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Russo; <strong>la</strong> notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978 a Cinisi venne ucciso Peppino Impastato,<br />

militante di sinistra in prima fi<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> lotta al<strong>la</strong> mafia, una lotta in casa propria dato che<br />

il padre stesso era un mafioso di modesto calibro; nel 1979 tocca al cronista giudiziario<br />

de “Il Giornale di Sicilia”, Mario Francese, al segretario provinciale del<strong>la</strong> DC, Michele<br />

Reina, al dirigente del<strong>la</strong> Squadra Mobile di Palermo, Boris Giuliano e al magistrato che<br />

aveva istruito delicati processi a carico di esponenti di spicco del<strong>la</strong> mafia fra cui Liggio,<br />

Cesare Terranova, insieme al suo amico, il maresciallo Lenin Mancuso; il massacro<br />

continua nel 1980 con il presidente del<strong>la</strong> Regione Sicilia, Piersanti Mattarel<strong>la</strong>, il<br />

comandante dei carabinieri di Monreale, Emanuele Basile, e il Procuratore del<strong>la</strong><br />

Repubblica di Palermo, Gaetano Costa.<br />

L’obiettivo di Cosa Nostra è chiaro: attaccare il cuore dello Stato e del<strong>la</strong> società civile<br />

eliminando tutti i personaggi pubblici che intralciano, in diverso modo,<br />

l’organizzazione. Un messaggio chiarissimo a cui seguì, tuttavia, una risposta indecisa e<br />

contraddittoria dello Stato, troppo distratto, sopratutto negli anni settanta, dal<strong>la</strong> lotta<br />

contro le Brigate Rosse e le altre organizzazioni terroristiche.<br />

La strategia di Cosa Nostra è chiara sopratutto a Pio La Torre, deputato nazionale<br />

comunista, capo del PCI in Sicilia e vice presidente del<strong>la</strong> Commissione Antimafia, un<br />

uomo con una forte tempra del<strong>la</strong> personalità, un forte spirito combattivo, una dirittura<br />

morale e un’onestà, non solo intellettuale, che ne facevano «il politico che tutti gli<br />

italiani sognavano di poter votare 24 ». Egli non volle vanificare il sacrificio di<br />

sindacalisti, magistrati, forze dell’ordine che avevano donato <strong>la</strong> propria vita per <strong>la</strong> lotta<br />

mafiosa.<br />

Il suo ingegno e l’arguzia che gli erano propri, lo portarono a pensare ad uno degli<br />

strumenti che più temeva Cosa Nostra: iniziò a <strong>la</strong>vorare al<strong>la</strong> proposta di legge che<br />

avrebbe fatto dell’essere mafioso e dell’appartenenza al<strong>la</strong> mafia un reato. La<br />

legis<strong>la</strong>zione del ‘65, infatti, si dimostrò alquanto insufficiente proprio perchè<br />

permetteva di perseguire un mafioso solo se si fosse accertato nei suoi confronti un<br />

reato di altro tipo, da qui le facili assoluzioni e <strong>la</strong> conclusione dei processi a “gabbie<br />

vuote” che s’inseriva in uno spirito di convivenza prevalente in quegli anni.<br />

La morte di Mattarel<strong>la</strong> dette un’accelerazione al progetto al<strong>la</strong> cui stesura tecnica<br />

col<strong>la</strong>borarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Pio La Torre presentò al<strong>la</strong> Camera<br />

dei deputati il 31 marzo del 1981 tale proposta di legge n.1581 denominata “Norme di<br />

24 Bascietto G., Camarca C., Pio La Torre, p. 19.<br />

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