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del<strong>la</strong> realtà quale è, sostiene: «(...) Che mogli, figli, sorelle, amanti assumano i ruoli dei<br />
boss non è una novità. È una forma già nota. Escluderei proprio che le donne non<br />
sappiano quello che fanno gli uomini di mafia. Le donne sono sempre state all’interno<br />
del mondo mafioso (...) E par<strong>la</strong>vano con i mariti, ascoltavano, sapevano. Adesso sono<br />
solo costrette a venire allo scoperto. Non c’è mutamento le donne sono proprio come gli<br />
uomini 253 ».<br />
A conferma delle parole di Camilleri ricordiamo il caso di Maria Grazia Genova, detta<br />
“Maragè”, nata a Delia nel lontano 1909 e morta nel 1990, dopo aver collezionato una<br />
cinquantina di denunzie e 22 arresti. Sorel<strong>la</strong> di Diego, uomo di rispetto del paese, viene<br />
arrestata per furto già a 18 anni. Nel 1949 riesce a evadere dal carcere, dove doveva<br />
scontare una pena in seguito al processo per <strong>la</strong> faida tra le famiglie Genova, Corbo e<br />
Ferrante, in cui persero <strong>la</strong> vita 40 persone, fra cui suo fratello e 2 nipoti ancora ragazzi.<br />
Mandata al confino agli inizi degli anni 70, nel ’79 fu proposta di nuovo per il<br />
soggiorno obbligato perché coinvolta in varie vicende delittuose.<br />
Già nel processo al<strong>la</strong> mafia delle Madonie del 1927-1928 troviamo, comunque, donne<br />
accusate di attività mafiose. Tra i 53 imputati, mafiosi e loro fiancheggiatori, c’erano 7<br />
donne, con imputazioni come l’assistenza ai <strong>la</strong>titanti, <strong>la</strong> riscossione dei pizzi e <strong>la</strong><br />
custodia del denaro. Tra le imputate c’erano 4 appartenenti al<strong>la</strong> famiglia mafiosa degli<br />
Andaloro e Giuseppa Salvo, definita dai giornali “<strong>la</strong> regina di Gangi” per il suo ruolo di<br />
spicco, che nel corso del processo mantenne un perfetto atteggiamento omertoso.<br />
Dal 2000 a oggi, da quanto emerge da fonti investigative e giudiziarie, pare di poter<br />
affermare che <strong>la</strong> preoccupazione di sottolineare l’anomalia del<strong>la</strong> presenza femminile sia<br />
venuta meno. Questo dato è sottolineato inoltre dal ricorso sempre più ripetuto del<br />
regime detentivo stabilito dall’art. 41 bis o.p.<br />
È importante, tuttavia, come suggerisce <strong>la</strong> Ingrascì 254 , evitare di sostituire un vecchio<br />
stereotipo con uno nuovo che individua dappertutto le nuove “ boss in gonnel<strong>la</strong>”. Uscire<br />
dall’attribuzione di un’universale impunità, non significa assumere una prospettiva di<br />
criminalizzazione generalizzata ma analizzare <strong>la</strong> realtà senza preconcetti prendendo atto<br />
del<strong>la</strong> sua multiformità, attraverso lo studio delle singole storie.<br />
Ci si trova di fronte, infatti, a situazioni notevolmente diverse in quanto le modalità di<br />
partecipazione femminile alle attività criminali variano secondo <strong>la</strong> provenienza<br />
familiare, le condizioni ambientali e l’indole personale: ci sono donne del tutto esterne o<br />
utilizzate per lo più ai livelli più bassi dell’organizzazione - mogli di piccoli mafiosi,<br />
253 Ibidem, p. 118.<br />
254 Ingrascì O, Donne d’onore.<br />
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