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dominica (a cui sembra far riferimento quel campo donicato ad Avane nel 1002 (78)),<br />

l’altra, detta massaricia, composta da mansi o sortes, in numero variab<strong>il</strong>e, era concessa<br />

a coltivatori dipendenti, liberi o servi, o a persone che a loro volta<br />

subconcedevano la terra (79). Il terr<strong>it</strong>orio di una curtis diffic<strong>il</strong>mente cost<strong>it</strong>uiva un<br />

blocco compatto. Più spesso si trattava di una serie di sorti che amministrativamente<br />

facevano capo ad un medesimo centro domocolt<strong>il</strong>e, ma potevano trovarsi sparse<br />

in un terr<strong>it</strong>orio anche molto vasto (80). Bisogna notare che, procedendo negli anni, la<br />

formula della curtis bipart<strong>it</strong>a tra centro domocolt<strong>il</strong>e lavorato direttamente dal proprietario,<br />

opposto ad una serie di sorti concesse a terzi, andò evolvendosi verso la<br />

completa concessione delle terre a terze persone (81). Il centro dominicale, quello<br />

chiamato curtis, divenne perlopiù <strong>il</strong> nucleo dove convergevano i tributi in natura o<br />

in denaro dei coloni. Il valore del termine, che morfologicamente si mantiene inalterato<br />

nei secoli, muta sul piano semantico. La curtis diviene più un centro di<br />

controllo economico e sovente pol<strong>it</strong>ico della zona in cui si ergeva. Questo processo,<br />

che in Italia sembra incominciare nel X secolo, non segue però un processo comune<br />

ad ogni zona.<br />

La curtis albertesca in Prato si trovava nei pressi dell’analoga struttura del<br />

vescovo di Pistoia, che aveva <strong>il</strong> suo fulcro nel Borgo di Cornio. Sappiamo che <strong>il</strong><br />

Borgo fu inglobato da Prato già nel secolo XII, fino alla scomparsa del toponimo, o<br />

meglio alla sua mutazione: borgo, uno dei tanti che componevano Prato.<br />

Il secondo elemento è dato dalla casa che Ildebrando possedeva nella sua corte,<br />

ma fuori dal castello, seppur nelle sue vicinanze. Giova ricordare che tutti questi<br />

elementi di cui si sta parlando si trovano quasi a vista d’occhio l’uno dall’altro. “La<br />

corte e <strong>il</strong> palazzo del conte Ildebrando erano dunque fuori del castello di Prato” (82),<br />

secondo quanto conclude Fantappiè, ma notiamo che <strong>il</strong> centro della corte era sì fuori<br />

dal nucleo fortificato e quindi non s’identificava con esso; non necessariamente però<br />

<strong>il</strong> palazzo di cui si parla (nel documento si trova in realtà casa...) era la dimora del<br />

conte. Riguardo alla curtis r<strong>il</strong>eviamo che da un canto non sembra l’unica di pertinenza<br />

albertesca, per altro verso non è la sola attestata in Prato. Nel 1124, per c<strong>it</strong>are<br />

un’esempio, <strong>il</strong> conte Alberto cedette a Gerardo proposto della pieve di Santo Stefano<br />

la propria corte di Fabio (83). Nel 1172, anche se gli anni di Ildebrandosono<br />

piuttosto lontani, venne redatto in Prato un atto «in curte Bolsi f<strong>il</strong>ii Cioffi», uno dei<br />

testimoni intervenuti. Sorge tuttavia <strong>il</strong> dubbio che colà col termine curtis si alludesse<br />

ad altre realtà, se non al significato di ‘cort<strong>il</strong>e’ o area nei pressi della dimora (84).<br />

Nel 1082 Rainerio proposto della chiesa di Santo Stefano allivella a Giovanni<br />

figlio di Martino una pezza di terra alle Lame. La pensione (spensio) o censo doveva<br />

essere consegnata dagli interessati «per omne anno in ebdomada de nativ<strong>it</strong>ate<br />

Domini ... ad curte et casa nostra de predicta canonica». Anche in questo caso curtis<br />

e casa si trovano accomunate, forse ad indicare <strong>il</strong> centro amministrativo dell’azienda<br />

(curtis) che si rendeva ‘tangib<strong>il</strong>mente’ visib<strong>il</strong>e attraverso un edificio (casa). Pure<br />

la chiesa di Pistoia, allivellando terre a Miccine e a P<strong>il</strong>li, specifica che «predicta<br />

omne decimatione de suprascripti terris et rebus, tan de grano, quam de m<strong>il</strong>io, sive<br />

de omnibus aliis laboribus» (corvée?) dovevano essere consegnate «aput curte et<br />

domui Sancti Zenoni, per omne anno in mense decenber» (85).<br />

Piuttosto tarda (1176) è un’attestazione che vede accomunati la corte e <strong>il</strong> castello<br />

di Prato (86). Si tratta di beni «in castro de Prato et in eius curte». Altra formula di<br />

sim<strong>il</strong>e tenore è registrata nel 1088: «Actum in loco et curte qui vocatur Prato» (87).<br />

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