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Questo è il caso di Maria Concetta Imbraguglia accusata insieme al marito, Giuseppe<br />
Manda<strong>la</strong>ri, di concorso in associazione mafiosa e di aver contribuito a gestire le finanze<br />
dei più importanti esponenti dell’organizzazione. Il Manda<strong>la</strong>ri - definito il<br />
commercialista di Cosa Nostra - secondo <strong>la</strong> pubblica accusa, rappresentava un<br />
importante collegamento fra l’organizzazione e il mondo del<strong>la</strong> legalità, utilizzava inoltre<br />
<strong>la</strong> propria influenza per interferire nelle decisioni politiche e nell’esito dei processi.<br />
Inoltre numerose società di Manda<strong>la</strong>ri, a disposizione di Cosa Nostra, vennero usate<br />
soprattutto come nascondiglio, uno dei quali fu il luogo del<strong>la</strong> segreta luna di miele di<br />
Totò Riina e Ninetta Bagarel<strong>la</strong>. Fra i primi clienti figuravano, infatti, i nomi più<br />
importanti del<strong>la</strong> mafia: Riina, Provenzano, Bada<strong>la</strong>menti, Liggio, le famiglie Madonia e<br />
Vernengo.<br />
La moglie, dopo essersi diplomata in ragioneria, nel 1971 inizia a <strong>la</strong>vorare per le società<br />
del marito. Molte di queste erano società fittizie finalizzate al ricic<strong>la</strong>ggio di denaro<br />
sporco e avevano come uniche azionarie <strong>la</strong> moglie e <strong>la</strong> segretaria Francesca Camarda,<br />
che agivano da prestanome.<br />
La rilevanza del suo ruolo verrà evidenziata dal magistrato incaricato delle indagini,<br />
Maurizio De Lucia, che del<strong>la</strong> Imbraguglia dirà: «La moglie era sempre presente nello<br />
studio, conosceva tutti i clienti (…) è nel collegio sindacale di un gran numero di<br />
società (…) Avevamo messo sotto controllo il suo telefono e scoprimmo che <strong>la</strong> donna<br />
svolgeva pienamente <strong>la</strong> sua parte nel<strong>la</strong> gestione del<strong>la</strong> società. Aveva un ruolo autonomo<br />
e decisionale (...) 189 ».<br />
Nonostante <strong>la</strong> sua funzione di factotum sia stato confermato anche dalle dichiarazioni di<br />
antichi clienti divenuti pentiti, Maria Imbraguglia si era sempre proc<strong>la</strong>mata innocente,<br />
all’oscuro delle attività del marito e comunque di non aver avuto alcuna rilevanza nel<strong>la</strong><br />
gestione delle società. La donna, infatti, affermava: «Pur essendo io munita del diploma<br />
di ragioneria, ho, fino all’anno 1991, coadiuvato mio marito Manda<strong>la</strong>ri Giuseppe in<br />
maniera estremamente marginale, limitandomi a mettere qualche firma su documenti<br />
che lo stesso mi sottoponeva, senza curarmi di leggerne il contenuto. Ciò perché ho<br />
sempre avuto fiducia in mio marito (...) Dal 1991 in poi, a seguito del<strong>la</strong> morte di mia<br />
figlia, ho cominciato a frequentare lo studio di mio marito unicamente allo scopo di<br />
distrarmi (...) da quanto ho premesso ne consegue che nul<strong>la</strong> so delle società nominate<br />
dall’ordinanza di custodia caute<strong>la</strong>re, né delle loro denominazioni sociali, né dell’identità<br />
dei soci di fatto 190 ».<br />
189 Longrigg C., L’altra metà del<strong>la</strong> mafia, p. 187, corsivo mio.<br />
190 Ingrascì O., Donne d’onore, p. 106.<br />
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