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Maria Concetta si rifà, abilmente, agli stessi stereotipi formu<strong>la</strong>ti nel<strong>la</strong> sentenza del 1983,<br />

nel<strong>la</strong> misura in cui si definisce non abbastanza emancipata per poter scegliere<br />

indipendentemente dal proprio marito. L’efficacia di questa strategia dell’insistere sul<strong>la</strong><br />

“mancata autonomia muliebre 191 ”, ha portato al<strong>la</strong> sua scarcerazione tre settimane dopo<br />

l’arresto e all’assoluzione nel 1997.<br />

Ciò che <strong>la</strong> donna fa, dunque, va imputato al marito e non a lei dato che è priva di quel<strong>la</strong><br />

autonomia psicologico-morale che costituisce il normale presupposto del<strong>la</strong><br />

responsabilità penale individuale. Questo perché, secondo <strong>la</strong> teoria organicistica del<strong>la</strong><br />

donna all’interno di Cosa Nostra proposta da Fiandaca 192 , <strong>la</strong> donna-individuo scompare<br />

diventando organo del<strong>la</strong> famiglia, anzi, trasformandosi in famiglia e annul<strong>la</strong>ndosi in<br />

essa.<br />

Le sentenze non solo rispecchiano <strong>la</strong> prospettiva dei mafiosi ma soddisfano in <strong>la</strong>rga<br />

misura le aspettative sociali più generali, rispettando l’importanza - tradottasi in<br />

venerazione - che tradizionalmente <strong>la</strong> società ha attribuito al ruolo di madre, a cui poco<br />

si addice un comportamento criminale specie di tipo mafioso.<br />

A quest’atteggiamento sottende, implicitamente, il rifiuto di utilizzare le norme penali,<br />

anche, quale strumento di pedagogia sociale 193 nei confronti delle donne dell’ambiente<br />

mafioso, e dare a esse una funzione promozionale o propulsiva in una nuova morale<br />

collettiva.<br />

Ciò che viene occultato è <strong>la</strong> centralità del<strong>la</strong> donna che è perciò sommersa da<br />

un’immagine che <strong>la</strong> vede meramente vittima o al massimo complice <strong>la</strong> cui complicità<br />

criminale viene, però, giustificata se “santificata all’ideologia del<strong>la</strong> famiglia<br />

patriarcale 194 ”, considerazioni equivalenti a quelle dell’“uomo del<strong>la</strong> strada”, come dice<br />

<strong>la</strong> Dino riprendendo Schutz 195 . La Siebert 196 afferma che il ruolo del<strong>la</strong> donna oscil<strong>la</strong> tra<br />

un’estraneità che l’Onorata Società ha decretato con il divieto di affiliazione formale e<br />

una complicità che, però, non vuole responsabilità.<br />

L’immagine di inferiorità sociale vicina al sacro, in quanto “portatrici di vita”, di cui<br />

par<strong>la</strong> <strong>la</strong> Graziosi 197 , difesa strenuamente e diffusa strumentalmente dal dominio mafioso,<br />

mal si concilia con quel<strong>la</strong> di consapevole criminale, portando a negare alle donne<br />

191 Ibidem<br />

192 Fiandaca G., in Segno, n. 183, marzo 1997<br />

193 Ibidem p. 26.<br />

194 Siebert R., Le donne, <strong>la</strong> mafia.<br />

195 Dino A., Donne e mafie. Il ruolo delle donne nelle organizzazioni criminali.<br />

196Siebert R., op. cit.<br />

197 Graziosi M., Donne e mafie. Il ruolo delle donne nelle organizzazioni criminali.<br />

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