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La sua lunga odissea giudiziaria si concluse nel 1979 dopo quasi 20 anni di dibattimenti,<br />

appelli e giudizi di cassazione in varie parti d’Italia, con tutti e 20 gli accusati prosciolti<br />

per insufficienza di prove: un verdetto che certo non incoraggiò le altre donne di mafia<br />

a farsi avanti e testimoniare contro Cosa Nostra.<br />

E così per Serafina il suo desiderio di rivalsa non venne soddisfatto perché «<strong>la</strong> giustizia<br />

(..) non si è rilevata una valida alternativa al<strong>la</strong> vendetta privata 388 ». Iso<strong>la</strong>ta da tutti,<br />

sempre scortata dal<strong>la</strong> polizia quando usciva, rimarrà ‘murata’ nel suo appartamento a<br />

Palermo fino al<strong>la</strong> morte, avvenuta nel 2004, passando le giornate in preghiere davanti<br />

all’altare che si è fatta costruire, dedicato ai suoi morti ammazzati, dormendo con una<br />

pisto<strong>la</strong> sotto il cuscino. Ormai non può che fare solo appello al<strong>la</strong> giustizia divina perché<br />

a quel<strong>la</strong> terrena non crede più.<br />

Contrariamente alle donne che sono uscite dal guscio del privato per dissociarsi dai<br />

mariti, fratelli, figli dei col<strong>la</strong>boratori - seguendo <strong>la</strong> strategia voluta dall’organizzazione<br />

per testimoniare <strong>la</strong> sua forza - Serafina, invece, si <strong>la</strong>scia guidare solo dall’emozione del<br />

lutto, dal dolore.<br />

La sua testimonianza, benché motivata dal<strong>la</strong> vendetta, ha, però, generato un valore<br />

nobile nel<strong>la</strong> società esterna perché ha abbattuto il muro dell’omertà e lo ha fatto<br />

pioneristicamente precedendo di circa un decennio il primo ‘pentito’, Leonardo Vitale,<br />

il quale inizia a col<strong>la</strong>borare autoaccusandosi nel 1973. Una donna estremamente<br />

all’avanguardia, quindi, <strong>la</strong> prima che abbia utilizzato tv e telegiornali per testimoniare,<br />

dimostrando un grande coraggio nel fornire importanti e delicate informazioni a viso<br />

scoperto, a differenza dei tanti “confidenti” che hanno popo<strong>la</strong>to <strong>la</strong> storia del<strong>la</strong> mafia.<br />

La moglie di Comaianni, <strong>la</strong> giustizia insufficiente<br />

Anche per altre donne come per <strong>la</strong> Battaglia, tuttavia, <strong>la</strong> giustizia è stata ‘sorda’ come<br />

per <strong>la</strong> moglie del campiere Comaianni e Agata Fregale. La prima, in seguito<br />

all’uccisione del marito per mano di Leggio, seppur dopo una lunga incertezza, trova il<br />

coraggio di accusarlo ma incontra un Pubblico Ministero per il quale non bisogna «dare<br />

ascolto a una donnetta che prima diceva una cosa e poi un’altra 389 ». I giudici non<br />

capirono <strong>la</strong> paura che <strong>la</strong> caratterizzava e, nonostante i suoi tre bambini confermassero le<br />

sue parole, <strong>la</strong> Corte d’Appello assolse Leggio.<br />

Agata Fregale, invece, che vive in uno dei quartieri più degradati di Palermo, denunciò<br />

<strong>la</strong> scomparsa di due fratelli e di un nipote sedicenne, riconoscendo nel noto killer Gino<br />

Abate, detto ‘il Mitra’, l’autore degli omicidi. Ma anche questa volta i giudici non<br />

388 Siebert R., op. cit., p. 294.<br />

389 Siebert R., Le donne, <strong>la</strong> mafia, p. 297.<br />

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