br />
metodo, simile al dubbio cartesiano, per<br />
scoprire l'indubitabile, per giungere ad<br />
una radicale purificazione della fede.<br />
Bodei commenta: «È una fede molto serena,<br />
che nasce probabilmente — anche<br />
conoscendo la biografia di Bonhoeffer<br />
— dal fatto che l'inevitabilità delle prove<br />
deve essere affrontata, e che non si può<br />
perdere il contatto con quel qualcosa<br />
che è più grande di noi solo perché la<br />
sofferenza e la disgrazia ci hanno colpito;<br />
sia come individui che come membri<br />
di una comunità storica» (p. 89). E continua:<br />
«È la posizione di Cristo nel deserto<br />
o di Cristo in croce, che resiste alle<br />
tentazioni diaboliche di chiamare a sé<br />
le legioni di angeli... È una religione<br />
che, in sostanza, rinuncia al potere, alla<br />
struttura di una salvezza a buon mercato<br />
e di paradisi a prezzo stracciato; una<br />
religione che sa che il rischio della fede<br />
va preso sul serio, perché la fede è rischio,<br />
e non sicurezza che discenda da<br />
una dimostrazione logico-matematica.<br />
L'uomo adulto di Bonhoeffer è consapevole<br />
che la razionalità è complessa e che<br />
la ragione ha i suoi limiti e, come osservava<br />
Pascal, è ragionevole riconoscerli.<br />
L'espressione di Lévinas secondo cui<br />
l'anima sarebbe «naturalmente atea» si<br />
riferisce ad una coscienza individuale<br />
contratta nella particolarità del proprio<br />
tempo, che si sottrae alla dimensione<br />
storica, collettiva, che si chiude all'altro.<br />
L'ateismo si sostanzia di questa autonomia<br />
che è una chiusura.<br />
L'aprirsi all'altro, divenirne l'«ostaggio»,<br />
è invece la via che conduce a Dio,<br />
ma è un Dio nascosto, che si cela nel<br />
volto dell'altro uomo, un Dio presente<br />
con la sua assenza, che è già passato<br />
confondendo le proprie tracce. Il volto<br />
dell'altro è il volto di uno sconfitto, di<br />
un abbandonato, di uno che è giunto in<br />
ritardo all'appuntamento.<br />
Il Dio di Lévinas non è quindi un Dio<br />
consolatore, ma un Dio lontano, l'andare<br />
verso di lui si connota come esodo.<br />
Anche in questa prospettiva l'uomo raggiunge<br />
una età adulta, segnata dal disincanto<br />
di fronte a rassicuranti garanzie; è<br />
una esposizione al limite. In Lévinas<br />
«Dio è identificabile — osserva Bodei —<br />
perché è totalmente altro; eppure di fatto<br />
lo scorgiamo nel volto di tutti i nostri<br />
simili» (p. 84), ma è un Dio nascosto,<br />
che è andato oltre. L'anima tuttavia in<br />
questo esodo, errando tra tracce sconvolte,<br />
è liberata dal suo «naturale» ateismo,<br />
ha infranto il divieto di una compiuta,<br />
esclusiva razionalità.<br />
A proposito dell'ateismo non dobbiamo<br />
lasciarci sviare dall'avversione che la<br />
parola stessa suscita. Anche Bodei dice<br />
di non aver simpatia per questa parola<br />
poiché nell'opinione comune viene usata<br />
come negazione di ogni prospettiva di<br />
senso. L'ateismo contemporaneo è qualcosa<br />
di più complesso e, come si è visto,<br />
può essere anche «metodico» e costituire<br />
una terapia per l'incredulità. Può<br />
essere cioè occasione di un brusco risveglio<br />
dalla sonnolenta routine di credenti<br />
e di non credenti. Essere atei sul serio è<br />
altrettanto difficile, e forse più, che accogliere<br />
una liberante testimonianza che<br />
ci trascende.<br />
Essere credenti è un impegno profondo<br />
non facilmente omologabile con una<br />
connotazione sociologica di appartenenza.<br />
Per questo le contrapposizioni di facciata<br />
vanno riconsiderate nella loro problematicità.<br />
«Continuerò a cercare risposte,<br />
