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e un campo (182). Gli Alberti avrebbero venduto <strong>il</strong> possessum del palatium imperatoris:<br />

«non è improbab<strong>il</strong>e che l’imperatore abbia di fatto pagato un tanto al conte<br />

Alberto per avere in Prato, posizione strategica importante, un proprio palazzo per<br />

l’amministrazione in Toscana» (183). Quando gli Alberti si trovarono estromessi dal<br />

centro av<strong>it</strong>o? secondo <strong>il</strong> Caggese (184) verso <strong>il</strong> 1187, quando dismisero <strong>il</strong> t<strong>it</strong>olo di<br />

“conti di Prato” e presero quello di Semifonte. In realtà quest’ultimo dato, che <strong>il</strong><br />

Caggese desume dal Santini, non è esatto. Ancora nel 1192 <strong>il</strong> conte Alberto (IV),<br />

stringendo alleanza con Gerardo vescovo e podestà di Bologna, si definisce conte di<br />

Prato (185), con ciò evidenziando un legame con quelle terre che non poteva essere<br />

solamente affettivo... A parere del Carlesi questo avvenne tra <strong>il</strong> 1184 e <strong>il</strong> 1189, quando<br />

<strong>il</strong> conte Alberto (IV) avrebbe rinunciato alla «diretta giurisdizione pol<strong>it</strong>ica sul<br />

castello di Prato ... pur rimanendo in possesso delle singole terre pratesi...» (186).<br />

Raveggi argomenta che la svolta pare configurarsi nel momento in cui gli Alberti<br />

ottengono le conferme imperiali; conferme di una «preminenza già in quanche<br />

modo posta in discussione» (187). Indicative sarebbero le posizioni in campo avverso<br />

rispetto agli Alberti che i consoli pratesi presero nel 1154 e nel 1184. In questo<br />

periodo i conti avrebbero ceduto i dir<strong>it</strong>ti su Prato a Federico I o al suo successore<br />

Enrico VI. Ma essi almeno fino al 1192 portarono <strong>il</strong> t<strong>it</strong>olo di conti di Prato. Perché<br />

dunque avrebbero perseverato nel mantenersi legati ad un t<strong>it</strong>olo del quale essi stessi<br />

si sarebbero sbarazzati?<br />

In realtà quali dir<strong>it</strong>ti vantava l’impero su Prato? Tralasciamo l’assedio portato<br />

da Mat<strong>il</strong>de e dalle sue forze nel 1107. Mat<strong>il</strong>de si trovava in una s<strong>it</strong>uazione particolare,<br />

in quanto dal 1081, quando era stata dichiarata a Lucca rea di lesa maestà da<br />

Enrico IV, era in teoria decaduta da tutte le funzioni pubbliche che deteneva (188).<br />

Questa condanna tuttavia non le impedì di continuare ad eserc<strong>it</strong>arle, là dove riusciva<br />

a farlo. Nel periodo precedente non sono testimoniati rapporti dell’autor<strong>it</strong>à centrale<br />

né con Prato, né con i conti Alberti. Consideriamo invece i due diplomi del 1155 e<br />

del 1164.<br />

Nel maggio 1155, provenendo da Piacenza (189), e passando per Modena (190),<br />

Federico Barbarossa si dirige in Toscana. Trans<strong>it</strong>a anche nel bolognese, come sembra<br />

risultare almeno da tre diplomi redatti in «terr<strong>it</strong>orio Bononiensi». Il primo è<br />

diretto ad Alberto abate di Nonantola, in data 13 maggio (191). Due giorni dopo conferma<br />

i possessi e i dir<strong>it</strong>ti al monastero di San Benedetto nella diocesi di<br />

Augsburg (192). Sempre dello stesso giorno è un diploma in favore dei canonici di san<br />

Giorgio di Braida (Verona) (193).<br />

Passando per la Toscana, si dirige verso Roma, dove, poco dopo la metà di<br />

giugno viene emesso un diploma a favore del monastero di Santa Maria in Porto nel<br />

ravennate (194). In Toscana si ferma nel senese, sul fiume Orcia, a San Quirico, dove<br />

<strong>il</strong> due giugno <strong>il</strong> vescovo di Pistoia è beneficiario di una conferma dei suoi possessi.<br />

L’imperatore, prendendo sotto la sua protezione («tuicionem») Tratianus vescovo di<br />

Pistoia, elenca le sue pertinenze, a cominciare da una certa «terram vacuam, ubi<br />

mercatum est ipsius civ<strong>it</strong>atis» (195). Altri possessi sono nella montagna pistoiese e<br />

bolognese, tra i quali una corte a Lizzano in Belvedere, a Pavana, ma anche corti a<br />

Pisa, a Siena, nel Mugello.<br />

Nell’area pratese è ricordata la «curtem a Burgo Cornio», che, menzionata già<br />

nel diploma di Ottone del 998 (196), doveva essersi conservata nelle mani del presule<br />

pistoiese per almeno 150 anni. Quindi gli sono riconosciuti beni a San Giusto («cur-<br />

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