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un’organizzazione, quale è Cosa Nostra, che trae forza dal<strong>la</strong> riproduzione dei propri<br />
modelli culturali.<br />
La madre, generatrice di vita, ha sui figli un potere di vita e di morte che non è soltanto<br />
fisico ma soprattutto culturale e psicologico. Diventa, difatti, <strong>la</strong> garante, come afferma<br />
Lo Verso 65 , del<strong>la</strong> continuità e dell’identità psichica.<br />
In partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> rigida distinzione tra identità maschile e femminile insieme ai ruoli ad<br />
essi connessi, che caratterizza l’universo mafioso, viene assicurata dal<strong>la</strong> differente<br />
educazione che <strong>la</strong> donna-madre riserva ai figli e alle figlie. Quest’ultime impareranno a<br />
partecipare al potere solo nelle vesti di matri di famigghia e al prezzo del<strong>la</strong> negazione di<br />
sé come donne, mentre i figli imparano a diventare i futuri uomini d’onore, dediti al<strong>la</strong><br />
violenza e al<strong>la</strong> morte, attribuendo splendore, potenza e meraviglia al<strong>la</strong> virilità.<br />
Nel rapporto madri-figlie viene trasmesso un modello di subordinazione femminile<br />
all’autorità maschile necessario perchè le figlie internalizzino quel<strong>la</strong> che <strong>la</strong> Siebert 66<br />
chiama <strong>la</strong> “Legge del Padre”, accettando come valido un destino control<strong>la</strong>to dagli<br />
uomini del<strong>la</strong> propria famiglia.<br />
Di Maria e Lavanco 67 , perciò, par<strong>la</strong>no del<strong>la</strong> capacità di condizionamento dell’“ombra<br />
del<strong>la</strong> madre”, intesa come intenzionamento familiare, che replicando i ruoli imposti, ne<br />
segna il destino, saturando qualsiasi spazio di creatività e di crescita autentica.<br />
Soprattutto il mettere al mondo figli maschi, viene riconosciuto come un merito al<strong>la</strong><br />
donna, perché in questo modo garantisce <strong>la</strong> continuità dell’organizzazione mafiosa che<br />
è rigidamente maschile. La madre, come spiega <strong>la</strong> Siebert 68 , cresce il figlio maschio<br />
nell’illusione del<strong>la</strong> sua supremazia, e ciò significa da una parte “imprigionarlo entro i<br />
propri <strong>la</strong>cci” facendo da garante a questa superiorità, allo splendore del principio<br />
maschile, al quale illusoriamente partecipa a titolo di madre, concedendo al figlio <strong>la</strong><br />
“licenza” di comportarsi da maschio nel sociale; dall’altra, valorizzando il materno,<br />
confermargli il disvalore verso il femminile, il quale sarà al<strong>la</strong> base del suo futuro<br />
disprezzo verso le donne.<br />
Questo legame, che si traduce in un possesso esclusivo, dà <strong>la</strong> possibilità al<strong>la</strong> madre di<br />
model<strong>la</strong>re il figlio maschio, di legarlo a sè, di renderlo dipendente, di farlo “suo”,<br />
influenzando le sue scelte.<br />
Tuttavia, il prezzo da pagare per l’“astuta” complicità tra donne nell’esercizio di un<br />
potere familiare solo in quanto madri, e soprattutto con gli uomini nell’assecondare <strong>la</strong><br />
65 Cit. in Fiore I., Le radici inconsce dello psichismo mafioso.<br />
66 Cit. in Ingrascì O., Donne d’onore, p. 16.<br />
67 Di Maria F., Lavanco G., in Psicologia Contemporanea, 1999.<br />
68 Siebert R., Le donne, <strong>la</strong> mafia.<br />
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