rifiutando banalità e indifferenza»<br />
(p. 83) conclude Bodei e precedentemente,<br />
rifacendosi alla citata poesia di<br />
Hölderlin, aveva detto: «Ci chiediamo<br />
anche se nel nostro destino — in gran<br />
parte incomprensibile, visto che transitiamo<br />
su questa terra senza capirne<br />
granché — non sia proprio la fede quella<br />
porta stretta attraverso cui passare<br />
per trovare un significato all'intollerabile»<br />
(p. 81). Possiamo concludere citando<br />
un frammento di Pascal, citato pure nel<br />
dialogo su cui ci siamo soffermati:<br />
«Dio si è voluto nascondere. Se non<br />
ci fosse nessuna oscurità, l'uomo non<br />
sentirebbe la propria miseria. E se non<br />
ci fosse nessuna luce, non avrebbe nessuna<br />
speranza di salvezza. Perciò, non è<br />
soltanto giusto, ma è cosa buona per<br />
noi, che Dio si sia in parte nascosto, e<br />
in parte manifesto, poiché per l'essere<br />
umano è allo stesso modo pericoloso conoscere<br />
Dio senza conoscere la propria<br />
miseria, e conoscere la propria miseria<br />
senza conoscere Dio. Vere Tu es Deus<br />
absconditus».<br />
<strong>L'OSSERVATORE</strong> <strong>ROMANO</strong> Domenica 16 Dicembre 2001<br />
Un'originale passeggiata all'interno del Leirhnjúkur, uno dei crateri del vulcano islandese Krafla<br />
Immersi in uno scenario dantesco<br />
tra fumi, vapori e acre odore di zolfo<br />
FRANCO PELLICCIONI<br />
Con difficoltà ci muovevamo in un<br />
ambiente che, molto da vicino, assomigliava<br />
a come avevamo sempre immaginato<br />
l’Inferno di Dante. Ad iniziare<br />
dall’intenso ed acre odore di zolfo, ai<br />
fumi che qua e là si sprigionavano dal<br />
suolo per l’enorme calore esistente. Dovevamo<br />
essere estremamente attenti a<br />
dove mettevamo i piedi: non sarebbero<br />
state le sole scarpe a rimetterci...<br />
In più parti distinguevamo bolle di<br />
liquido e gas dalle dimensioni più diverse,<br />
sempre continuando ad inoltrarci<br />
in un terreno dissestato e dai contorni<br />
bizzarri, in un «universo» nero come<br />
la pece.<br />
Il tutto peggiorò successivamente<br />
rendendo, se possibile, ancora più «sinistro»<br />
e irreale quel luogo, quando, alla<br />
pioggia battente, che non ci aveva<br />
quasi mai abbandonati fino ad allora,<br />
ai fumi e ai vapori, si aggiunse un fitto<br />
manto nebbioso. Presto esso avvolse<br />
ogni cosa, nascondendo il paesaggio e<br />
il tragitto che intendevamo seguire per<br />
poter tornare sui nostri passi.<br />
In quel frangente le sensazioni provate<br />
furono molto forti, anche perché passavamo<br />
in continuazione dal freddo<br />
pungente al caldo intenso e viceversa,<br />
ed eravamo altresì coscienti che le cose<br />
potevano ancora aggravarsi, e di molto:<br />
eravamo all’interno del Leirhnjúkur, il<br />
cratere eruttivo del 1975-'84 del vulcano<br />
Krafla, nell’Islanda nord-orientale, ancora<br />
oggi a rischio di eruzione...<br />
All’interno dei campi di lava arrivammo<br />
dopo aver ammirato, grazie ad<br />
una breve ascensione, l’interessante lago<br />
formatosi nel Víti («inferno»), il cratere<br />
di esplosione del Krafla del 1724-<br />
29. In effetti all’ingresso dell’area, che<br />
non è recintata, è visibile un bel cartello<br />
di divieto d’accesso che i visitatori,<br />
noi compresi, invece scambiano come<br />
un incoraggiamento a visitarlo, sia pure<br />
«rapidamente», sia pure a proprio rischio<br />
e pericolo.<br />
D’altronde gli islandesi da sempre<br />
coabitano con vulcani e terremoti, perciò<br />
non fanno caso più di tanto se<br />
qualcuno si avventura in quella che,<br />
indubbiamente, rappresenta un’altra<br />
grossaattrazioneturistica della regione.<br />
