nel 1296 <strong>il</strong> castello di Baragazza al Comune di Bologna (93). Vengono invece ricordati dal 1105 negli Annales Pisani di Bernardo Marangone (94). Il fatto che nessuna cronaca bolognese menzioni prima di tale anno questi personaggi suggerisce alcune conclusioni. I conti Alberti erano forti di un vasto patrimonio nella montagna che oggi definiamo bolognese. Fino al XIII secolo ineunte queste aree erano di pertinenza bolognese solo sul piano ecclesiastico; sul piano giurisdizionale si trattava di terre toscane, che perciò ricevettero attenzione dai cronisti solo quando <strong>il</strong> Comune di Bologna vi impose la sua autor<strong>it</strong>à e, a somiglianza della diocesi, si venne a cost<strong>it</strong>uire un contado bolognese. Ne consegue che i signori di queste terre non erano sent<strong>it</strong>i come appartenenti alla nob<strong>il</strong>tà bolognese, in quanto i fatti che li riguardano non trovano spazio nelle opere dei cronisti, che restringevano <strong>il</strong> campo d’interesse ai soli fatti c<strong>it</strong>tadini e relativi a personaggi c<strong>it</strong>tadini. Da queste considerazioni ne viene che, agli occhi dei cronisti, i nostri conti non furono legati da importanti vincoli a Bologna, né vi eserc<strong>it</strong>arono ruoli degni di attenzione. Tutto ciò non ha carattere probatorio, in quanto l’analisi delle fonti letterarie deve tenere conto del ristretto valore documentario che hanno. Ma già i canoni di scelta degli argomenti adoperati dai cronisti ci possono suggerire indizi riguardo alle cose taciute. Se tuttavia pare poco convincente l’origine bolognese, poche certezze si possono raccogliere sull’altro versante. Rimane aperto <strong>il</strong> problema delle origini sia della casata, sia del t<strong>it</strong>olo com<strong>it</strong>ale. Non si può escludere che questo provenga dall’esercizio di funzioni pubbliche svolte precedentemente in un altro distretto o che semplicemente sia stato adottato, e quindi riconosciuto, in forza di un potere di fatto acquis<strong>it</strong>o in determinate zone. Quanto alla derivazione da quel conte Ildebrando attestato ad Avane nel 1002 si pongono seri interrogativi. Il legame si regge più su argomentazioni onomastiche che su dati di fatto. Il breve secur<strong>it</strong>atis del 1162 potrebbe corroborare tale ipotesi, ma appunto corroborarla e non essere addotto a riprova della stessa. I figli del conte Ildebrando attestati nella medesima zona quasi quarant’anni dopo ci informano solo dell’esistenza di figli di un conte Ildebrando, ma non necessariamente di quel conte Ildebrando. Rimane tuttavia un’ipotesi da non rigettarsi, alla valid<strong>it</strong>à della quale concorrono diverse coincidenze, che alla luce di nuova documentazione potrebbero essere un<strong>it</strong>e da un medesimo f<strong>il</strong>o conduttore. Note (1) M. L. CECCARELLI LEMUT, I conti Alberti in Toscana fino all’inizio del XIII secolo; in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo: marchesi conti e visconti nel Regno Italico (secc. IX-XII), Pisa 3-4 dicembre 1992, in corso di stampa. Nonostante <strong>il</strong> contributo non sia stato ed<strong>it</strong>o, la studiosa toscana mi ha consent<strong>it</strong>o, con infin<strong>it</strong>a cortesia, di potermi avvalere del materiale manoscr<strong>it</strong>to. (2) T. LAZZARI, Comun<strong>it</strong>à rurali e potere signor<strong>il</strong>e nell’Appennino bolognese: <strong>il</strong> dominio dei conti Alberti, in Signori feudali e comun<strong>it</strong>à appenniniche nel medioevo, Atti delle giornate di studio (Capugnano 3 e 4 settembre 1994), Bologna 1995, pagg. 81-89. Questo contributo segue quello che la studiosa presentò a Pisa nel 1992 nell’amb<strong>it</strong>o del convegno di cui alla nota n.1, dove la Lazzari ebbe l’incarico di occuparsi della famiglia dei conti Alberti in Em<strong>il</strong>ia, mentre la Ceccarelli Lemut incentrò la relazione sugli interessi della casata in Toscana. Tuttavia, in considerazione del fatto che gli atti di quel convegno non hanno ancora visto la pubblicazione, l’unico contributo ed<strong>it</strong>o della Lazzari è quello del convegno di Capugnano del 1994. 211
