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l’Associazione Rita Atria - con <strong>la</strong> condanna di Ger<strong>la</strong>ndo Alberti jr e Giovanni Sutera<br />

all’ergastolo per l’esecuzione materiale dell’assassinio, Franca Federico, tito<strong>la</strong>re del<strong>la</strong><br />

<strong>la</strong>vanderia, e Agata Cannistrà, collega di Graziel<strong>la</strong>, per favoreggiamento. Purtroppo è<br />

solo una giustizia parziale perché i mandanti dell’omicidio devono essere ancora<br />

scoperti così come le complicità istituzionali che coprirono per anni quei due <strong>la</strong>titanti.<br />

Viene da chiedersi: dov’è l’onore di cui tanto par<strong>la</strong>no questi uomini che pensano di<br />

essere Dio disponendo vigliaccamente del<strong>la</strong> vita di poveri indifesi?<br />

Tra il 1990 e il 1997, 19 sono state in Sicilia le donne uccise con modalità<br />

inequivocabilmente mafiose.<br />

Ma a parte gli omicidi, <strong>la</strong> mafia si serve anche dello stupro come arma per umiliare i<br />

vinti. Emblematico è, in tal senso, il caso che vede coinvolto nel 1973 il boss di<br />

Corleone Luciano Liggio il quale decise di sbarazzarsi di un suo luogotenente troppo<br />

ambizioso, Damiano Caruso. Per completare il <strong>la</strong>voro, a Liggio non bastò, purtroppo,<br />

uccidere anche <strong>la</strong> compagna di Caruso, ma ne stuprò e assassinò <strong>la</strong> figlia adolescente.<br />

Ma all’interno di questo mondo non esiste solo <strong>la</strong> violenza evidente attraverso gli stupri<br />

e gli omicidi ma anche una violenza più nascosta, agita tra le silenziose mura<br />

domestiche. Madri, sorelle, mogli vengono umiliate, picchiate, maltrattate, terrorizzate<br />

costantemente da uomini che in veste di padre, fratello o marito, sono legittimati a<br />

esercitare un potere perverso e totale su di loro. Le storie che si presentano nei prossimi<br />

capitoli testimoniano questa triste realtà.<br />

Anche se <strong>la</strong> mafia non si fosse macchiata di questi crimini ignobili verso donne e<br />

bambini e avesse continuato ad uccidere solo uomini, ciò non sarebbe indicativo di una<br />

minore efferatezza. La legge dell’organizzazione è ed è sempre stata, come sottolinea<br />

Anna Puglisi 142 , quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> sopraffazione, fino all’omicidio come mezzo per imporsi.<br />

«La mafia buona non è mai esistita, se non nel<strong>la</strong> fantasia di Buscetta 143 ».<br />

Il giudice Falcone 144 sostiene, tuttavia, che <strong>la</strong> crudeltà, che certamente esiste in Cosa<br />

Nostra, non è mai fine a se stessa. Chi si macchia di atrocità gratuite, infatti, suscita<br />

ribrezzo nell’organizzazione: come Pino Greco, detto Scarpuzzedda, che - a quanto<br />

raccontano Buscetta e altri - taglia il braccio destro, quello con cui si spara, del giovane<br />

Inzerillo, sedici anni, per avere espresso l’intenzione di vendicare il padre, e lo finisce<br />

poi con un colpo di rivoltel<strong>la</strong> al<strong>la</strong> tempia.<br />

142 Puglisi A., Donne, mafia e antimafia.<br />

143 Ibidem p. 58.<br />

144 Falcone G., Padovani M., Cose di Cosa Nostra.<br />

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