La cascata di Goðafoss<br />
La solfatara<br />
di Námafjall<br />
Il lago formatosi<br />
nel Víti<br />
il cratere<br />
eruttivo<br />
del vulcano<br />
Krafla<br />
nel 1724<br />
Il Krafla ha eruttato 29 volte. Nell’ultima<br />
(1984) la lava non è giunta a minacciare<br />
gli insediamenti esistenti nel<br />
vicino lago Mývatn. Al contrario dei<br />
Mývatnseldar, i «fuochi del Mývatn»<br />
che, iniziati nel 1724, sono durati per<br />
cinque anni: allora la lava distrusse<br />
due fattorie, buona parte delle costruzioni<br />
della storica e importante fattoria<br />
di Reykjahlið, minacciando da vicino la<br />
chiesa, rimasta indenne nonostante fosse<br />
stata completamente circondata. Avvenimenti,<br />
questi, che assieme alle varie<br />
fasi dell’eruzione, furono registrati<br />
nelle cronache dell’epoca.<br />
I fuochi del Krafla risalgono invece al<br />
1975-1984. Originati nella caldera e nei<br />
crateri minori del vulcano, replicano<br />
quanto avvenuto 250 anni prima. La<br />
crescente attività tellurica iniziale culmina<br />
sul finire del 1975 in uno sciame<br />
sismico, nell’apertura di crateri minori<br />
e nell’eruzione di lava a nord del Leirhnjúkur<br />
(20 dicembre). Da allora l’attività<br />
vulcanica è continua: allargamento<br />
delle fessure, terremoti, accresciuta<br />
attività geotermale, fuoriuscita<br />
di lava (1980-'84). Le eruzioni saranno<br />
in tutto 15.<br />
I campi di lava del Leirhnjúkur<br />
Panoramica<br />
del lago<br />
Mývatn<br />
Lasciato il Krafla, ritornammo alla<br />
nostra base di partenza rappresentata<br />
dalla bella riserva naturalistica del lago<br />
Mývatn, con i suoi rilassanti e pittorici<br />
paesaggi, dopo una sosta per osservare<br />
la solfatara di Námafjall.<br />
Il lago Mývatn è il quarto dell’Islanda:<br />
37 kmq, 50 isolotti, una profondità<br />
media di appena 2,5 m, tanto che i raggi<br />
del sole danno vita a una quantità<br />
incredibiledialgheeplanctonsulfondo.<br />
È un’autentica oasi nell’immenso deserto<br />
lavico circostante e un irresistibile<br />
richiamo per i visitatori dell’isola, anche<br />
perché è localizzato in una regione<br />
caratterizzata da fattori favorevoli all’insediamento<br />
umano, esso gode infatti<br />
di una discreta «insolazione» e di un<br />
contenuto regime piovoso, anche se le<br />
acque del lago ghiacciano per sette mesi<br />
l’anno.<br />
Il vichingo Arnór Èorgrímsson fu il<br />
primo colono a stabilirvisi. Nel 1908<br />
venne qui scoperta una «lunga casa»<br />
dai muri lunghi più di 40 metri, probabilmente<br />
un tempio dedicato a Thor. E<br />
da quei primi colonizzatori discende la<br />
famiglia proprietaria dell’immensa «fattoria-madre»<br />
di Reykjahlíð, la più grande<br />
dell’Islanda (contiene 50 fattorie e<br />
copre un’area di circa 6000 kmq). Ma<br />
la popolazione del distretto non è mai<br />
stata molto numerosa. Nel 1703 gli abitanti<br />
erano 240 e nel 1984 erano arrivati<br />
appena a 590.<br />
Reykjahlíð è oggi il centro servizi della<br />
regione. Vi si trovano alberghi, negozi,<br />
una pista d’atterraggio, camping, piscina,<br />
banche e la chiesa di cui abbiamo<br />
già parlato. Dopo un suo primo restauro<br />
(1876), nel 1972 fu demolita per<br />
ricostruirla nell’originario sito. Nei<br />
pressi si intravedono ancora i ruderi<br />
delle costruzioni distrutte.<br />
A partire dal XIV secolo i proprietari<br />
della fattoria inviarono zolfo, estratto<br />
nel Krafla, Námafjall, Leirhnjúkur e<br />
Ketildyngja, in Europa, dove veniva<br />
utilizzato per scopi bellici. Da questo<br />
remotissimo angolo d’Islanda si continuò<br />
a mandare il minerale fino alla fine<br />
