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Sasseta, nell’alta valle del Bisenzio, è ricordata in un documento del 1136<br />

24 libbre di moneta lucchese, delle quali 20 «per iudicium quondam Cic<strong>il</strong>ie com<strong>it</strong>isse»,<br />

impegnò «mansum unum pos<strong>it</strong>um in loco Sasseta, et reg<strong>it</strong>ur per Bonizum<br />

f<strong>il</strong>ium quondam Teuzi, Vezzi vocati, et est infra plebem Sancti Ypol<strong>it</strong>i et Cassiani,<br />

terr<strong>it</strong>orio Pisstoriensi» (169). Se entro cinque anni <strong>il</strong> conte o i suoi eredi avessero rest<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o<br />

<strong>il</strong> denaro prestato, la badia avrebbe annullato <strong>il</strong> valore del «pignus et cartula».<br />

Sovente non è possib<strong>il</strong>e seguire sim<strong>il</strong>i vicende, in quanto i casi connessi con la<br />

conservazione della documentazione hanno compromesso nel corso dei secoli l’integr<strong>it</strong>à<br />

dei fondi. In questo caso, invece, possiamo r<strong>il</strong>evare l’evoluzione della<br />

vicenda. Si era stab<strong>il</strong><strong>it</strong>o un termine di cinque anni. Ebbene, nel 1141 la contessa<br />

Orab<strong>il</strong>e, che nel frattempo era divenuta moglie del Nontigiova dopo la morte di<br />

Cec<strong>il</strong>ia, cedette al monastero di Montepiano, per <strong>il</strong> compenso di tre lire lucchesi, <strong>il</strong><br />

manso a Sasseta che <strong>il</strong> conte Tancredi, ora defunto, aveva impegnato (170). Verosim<strong>il</strong>mente<br />

i conti non furono in grado di saldare <strong>il</strong> deb<strong>it</strong>o delle 24 lire. scaduto <strong>il</strong><br />

termine dei cinque anni, <strong>il</strong> terreno entrò nel pieno possesso dell’ente religioso, che<br />

forse volle gratificare la contessa con l’elargizione di tre lire per maggiore sicurezza.<br />

Non possiamo meglio precisare <strong>il</strong> passaggio, in quanto <strong>il</strong> documento originale del<br />

1141 è smarr<strong>it</strong>o.<br />

Deb<strong>it</strong>i dei conti nei confronti del monastero sono attestati anche in un’altra carta<br />

del marzo 1136. Nontigiova doveva alla badia 22 lire, per le quali impegnò diversi<br />

beni di sua proprietà. Dieci di queste lire erano state concesse «pro anima Cec<strong>il</strong>ie<br />

com<strong>it</strong>isse... quando sepulta fu<strong>it</strong>» (171) e per queste impegnò una sorte a Lapig<strong>it</strong>o;<br />

un’altra sorte coprì <strong>il</strong> valore di otto lire; le rimanenti quattro vennero coperte da<br />

«unum molinum, qui vocatur da Curte, et una petia de terra que est desuper predicto<br />

molino». Il conte si riservava «qualicumque tempore» <strong>il</strong> dir<strong>it</strong>to di riscattare tali<br />

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