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come diverse siano le occasioni di deviare dal<strong>la</strong> norma come anche <strong>la</strong> reazione del<strong>la</strong><br />
società contro i comportamenti non conformi femminili.<br />
Ricordando Pol<strong>la</strong>ck, per questi teorici, le forme peculiari di devianza femminile sono<br />
meno visibili perché rinchiuse entro le mura domestiche se non addirittura indotte<br />
proprio dal<strong>la</strong> famiglia e dal<strong>la</strong> stessa vita domestica. Al<strong>la</strong> base di questa devianza vi<br />
sarebbe una scarsa socializzazione o <strong>la</strong> frustrazione da ruolo, per <strong>la</strong> quale in alcuni casi<br />
il crimine diventa mezzo di liberazione dal<strong>la</strong> sopraffazione dell’angustia del proprio<br />
ruolo.<br />
Tuttavia, nonostante queste teorie siano state un avanzamento rispetto al determinismo<br />
biologico e psicologico, finiscono per studiare <strong>la</strong> criminalità femminile esclusivamente<br />
all’interno del ruolo sociale delle donne. Inoltre, non riescono né a sfidare <strong>la</strong><br />
convinzione prevalente secondo <strong>la</strong> quale le differenze di ruolo tra sessi e generi<br />
sarebbero “naturali” cioè biologicamente determinati, nè tanto meno a sottolineare che<br />
ci possa essere una certa motivazione e intenzionalità nel<strong>la</strong> criminalità delle donne. Si<br />
ritorna, in sostanza, a una sorta di determinismo.<br />
Il fenomeno del<strong>la</strong> criminalità femminile, come mettono in rilievo Gaetana Russo e<br />
Loredana Salomone 152 , è stato considerato, per molto tempo, di tipo residuale e sempre<br />
nell’ottica di una superficiale sovrapposizione all’universo maschile. Accompagnano<br />
tali pregiudizi, come si è visto, una visione romantica del<strong>la</strong> donna, le cui pulsioni al<br />
crimine sono frenate dal<strong>la</strong> pietas materna, da un forte senso morale, una donna che<br />
delinque meno perché meno evoluta biologicamente quindi inferiore, passiva<br />
psicologicamente ed economicamente, meno intelligente e razionale rispetto all’uomo.<br />
La criminalità femminile, dunque, non poteva che essere considerata anormale o<br />
innaturale, per lo più connessa a eventi biologici, fatti ormonali, cicli del<strong>la</strong> vita<br />
fisiologica come le mestruazioni, il parto, il puerperio e <strong>la</strong> menopausa.<br />
Marotta 153 ha avanzato delle critiche osservando giustamente come «non si vede perché<br />
non si possa par<strong>la</strong>re, nel caso del maschio, di ruolo sociale di marito e padre o di<br />
inferiorità psichica quando commette reati.».<br />
I caratteri che distinguono <strong>la</strong> donna “naturale” sono stati alimentati e hanno concorso a<br />
determinare lo stereotipo culturale sul<strong>la</strong> donna con conseguenti importanti implicazioni<br />
politiche e giuridiche, tradottisi in un certo “paternalismo” e “cavalleria” nel sistema<br />
penale che ha portato all’applicazione di procedimenti differenziali più benevoli nei<br />
confronti delle criminali donne.<br />
152 Russo G., Salomone L., in Rassegna italiana di criminologia, anno VI, n.3, luglio 1995.<br />
153 Cit. in Marginalità e società, n.15, 1990, p.28.<br />
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