del XVII secolo, quando l’invio si<br />
interruppe per la scoperta nel continente<br />
di fonti alternative.<br />
Comunque il «cuore» dell’economia<br />
della fattoria è stato sempre rappresentato<br />
dall’allevamento che, nonostante i<br />
«fuochi del Mývatn», ha continuato a<br />
prosperare. Negli ultimi anni particolare<br />
attenzione è stata prestata al turismo,<br />
il cui timido inizio risale all’alba<br />
del XX secolo. Solo nel 1940 venne<br />
inaugurato un primo albergo. Da allora<br />
si è consentito l’accesso a pressoché<br />
l’intero mega-territorio della fattoria,<br />
cratere compreso...<br />
Nel 1968 è stata anche aperta una<br />
fabbrica di diatomite a Bjarnarflag, dove<br />
vengono lavorate le diatomee, microscopiche<br />
alghe fossili raccolte dragando<br />
il fondo nel settore nord del lago. Diatomite<br />
utile come «eccipiente» per fertilizzanti,<br />
vernici, dentifrici e plastica e<br />
come filtro per benzine, medicine, birra<br />
e vino. È un impianto industriale controverso,<br />
questo, dall’alto impatto ambientale<br />
in uno dei più noti siti ornitologici.<br />
Il nome, «lago dei chironòmidi», è<br />
dovuto alla presenza, tra giugno e agosto,<br />
di milioni di moscerini, contro i<br />
quali si può far poco.<br />
Un perfetto ecosistema, quello del<br />
Mývatn, perché fertilizzato dai resti dei<br />
moscerini, le cui larve costituiscono un<br />
ottimo ed abbondantissimo alimento<br />
per pesci ed uccelli. Qui è stata registrata<br />
la presenza di 15 specie di anatre<br />
e quella contemporanea di centomila<br />
uccelli appartenenti a specie diverse.<br />
Il giro del lago ci portò dapprima<br />
nelle paludi nord-occidentali di Neslandatangi,<br />
luogo privilegiato di riproduzione<br />
degli uccelli, dove dal 15 maggio<br />
al 20 luglio è impossibile accedere. In<br />
prossimità del centro servizi secondario<br />
di Skútustaðir (chiesa, stazione di benzina,<br />
ristorante), sulla sponda meridionale,<br />
troviamo Skútustaðagígar con i<br />
suoi interessanti pseudo-crateri (crateri<br />
di esplosione formati dalla lava confluita<br />
nelle acque lacustri). Dalla loro sommità<br />
si ammira anche lo stupendo cono<br />
di cenere vulcanica dell’Hverfell, risultato<br />
di un’eruzione di 2500 anni fa.<br />
Lasciato definitivamente il lago, siamo<br />
andati a vedere la storica Goðafoss,<br />
la «cascata degli dei» formata dal fiume<br />
Skjalfandafjot.<br />
Secondo le saghe, qui Èorgeir, il Presidente<br />
dell’Alþing (l’Assemblea degli<br />
uomini liberi), avrebbe gettato gli idoli<br />
pagani dopo l’adesione dell’Islanda alla<br />
fede cattolica nell’anno 1000.<br />
Appuntamenti<br />
culturali<br />
Roma, 16 dicembre<br />
Il Natale nei testi<br />
di Mazzolari e di Gozzano<br />
Il 16 dicembre alle ore 17, nella<br />
chiesa di S. Maria in Vallicella,<br />
si terrà un «Incontro Spirituale»<br />
sul tema: «Natale, lettura da<br />
Don Primo Mazzolari e da Guido<br />
Gozzano».<br />
Firenze, fino al 3 marzo<br />
«I mai visti»<br />
«I mai visti — Capolavori dai<br />
depositi degli Uffizi» è il titolo<br />
della mostra che sarà aperta fino<br />
al 3 marzo nella Sala delle<br />
Reali Poste presso la Galleria<br />
degli Uffizi.<br />
Ricordo di Ardito Desio<br />
Aspirava a conquistare l'«Everest» più alto: la conoscenza<br />
MARIA MAGGI<br />
Ardito Desio, l’esploratore, che aveva studiato<br />
quasi ogni angolo del pianeta, alte montagne, torridi<br />
deserti e gelidi ghiacci, è morto giovedì nella sua<br />
casa di Roma a 104 anni d’età. Amava le montagne<br />
e le montagne gli diedero la gloria. Il nome di Desio,<br />
che guidò la spedizione italiana, rimarrà legato<br />
