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non si fosse attenuto agli accordi, doveva versare, come pena, venti soldi lucchesi<br />

«in iam dicta canonica... sive Alberto com<strong>it</strong>i», se l’avessero concesso <strong>il</strong> proposto<br />

Ugo o anche gli altri canonici.<br />

Non si specifica a qual t<strong>it</strong>olo <strong>il</strong> conte poteva incamerare la pena, né, credo,<br />

quest’attestazione sia sufficiente per riconoscere nei conti Alberti i rappresentanti<br />

dell’autor<strong>it</strong>à pubblica, ma emerge la volontà di individuare un nucleo di potere saldo<br />

e determinato, forse anche in grado di garantire la legal<strong>it</strong>à con mezzi coerc<strong>it</strong>ivi, in<br />

virtù di una posizione egemonica nella zona (219). Questo ruolo di eminenza è confermato<br />

indirettamente anche dai diplomi imperiali del 1155 e del 1164. È vero che<br />

Federico Barbarossa avrebbe potuto riconoscere ambizioni più che stati di fatto. Ma<br />

nel momento in cui egli prendeva sotto la sua protezione Alberto conte di Prato,<br />

ist<strong>it</strong>uiva un rapporto con una persona che poteva garantirgli appoggio in virtù di<br />

poteri patrimoniali e di costrizione. Si può ribattere che alla metà del XII secolo gli<br />

Alberti stavano per essere soppiantati dalle ist<strong>it</strong>uzioni comunali; ma che senso<br />

avrebbe avuto, da parte imperiale, intavolare rapporti con persone ormai completamente<br />

fuori gioco? Nel diploma si parla di districtus: capac<strong>it</strong>à di costrizione che i<br />

conti detenevano o a cui ambivano. Dall’esame delle carte sembra emergere un<br />

potere in loco, seppure in maniera non esclusiva e total<strong>it</strong>aria. In ogni caso essi dovevano<br />

possedere i mezzi (in termini di patrimonio e di persone) per poter conseguire<br />

un risultato pos<strong>it</strong>ivo, in un momento, poi, alla metà del XII secolo, in cui le ist<strong>it</strong>uzioni<br />

comunali sembrano già consolidate a Prato.<br />

Note<br />

(1) Per un primo inqua dramento archeologico della zona presa in esame si vedano: Prospettive dell’archeologia<br />

pratese. mostra di reperti dal paleol<strong>it</strong>ico al medioevo; Prato - chiostro di S. Domenico settembre-ottobre 1974,<br />

Prato 1974; L. SARTI, Insediamenti dell’età del bronzo nel terr<strong>it</strong>orio di Prato (Firenze), in «Atti della società<br />

toscana di scienze naturali». Memorie, LXXXVII (1980), pp. 423-442; M. S. LATTANZI LANDI, Il terr<strong>it</strong>orio<br />

pratese nell’antich<strong>it</strong>à. Ricerche archeologiche-topografiche sulla valle del Bisenzio. Quaderni di storia e arte, n.<br />

1, Museo Civico, prato 1988; Il materiale archeologico nel palazzo pretorio, Firenze 1978: quest’ultimo lavoro<br />

interessa esclusivamente <strong>il</strong> periodo medioevale. Cfr. anche R. FANTAPPIÈ, Nasc<strong>it</strong>a e sv<strong>il</strong>uppo di Prato, in Prato.<br />

Storia di una c<strong>it</strong>tà, I*, Ascesa e declino del centro medievale (dal M<strong>il</strong>le al 1494), Firenze 1991, pp. 79-82.<br />

(2) A. BENATI, I longobardi nell’Alto Appennino bolognese sud-occidentale, in «Culta Bononia», I (1969), pp.<br />

13-15; Il Davidsohn (Storia di Firenze, I, c<strong>it</strong>., p. 88) sostiene che essi occuparono la Tuscia, «che nel 570 si<br />

abbandonò loro inerme». Desume questa data da MGH, Scriptores rerum langobardicarum, AGNELLO, Liber<br />

Pontificalis ecclesiae Ravennatis, c. 93 p. 337. Paolo Diacono sostiene che l’occupazione della Tuscia avrebbe<br />

preceduto la fondazione dei ducati di Spoleto e Benevento, avvenuta nel 571. P. DIACONO, Historia langobardorum,<br />

III, 26. Cfr. WEISE, Italien und die langobarden-herrscher von 568 bis 628, Halle 1887, pp. 18 e 71.<br />

(3) R. FANTAPPIÈ, Nasc<strong>it</strong>a d’una terra di nome Prato (secolo VI-XII), in Storia di Prato, I, fino al secolo XIV,<br />

C<strong>it</strong>tà di Castello 1990, pp. 98-99. Analogamente: IDEM, Nasc<strong>it</strong>a e sv<strong>il</strong>uppo di Prato, c<strong>it</strong>., p. 83.<br />

(4) N. RAUTY, Possedimenti fondiari del vescovo di Pistoia in terr<strong>it</strong>orio bolognese. Vicende della iudicaria<br />

Pistoriensis nell’alto Medioevo, in BSP, LXXXV (1983), p. 19. Cfr. anche N. RAUTY, Storia di Pistoia, I,<br />

Dall’alto medioevo all’età precomunale, Firenze 1988, p. 47.<br />

(5) R. PIATTOLI, Il più antico ricordo di Borgo al Cornio, c<strong>it</strong>., p. 46.<br />

(6) F. CASTAGNOLI, La centuriazione di Florentia, in «L’Universo» XXVIII (1948), pp. 361-368. Anche Rauty<br />

sembra propendere per questa tesi: N. RAUTY, Storia di Pistoia, I, c<strong>it</strong>., p. 62.<br />

(7) A. BENATI, La zona montana tra Reno e Setta nell’alto medioevo, in «Il Carrobbio» III (1977) pp. 47-64.<br />

IDEM, Possessi e dir<strong>it</strong>ti feudali del vescovo di Bologna nella montagna, in Signori feudali e comun<strong>it</strong>à appenniniche<br />

nel medioevo, c<strong>it</strong>. p. 33 e ss. In realtà un quadro <strong>completo</strong> ed esaustivo della giurisdizione del vescovo<br />

bolognese si evince solamente dal XIV secolo: P. SELLA, La diocesi di Bologna nel 1300, in «Atti e memorie<br />

della deputaz. di storia patria per le provv. di Romagna», s. IV, XVIII (1927-28) pp. 95-155, ristampato in Rationes<br />

decimarum Italiae, Aem<strong>il</strong>ia, C<strong>it</strong>tà del Vaticano 1933 (Studi e testi, 60), pp. 225-270. T. CASINI, Della<br />

cost<strong>it</strong>uzione ecclesiastica del Bolognese, I. L’elenco nonantolano del 1366, in «Atti e mem.», c<strong>it</strong>., s. IV,VI (1915-<br />

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