(3) Cfr. sull’argomento M. ABATANTUONO, I Conti Alberti nel medioevo, in «Nueter», 44 (dicembre 1996), pagg. 195-200. (4) E. REPETTI, Appendice al Dizionario geografico fisico storico della Toscana, VI, Firenze 1846 p. 25 e ss.. Anche <strong>il</strong> Rauty accoglie l’ipotesi del Repetti, pur senza vagliarla cr<strong>it</strong>icamente; cfr. N. RAUTY, Storia di Pistoia, I (406-1105), Firenze 1988, p. 279. (5) T LAZZARI, “Com<strong>it</strong>ato” senza c<strong>it</strong>tà. Bologna e l’aristocrazia del terr<strong>it</strong>orio nei secoli IX-XI, Torino 1998, pp. 64, 81. T. LAZZARI, Comun<strong>it</strong>à rurali e potere signor<strong>il</strong>e, c<strong>it</strong>., p. 82, che ripropone le medesime argomentazioni. Cfr. sui conti di Panico, tra i vari lavori della studiosa dedicati a questa famiglia: P FOSCHI, La famiglia dei conti di Panico: una mancata signoria interregionale, in Signori feudali e comun<strong>it</strong>à appenniniche nel medioevo, Atti delle giornate di studio (Capugnano 3 e 4 settembre 1994), Bologna 1995, pp. 69-79. Cfr. anche T. LAZZARI, I conti alberti in Em<strong>il</strong>ia, in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel medioevo: marchesi conti e visconti nel regno <strong>it</strong>alico (secc. IX-XII), Atti del secondo convegno di Pisa: 3-4 dicembre 1993, Roma 1996, (Nuovi Studi Storici, 39), pp. 161-177. (6) A. I. PINI, Storia locale e “ricerca sul campo” signorie feudali e comun<strong>it</strong>à rurali fra Em<strong>il</strong>ia e Toscana nel medioevo, in «Nuèter» a. XXII, giugno 1996 (n. 43), p. 37. Anche Paola Foschi sembra accettare questa teoria: P. FOSCHI, La famiglia dei conti di Panico, c<strong>it</strong>. p. 69; EADEM, La famiglia dei conti di Panico, una signoria feudale fra Toscana ed Em<strong>il</strong>ia, in «Bullettino Storico Pistoiese», XCV (1993), pp. 3-22. (7) T. LAZZARI, “Com<strong>it</strong>ato” senza c<strong>it</strong>tà, c<strong>it</strong>. p. 30. Sull’argomento si vedano A. BENATI, L’espansione patrimoniale ravennate nel terr<strong>it</strong>orio bolognese nell’alto medioevo, in «Il Carrobbio», IX (1983), pp. 63-71; G. FASOLI, Il patrimonio della chiesa ravennate, in Storia di Ravenna, II,1: Dall’età bizantina all’età ottoniana, cur. A. CARILE, Venezia 1991, pp. 389-400. (8) C. MANARESI, I plac<strong>it</strong>i del Regnum Italiae, I, Roma 1955, n. 106, pp. 385-396. P. FOSCHI, Il terr<strong>it</strong>orio bolognese durante l’alto medioevo (secc. VI-X), in «Il Carrobbio», VI (1978), p. 234. (9) T. LAZZARI, “Com<strong>it</strong>ato” senza c<strong>it</strong>tà, c<strong>it</strong>. pp. 34-36. (10) L. SCHIAPPARELLI, I diplomi di Guido e Lamberto, Roma, 1906, XII, pp. 32-34. Cfr. anche P. FOSCHI, Il castello di Brento. Dai Bizantini al vescovo di Bologna, in «<strong>il</strong> Carrobbio» XVI (1990), pp. 165-177. (11) N. RAUTY, Storia di Pistoia, I, Dall’alto medioevo all’età precomunale 406-1105, Firenze 1988; IDEM, Il castello di Torri dalle origini all’età comunale, in Torri e <strong>il</strong> comprensorio delle Limentre nella storia; relazioni tenute a Torri nei mesi di agosto del 1992, 1993, 1994, Porretta (BO) 1995, pp. 5-7; A. BENATI, La zona montana tra Reno e Setta nell’alto