alla conquista del K2, la seconda montagna del<br />
mondo dopo l’Everest.<br />
Ardito Desio era nato il 18 aprile 1897 a Palmanova,<br />
la città-fortezza friulana, a pianta stellare,<br />
che i Veneziani costruirono nel Cinquecento. A 18<br />
anni partì per il fronte unendosi al Gruppo Volontari<br />
Ciclisti, addetto a portare ordini alle prime linee.<br />
Poi divenne ufficiale degli Alpini. La Grande<br />
Guerra gli fece sperimentare un anno di prigionia<br />
in Boemia. Al ritorno si laureò in Scienze Naturali<br />
a Firenze nel 1920, specializzandosi in geologia. Lavorò<br />
nelle università di Firenze, Pavia e, dal 1925,<br />
Milano. Qui ottenne, nel 1931, la cattedra di Geologia,<br />
e la direzione dell’Istituto di Geologia, che egli<br />
stesso aveva nel frattempo fondato.<br />
La sua vita è stata una perenne missione. Effettuò<br />
un lungo soggiorno nelle isole del Dodecaneso,<br />
di cui studiò la costituzione geologica. Poi si dedicò<br />
allo studio della geologia della provincia di Bergamo.<br />
Intanto intraprese un’indagine sui ghiacciai del<br />
gruppo Ortles-Cevedale. Qui, attraversando da solo<br />
il ghiacciaio Sobreta, sprofondò in un crepaccio e<br />
restò, con le gambe nel vuoto, sospeso ad un esile<br />
ponte di neve: riuscì a tirarsi fuori a fatica, salvandosi.<br />
Si ricordò quell’emozione tutta la vita: «Da allora<br />
mi sono sempre legato sui ghiacciai», confidò.<br />
Poi scoprì l’Africa, facendo ricerche per la Società<br />
Geografica Italiana nell’oasi di Giarabub e in<br />
Marmarica di carattere paleontologico e geomorfologico.<br />
Nel 1929 partecipò alla spedizione del Duca<br />
di Spoleto, Aimone di Savoia Aosta, al Karakorum.<br />
Scoprì un ghiacciaio inesplorato che chiamò Duca<br />
degli Abruzzi e una sella, che chiamò Conway, in<br />
onore dell’esploratore inglese. In questa occasione<br />
vide il K2 e tentò il primo approccio. Due anni dopo,<br />
incaricato da Guglielmo Marconi, presidente<br />
dell’Accademia d’Italia, attraversò il Sahara, guidando<br />
una carovana di centoquaranta cammelli.<br />
Un’impresa che lo entusiasmò.<br />
Batté palmo a palmo il deserto libico, su invito<br />
di Italo Balbo, che, tra l’altro, lo nominò Sovrintendente<br />
del Museo di Storia Naturale di Tripoli, e<br />
scoprì un notevole giacimento di sali di magnesio e<br />
potassio nell’oasi di Maradah, alcune falde acquifere<br />
che servirono all’irrigazione del Misuratino, e,<br />
nel 1938, le prime tracce di petrolio: individuò in<br />
17 pozzi la presenza di idrocarburi e predispose un<br />
programma di ricerche con l’AGIP, che prevedeva<br />
tra l’altro l’esplorazione della Sirtica, proprio dove<br />
poi le compagnie americane avrebbero trovato i<br />
maggiori giacimenti di petrolio. Lo scoppio della<br />
Seconda Guerra Mondiale bloccò le trivellazioni.<br />
Desio conservò gelosamente nella sua abitazione di<br />
Milano una bottiglia di quel prezioso liquido.<br />
Nel frattempo effettuò altre spedizioni in Iran,<br />
sulla catena di Zagros e sul Demavend (5771 m), e<br />
nel Fezzan, di cui illustrò per la prima volta la costituzione<br />
geologica. Prese parte al primo volo, organizzato<br />
da Balbo, sul massiccio del Tibesti. Andò<br />
a cercare l’oro in Etiopia e il platino in Africa<br />
Orientale. Nel 1940 s’impegnò in una monografia<br />
geologica sul settore nord-orientale del massiccio<br />
del Tibesti e in ricerche di platino in Albania.<br />
Durante la Seconda Guerra Mondiale completò<br />
lo studio geologico della provincia di Bergamo. Nel<br />
dopoguerra riprese le ricerche all’estero con una<br />
missione in Giordania. Poi andò in Pakistan, dove<br />
