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stato mai.<br />

E se per una notte solo egli fu f<strong>it</strong>to nel gelo, più tardi vi doveva figger per sempre<br />

gli inosp<strong>it</strong>ali baroni. Infatti vent’anni dopo, memore dell’avventura di Cerbaia,<br />

cantava:<br />

Se vuoi saper chi son codesti due,<br />

La valle onde <strong>il</strong> Bisenzio si dichina<br />

Del padre loro Alberto e di lor fue.<br />

D’un corpo usciro; e tutta la Caina<br />

Potrai cercare e non troverai ombra<br />

Degna più d’esser f<strong>it</strong>ta in gelatina.<br />

I Conti Alberti comandarono con verga di ferro i loro vassalli. Le cronache<br />

toscane e bolognesi parlano delle loro gesta, delle loro infamie, dei loro del<strong>it</strong>ti.<br />

L’ultimo Conte di Cerbaia fu Nicolò d’Aghinolfo, infelice nipote di più infelice avo<br />

- <strong>il</strong> Conte Orso ucciso a tradimento dal proprio cugino. Nel 1361 la Repubblica<br />

fiorentina sborsò a quell’ultimo Conte seim<strong>il</strong>aduecento fiorini d’oro, s’impossessò<br />

di Cerbaia per poter tenere a freno la tracotanza dei figli di Messer Piero dè Bardi,<br />

feudatari di Vernio. D’allora in poi, Cerbaia, con Usella, Montaguto e Gricigliana,<br />

come r<strong>il</strong>evasi dagli Statuti di Firenze del 1415, formò una nuova comun<strong>it</strong>à della<br />

Repubblica. A poco a poco Cerbaia andò decadendo, ed <strong>il</strong> cattano della Repubblica<br />

abbandonò quel luogo inaccesso, consegnandolo alle intemperie del cielo.<br />

Ora l’edera, l’ortica e i dumi sono gli arazzi - degni arazzi - della terrib<strong>il</strong>e<br />

rocca. Fra le macerie di quel vecchio castello può specchiarsi l’umana superbia.<br />

Lassù non mandano più suoni le ribeche ed i liuti dei menestrelli; più non entusiasma<br />

la sirventa e la cobbola dei trovieri; non s’odono più le ridevoli arguzie dei<br />

tollerati giullari. Oggi lassù sib<strong>il</strong>a <strong>il</strong> vento e la serpe, che muove le sue spire tranqu<strong>il</strong>la<br />

fra i ruderi abbandonati. Dove la graziosa figlia del feroce barone soleva<br />

guardare la sottoposta vallea per ammirare le bizzarrie della natura, <strong>il</strong> verde<br />

ramarro placidamente riposa alla sferza del sole. Lassù tutto è mutato, e forse fra<br />

un secolo non rimarrà più nulla di tanta grandezza. Anche <strong>il</strong> cassero dovrà subire<br />

la sorte delle altre muraglie. Oh cadi pure, vecchia torre! <strong>il</strong> tuo destino non spremerà<br />

dall’occhio dell’uomo nemmeno una lacrima. Il rovinio dei tuoi macigni farà<br />

soltanto paura ai sottoposti v<strong>il</strong>lani. Tu non sei monumento di gloria <strong>it</strong>aliana; sei<br />

invece un ricordo di tirannico giogo. Tu non devi essere compianta. Oh cadi pure,<br />

vecchia torre!<br />

Dinanzi al castello, dal lato di ponente, un pò più in basso, esistono gli avanzi<br />

di una chiesetta, e pochi passi più sotto alcuni vogliono riconoscere in un piccolo<br />

spianato erboso <strong>il</strong> cim<strong>it</strong>ero; sur un lato di questo piazzaletto scorgesi tra i pruni una<br />

base di pietra, dalla quale doveva sorgere la croce.<br />

Forse in quelle mura fu ucciso a tradimento da Napoleone di Cerbaia <strong>il</strong> fratello<br />

Conte Alessandro, figli entrambi del C. Alberto degli Alberti, <strong>il</strong> quale aveva<br />

diseredato <strong>il</strong> C. Napoleone lasciandogli solamente la leg<strong>it</strong>tima. Per questa ragione<br />

avvenne <strong>il</strong> fratricidio di cui parla Dante nel 32° dell’Inferno, ma non si sa l’anno.<br />

Queste discordie fraterne furon seme d’altri del<strong>it</strong>ti, poiché <strong>il</strong> Conte Alberto di Celle,<br />

figlio dell’ucciso Alessandro, tolse di v<strong>it</strong>a <strong>il</strong> cugino Conte Orso figlio di Napoleone,<br />

rammentato da Dante (Purg. C. VI, 19), nel castello di Vernio <strong>il</strong> dì delle nozze 15<br />

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