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Con le sue parole e il suo gesto si schiera con i Marchese che non hanno tradito. Anche<br />

<strong>la</strong> madre, Marianna Bruno, esprime sdegno e rabbia mettendo persino in dubbio <strong>la</strong><br />

maternità: «Non sono figli miei, forse non sono stata io a farli, è stato un sogno». Non<br />

da meno appaiono le dichiarazioni di Giuseppina Spadaro e Ange<strong>la</strong> Marino, giovani<br />

mogli rispettivamente di Pasquale e di Emanuele, che al<strong>la</strong> redazione dell’Ansa di<br />

Palermo dichiarano: «Siamo le ex mogli di quei due pentiti bastardi». La Spadaro<br />

continua: «Meglio se lo avessero ammazzato…Con lui morto avrei avuto più onore,<br />

meglio morto che pentito». Analogo atteggiamento riserverà <strong>la</strong> cognata Ange<strong>la</strong>: «Quei<br />

due sono due nullità. Li rinneghiamo, sono due infami…».<br />

Le due donne, inoltre, esortano i figli a rinnegare e dimenticare il padre, sempre che non<br />

l’abbiano già fatto. Il loro è un linguaggio grondante di cultura mafiosa.<br />

Si riuniranno, tuttavia, ai mariti pentiti accettando <strong>la</strong> protezione, ed anzi <strong>la</strong> Spadaro<br />

invierà una lettera al<strong>la</strong> Corte D’Assise in cui non solo dirà di aver ripudiato<br />

pubblicamente il marito per paura ma parlerà di Cosa Nostra come “due parole che<br />

significano morte e distruzione”, un “maledetto sistema” che ha rovinato <strong>la</strong> sua vita e<br />

quel<strong>la</strong> del marito.<br />

Analogo atteggiamento contraddittorio avrà anche <strong>la</strong> moglie di Leonardo Messina,<br />

uomo di fiducia di Giuseppe Madonia, esponente del<strong>la</strong> famiglia mafiosa di Vallelunga<br />

legata ai corleonesi. Consultata dal marito prima che questi iniziasse a col<strong>la</strong>borare con il<br />

giudice Borsellino, esce dal colloquio furibonda, dicendo: «E pensare che era un<br />

leone! 291 ».<br />

Tale reazione probabilmente è dovuta dal<strong>la</strong> caduta del “mito dell’invincibile e<br />

inafferrabile boss 292 ”. Tuttavia non si separerà dal Messina seguendolo lontano dal<strong>la</strong><br />

Sicilia insieme alle due figlie.<br />

Aldilà dell’effettivo ricongiungimento a cui si assiste, i messaggi di scomunica e<br />

disprezzo che le donne, in quanto madri, sorelle, mogli, figlie, ri<strong>la</strong>sciano contro chi ha<br />

cercato di liberarsi dall’“abbraccio mortale” del<strong>la</strong> “Grande Madre 293 ”, sono durissimi,<br />

“aggressivamente <strong>tesi</strong> al<strong>la</strong> difesa di un mondo di sopraffazione e di morte 294 ”, un mondo<br />

ossessionato dall’onore, un mondo per cui si è disposti a sacrificare persino valori<br />

familiari sacri, come <strong>la</strong> maternità, in cui, paradossalmente, <strong>la</strong> vergogna deriva non<br />

dall’avere parenti assassini ma pentiti.<br />

291 Madeo L., Dal materno al mafioso, p. 82.<br />

292 Incande<strong>la</strong> F., Donne di mafia. Donne contro a mafia, p. 22.<br />

293 Principato T., L’altra metà del<strong>la</strong> cupo<strong>la</strong>, in Narcomafie.<br />

294 Principato T., Dino A., Mafia donna. Le vestali del sacro e dell’onore, p. 16.<br />

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