medioevo, in «Il Carrobbio» III (1977) pp. 47-64. (12) Regesta Chartarum Italiae, Le carte del monastero di S. Maria di Montepiano (1000-1200), a cura di R. PIATTOLI, Roma 1942, p. LV; A. PALMIERI, Un probab<strong>il</strong>e confine dell’Esarcato di ravenna nell’Appennino bolognese, in «Atti e Memorie della regia Deputazione di Storia Patria per le province di Romagna», 4 a serie, III (1913), pp. 38-87. G. FASOLI, Tappe ed aspetti dell’avanzata longobarda su Bologna, in «L’Archiginnasio» XLIV-XLV (1949-1950), pp. 149-160. A. BENATI, I Longobardi nell’Alto Appennino sud-occidentale, in «Culta Bononia», I (1969), p. 31. (13) Regesta Chartarum Italiae, Le carte del monastero di S. Maria di Montepiano, c<strong>it</strong>., docc. n. 1,2,4,7,9,12. Sull’argomento vedi A. BENATI, La zona montana tra Reno e Setta nell’alto medioevo, c<strong>it</strong>., in part. p. 51. (14) T. LAZZARI, “Com<strong>it</strong>ato” senza c<strong>it</strong>tà, c<strong>it</strong>. pp. 40-41. Cfr. anche T. LAZZARI, Comun<strong>it</strong>à rurali e potere signor<strong>il</strong>e nell’Appennino bolognese, c<strong>it</strong>., p. 82. (15) T. LAZZARI, Ist<strong>it</strong>uzioni e gruppi dominanti a Bologna nell’XI sec, c<strong>it</strong>., p. 41. Il periodo cronologico relativo a tale affermazione va dalla fine del secolo X agli anni ‘60 dell’XI. In realtà la Lazzari non sembra alludere al ramo principale dei cosiddetti conti di Bologna, ma famiglie da esso presumib<strong>il</strong>mente derivate, come gli Alberti e i conti di Panico. Questa derivazione, più volte affermata, non è tuttavia ben chiar<strong>it</strong>a. (16) Neppure la Foschi sembra essere convinta dell’esistenza di un com<strong>it</strong>ato bolognese in età carolingia: P. FOSCHI, Il terr<strong>it</strong>orio bolognese durante l’alto medioevo, c<strong>it</strong>., p. 238. (17) T. LAZZARI, Comun<strong>it</strong>à rurali e potere signor<strong>il</strong>e nell’Appennino bolognese, c<strong>it</strong>. pp. 82-83. (18) T. LAZZARI, “Com<strong>it</strong>ato” senza c<strong>it</strong>tà, c<strong>it</strong>., p. 74; si veda anche l’albero genealogico della famiglia dei Conti a p. 79. (19) T. LAZZARI, “Com<strong>it</strong>ato” senza c<strong>it</strong>tà, c<strong>it</strong>., p. 54. (20) Anche O. CAPITANI, Storia dell’Italia medievale, Roma-Bari 1989, p. 170, non r<strong>it</strong>iene che essi influirono in maniera determinante nel gioco della pol<strong>it</strong>ica: “non certo di grande r<strong>il</strong>ievo essi appaiono per quello che se ne riesce a sapere”. (21) Ibidem, pp. 54-55, sulla scorta di V. FUMAGALLI, La geografia culturale delle terre em<strong>il</strong>iano-romagnole nell’Alto Medioevo, in Le sedi della cultura nell’Em<strong>il</strong>ia Romagna. L’Alto medioevo, M<strong>il</strong>ano 1983, pp. 97-111. (22) T. LAZZARI, “Com<strong>it</strong>ato” senza c<strong>it</strong>tà, c<strong>it</strong>., p. 64. Cfr. anche E. REPETTI, Appendice, c<strong>it</strong>. p. 25; T. LAZ- ZARI, Comun<strong>it</strong>à, c<strong>it</strong>., pp. 81-89, in part. p. 82. (23) Brento è stato spesso confuso con Castel de’ Br<strong>it</strong>ti, detto invece nel medioevo «Castrum Gissaro (dalle affiorazioni di gesso), quod dic<strong>it</strong>ur Br<strong>it</strong>u». Ricordato nella concessione di Thietelmo dell’891, nell’898 sembra rientrare nelle pertinenze del com<strong>it</strong>ato modenese. Nel 1055 Enrico III conferma ai canonici della Chiesa bolognese possessi infra terr<strong>it</strong>orium Br<strong>it</strong>ensis. P. FOSCHI, Il castello di Brento. Dai Bizantini al Vescovo di Bologna, c<strong>it</strong>., pp. 165-177. 212
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