con abilità diplomatica riuscì a garantire all’Italia la<br />
possibilità di tentare la scalata del K2, 8611 metri.<br />
Desio aveva visto per la prima volta il K2 il 18<br />
maggio 1929 e ne era rimasto affascinato. Quella<br />
colossale piramide di bèole, scisti, graniti e ghiacci<br />
era davvero straordinaria. Gli indigeni lo chiamavano<br />
«Ciogorì», che significa «il grande monte». Tre<br />
spedizioni americane avevano fallito l’assalto alla<br />
vetta. Desio, che aveva condotto un viaggio di preparazione<br />
nel ’53, insieme a Riccardo Cassin, optò<br />
per una «spedizione pesante»: una catena di campi<br />
legati da corde fisse, trasporto dei carichi con teleferiche,<br />
uso di oltre cinquecento portatori, 4000<br />
metri di corde di nylon e impiego in alta quota di<br />
bombole di ossigeno. Prima organizzò due campi<br />
di addestramento a 3800 metri di quota sul Piccolo<br />
Cervino e sul Monte Rosa, poi scelse 11 alpinisti,<br />
lasciando a casa Cassin: tra di loro c’era il giovane<br />
Walter Bonatti, 24 anni, che aveva già scalato l’Aguille<br />
Noire de Peutérey e la Est del Grand Capucin.<br />
La spedizione, attraverso 9 campi, l’ultimo allestito<br />
a 8.060 metri di quota, il 31 luglio 1954, portò<br />
in vetta Achille Compagnoni e Lino Lacedelli.<br />
Bonatti, con l’hunza Mahdi, costretti ad un bivacco<br />
all’aperto ad ottomila metri di quota, ebbe un ruolo<br />
decisivo, portando le bombole d’ossigeno ai due<br />
salitori. Quell’esperienza altamente drammatica<br />
porterà polemiche non ancora sopite a 48 anni di<br />
distanza. Bonatti racconterà quell’esperienza al limite<br />
della vita, poi farà fuoco su Desio. Una polemica<br />
che, certo, riguarda la qualità della spedizione,<br />
ma non il suo successo.<br />
Desio, mentre Bonatti diventava il miglior scala-<br />
tore del mondo, non si fermò lì. Continuò le sue ricerche<br />
nel Karakorum e nell’Hindu Kush, poi in<br />
Afghanistan, Birmania, nelle Filippine. Nel 1962<br />
compì un viaggio in Antartide raggiungendo il Polo<br />
Sud. Si spinse anche in America Centrale Meridionale,<br />
giù fino alla Patagonia. Attraversò il Tibet.<br />
Ancora nel 1990, a 93 anni, Ardito Desio ha organizzato<br />
la costruzione di una grande piramide-laboratorio<br />
in vetro ed alluminio alla base dell’Everest,<br />
in una valletta laterale del ghiacciaio del Khumbu,<br />
a 5050 metri d’altezza. Qui ricercatori di tutto<br />
il mondo hanno potuto, e possono tuttora, partecipare<br />
in alta quota a studi programmati di geodesia,<br />
geofisica, biologia umana, medicina, zoologia, botanica<br />
ed etnografia.<br />
Desio ha lavorato anche negli ultimi anni, curando<br />
la quarta edizione del suo trattato di geologia<br />
applicata all’ingegneria. Ha sempre conservato l’abitudine<br />
di fare un po’ di moto: ginnastica al mattino<br />
e passeggiata giornaliera.<br />
Ha al suo attivo oltre quattrocento pubblicazioni.<br />
Ha scritto, tra l’altro, «La conquista del K2» e<br />
«Sulle vie della seta, dei ghiacci e dell’oro», che<br />
ha illustrato con suoi disegni. In gioventù, durante<br />
il soggiorno a Napoli, frequentò lo studio di Vincenzo<br />
Gemito, apprendendo i principi della scultura<br />
e della pittura.<br />
La sua è stata una vita avventurosa. In Etiopia,<br />
nel ’38, in uno scontro con gli «sciftà», fu centrato<br />
da una pallottola, ma fu salvato dal contenitore<br />
delle carte geografiche che portava con sé. In ogni<br />
caso egli teneva a precisare che «l’avventura era<br />
sempre legata alla ricerca scientifica, non era mai<br />
fine a se stessa». Ardito, fedele al suo nome, aspiravaaconquistarel’«Everest»più<br />
alto: la conoscenza.