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all’organizzazione nel<strong>la</strong> provincia di Agrigento. Queste due, quando il 30 gennaio del<br />
1989 ebbe inizio ad Agrigento il processo di mafia di Porto Empedocle, ebbero il<br />
coraggio non solo di costituirsi parti civile ma di rendere <strong>la</strong> loro testimonianza al<br />
processo, par<strong>la</strong>ndo contro le cosche e <strong>la</strong> guerra che si stava svolgendo e denunciando<br />
pubblicamente quelli che pensarono essere gli assassini dei congiunti.<br />
Le socie dell’Associazione delle donne contro <strong>la</strong> mafia decisero di mettersi in contatto<br />
con Rosa e Maria per partecipare alle udienze del processo in cui dovevano testimoniare<br />
e per dimostrare ad esse <strong>la</strong> loro solidarietà e l’appoggio, come avevano già fatto per <strong>la</strong><br />
Buscemi, <strong>la</strong> Rugnetta e <strong>la</strong> Lo Verso.<br />
Maria Cangialosi accolse subito <strong>la</strong> loro richiesta dicendo di essere molto contenta di<br />
avere l’Associazione accanto a lei. Rosa Moncada, al contrario, non ne volle neanche<br />
par<strong>la</strong>re ma <strong>la</strong> cosa non meravigliò, perché mossa esclusivamente dal desiderio di<br />
vendicare figlio e marito, entrambi mafiosi, dei quali aveva condiviso le attività e le<br />
responsabilità criminali. Rosa al processo dichiarò di voler andare in fondo ma da<br />
appartenente a quel mondo non accettò <strong>la</strong> solidarietà di chi si contrappone, invece, a<br />
quel mondo e in seguito si ritirerà dal processo.<br />
Maria Cangialosi sembrava, e forse era fino alle prime udienze del processo, all’oscuro<br />
del<strong>la</strong> reale attività del proprio uomo e per questo non allontanò l’Associazione. Per lei il<br />
marito, che aveva conosciuto in Belgio dove era cresciuta, non era mafioso ma era stato<br />
ucciso soltanto perché amico del figlio del<strong>la</strong> Moncada.<br />
Coraggiosamente indicò - e ripeté poi al processo di fronte allo stesso - Pasquale Salemi<br />
come esecutore materiale dell’omicidio, riconosciuto perché <strong>la</strong> Cangialosi era presente<br />
al momento del delitto e aveva visto in faccia il killer.<br />
Allora era sembrata un’eroina che chiedeva giustizia per un marito ucciso per nul<strong>la</strong>, ma<br />
durante lo svolgimento del processo, anche per influenza del<strong>la</strong> Moncada che le avrà<br />
aperto gli occhi, ha capito che <strong>la</strong> realtà era diversa: il marito non era quel<strong>la</strong> persona<br />
onesta che lei credeva ma un mafioso. Ad un certo punto, infatti, cambia atteggiamento<br />
cominciando a disertare il processo e, comportamento ancora più indicativo, non<br />
gradendo più <strong>la</strong> presenza in au<strong>la</strong> delle socie dell’Associazione delle donne contro <strong>la</strong><br />
mafia. Al processo d’appello, infine, ritratta le sue accuse e rinuncia al<strong>la</strong> costituzione di<br />
parte civile, insomma rientra “nei ranghi 478 ”.<br />
Ma se qualcuna, sopraffatta dai condizionamenti dell’ambiente o dal<strong>la</strong> paura di<br />
ritorsioni, ha ritrattato, altre sono andate fino in fondo, malgrado il trauma che una tale<br />
478 Puglisi A., Donne, mafia e antimafia.<br />
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