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accantonata. Ciò che per noi oggi è logico non lo era necessariamente m<strong>il</strong>le anni or<br />

sono: la logica poteva seguire un andamento differente. Gli Alberti potevano detenere<br />

la prerogativa di disporre dei dir<strong>it</strong>ti delle acque, e pure di altri, di natura<br />

pubblica, ma non per questo, ipso facto, i loro erano poteri pubblici, di origine pubblica,<br />

o di riconoscimento pubblico.<br />

Nel 1128 «Berardus qui vocatur Nonteiuvat et Malabranca com<strong>it</strong>es germani f<strong>il</strong>ii<br />

bone memorie Alberti com<strong>it</strong>is, et Aldigarda com<strong>it</strong>issa f<strong>il</strong>ia Arduini, quae fu<strong>it</strong><br />

coniunx bone memorie Albertini com<strong>it</strong>is» investono Ildebrando proposto della<br />

pieve pratese «de iure gorae faciendae et aquae ducendae ad molendinum vel aliud<br />

aedificium quodcumque voluer<strong>it</strong> ... a v<strong>il</strong>la Sancte Luciae» dal fiume Bisenzio (215). Il<br />

giorno seguente un analogo breve promissionis interessa <strong>il</strong> conte Ottaviano e la<br />

moglie (216). Sempre si specifica <strong>il</strong> t<strong>it</strong>olo di queste persone; infatti ogni anno e in<br />

perpetuo <strong>il</strong> proposto Ildebrando e i suoi successori avrebbero dato «inter omnes<br />

com<strong>it</strong>es et com<strong>it</strong>issas de Prato» 24 sestari di grano.<br />

Non pare che finora questi due ultimi personaggi siano stati collocati con precisione<br />

nella genealogia della famiglia. Una lacuna nella carta del 1128 non ci<br />

permette di leggere <strong>il</strong> patronimico del conte Ottaviano, che pure apparteneva ai conti<br />

di Prato. Una carta del fondo del monastero di Passignano ci viene in aiuto. Nel 1116<br />

Ottaviano figlio del conte Alberto (II) si trova tra i testimoni di una vend<strong>it</strong>a effettuata<br />

a Pogna, nel contado fiorentino, da parte di una certa Sofia al monastero di San<br />

Michele di Passignano (217). Il conte Alberto (II) è variamente attestato in rapporto<br />

con <strong>il</strong> detto monastero, come si vedrà più avanti. Che si tratti del conte Alberto (II)<br />

e non del padre Alberto (I) si arguisce dal fatto che nel documento del 1116 si legge:<br />

«Ottaviano f<strong>il</strong>io Alberti comes». Questo conte Alberto era allora vivente e non poteva<br />

essere Alberto (I), già morto nel 1077. Il documento riguarda la cessione di<br />

dir<strong>it</strong>ti e non di beni («investierunt Ildebrandum presb<strong>it</strong>erum ... de iure...»).<br />

Una concezione rigida del potere pubblico non avrebbe certo permesso tale<br />

transazione. Nemmeno sarebbe stato concepib<strong>il</strong>e che un rappresentante regio o<br />

imperiale vendesse o alienasse fette delle pertinenze della sua autor<strong>it</strong>à. Ma sul piano<br />

generale lo scardinamento dell’ordinamento pubblico, attraverso esplic<strong>it</strong>e cessioni<br />

in perpetuo dell’esercizio del potere m<strong>il</strong><strong>it</strong>are e giudiziario, aveva da una parte ristretto<br />

<strong>il</strong> margine operativo del potere centrale, dall’altra riconosciuto anche le più<br />

insol<strong>it</strong>e s<strong>it</strong>uazioni di fatto. Così si poteva far commercio di torri, fortezze, porte e<br />

mura di c<strong>it</strong>tà, strade, potestà giudiziarie con le medesime forme usate per i beni<br />

immob<strong>il</strong>i: una concezione allodiale del potere, che, eserc<strong>it</strong>ato da chi di fatto possedeva<br />

mezzi coerc<strong>it</strong>ivi, veniva trasmesso agli eredi, anche diviso in quote (218). Se i<br />

dir<strong>it</strong>ti pubblici in questione erano detenuti dagli Alberti in virtù di una s<strong>it</strong>uazione di<br />

potere di fatto, ossia a t<strong>it</strong>olo, diremmo, allodiale, essi potevano benissimo essere<br />

alienati. I conti si trovavano nelle mani quei poteri perché avevano la forza di gestirli<br />

e non perché (o perlomeno non più) frutto di una concessione da parte di una<br />

pubblica autor<strong>it</strong>à.<br />

La famiglia com<strong>it</strong>ale degli Alberti ebbe probab<strong>il</strong>mente in Prato tra l’XI e la<br />

prima metà del XII secolo un ruolo di preminenza sugli altri soggetti ed ist<strong>it</strong>uzioni,<br />

fondata sulla proprietà terr<strong>it</strong>oriale e sui rapporti personali. Ciò sarebbe anche confermato<br />

da quanto stab<strong>il</strong><strong>it</strong>o in un breve del 1098. Ildebrando figlio di Soffredo di<br />

Aiolo doveva corrispondere un censo annuo di 48 denari lucchesi per certe terre e<br />

vigne che teneva in livello dalla Canonica di San Zenone di Pistoia. Nel caso che<br />

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