LAPIS LYDIUS

potentiam comedendi carnales cibos, imo et eos
appetendi sibimetipsis, si possibile fuerit,
abscidissent et longe a se proiecissent.
13 - Subsumo nunc. Ista tam rigorosa a cibis
carnalibus abstinentia actus est insignis humilitatis
imperatus; sic enim splendida convivia, in quibus
ciborum varietas ac pretiositas splendet, sunt
plerumque actus ingentis superbiae ac iactantiae ut
notum est in illo divite, qui epulabatur quotidie
splendide (Lc. 16) et in Assuero Rege, qui fecit
grande convivium principibus suis, ut ostenderet
divitias gloriae regni sui ac magnitudinem, atque
iactantiam (Ester,1).
14 - Cur abstinentia a cibis pretiosis cuiusmodi sunt
carnales, honeste assumpta non erit actus magnae
humilitatis? Accedit, quod homo liberam facultatem
habet comedendi carnes et cibaria ex carnibus
orginem trahentia, sibi a Deo concessam, saltem
post diluvium, (Genesis 9,3) habet etiam naturalem
inclinationem ad eas comedendas, utpote
delectabiles gustui et ad bonam valetudinem et
virium robur percommodas. 325 Unde huiusmodi
ciborum abstinentia, utpote naturali libertati et
inclinationi adversa, est valde difficilis, potest igitur
a virtute humilitatis imperari et ad propriam
vilitatem profitendam assumi; sic eadem abstinentia
erit simul humilitas et paenitentia.
15 - Facit tandem, quod S. Benedictus in Regula
capite septimo assignans gradus humilitatis ait:
sextus gradus est, si omni vilitate, vel extremitate
contentus sit Monacus. In quo consistat ista vilitas?
In quo extremitas? Explicat Turrecremata ad eum
locum dicens: Vilitas attinet ad cibum, potum,
vestitum, calciamentum et lectum; extremitas ad
locum, gradum et statum tenendum.
Actus ergo humilitatis est, quod Monachus sit
contentus omni vilitate cibi et potus; id est
quantumcumque abiectus, incultus et inutilis
iudicetur. Cum igitur cibi quadragesimales, qui pro
numerosa Fratrum communitate a pauperrima
Religione comparari possunt, sint multo viliores
carnibus, cibisque carnalibus, prorsus consequens
est, quod si Frater Minimus sit iis contentus et a
carnibus se abstineat, actus sit magnae humilitatis
simulque magnae paenitentiae. Hinc soluta manet
proposita difficultas.
Hinc patet. Cur S. Pater voluit ut fratres sui
vocentur Minimi, sintque humiles. Voluit ut essent
quadragesimalis abstinentiae ac paenitentiae
rigidissimi observatores, quia vero id obtinere non
possunt, nisi vere humiles sint, voluit etiam ut de
325 Sotus, De iustitia, liber 5, q.I, a.I.
- Traduzione da P. Vittorio Garau - 165
inflessibilmente viene osservata dai Minimi
l'astinenza dai cibi di grasso, come se tagliassero
la stessa fisica capacità di mangiare cibi di grasso,
anzi anche di desiderarli, se fosse possibile, e li
buttassero lontano.
13 – Ora concludo. Questa così rigorosa astinenza
dai cibi di grasso è un atto ordinato di una umiltà
squisita. Così, infatti, gli splendidi banchetti, nei
quali splende la varietà e la preziosità di cibi sono
spesso atti di una grande superbia e ostentazione,
come è noto in quel ricco che banchettava
lautamente ogni giorno (Lc.16) e nel re Assuero, il
quale fece un grande convito ai suoi principi per
mostrare le ricchezze, la grandezza e
l'ostentazione della gloria del suo regno.
14 - Perché l'astinenza dai cibi costosi, come sono
quelli di grasso, virtuosamente assunta non
dovrebbe essere un atto di grande umiltà?
S'aggiunge che l'uomo ha libera facoltà di
mangiare carni e i cibi derivanti dalle carni,
concessa a lui da Dio, almeno dopo il diluvio,
(Genesi 9,3); ha la naturale inclinazione di
mangiarle perché piacevoli al gusto e molto utili
alla buona salute e alla forza degli uomini. Per cui
l'astinenza di questi cibi, in quanto contraria alla
naturale libertà e inclinazione, è molto difficile;
può, dunque, essere guidata dalla virtù dell'umiltà
e assunta per confessare la propria pochezza. Così
anche l’astinenza sarà contemporaneamente
umiltà e penitenza.
15 - Lo comprova, infine, ciò che S. Benedetto
nella Regola, al capitolo settimo, distinguendo i
gradi dell'umiltà, dice: E' il sesto grado, se il
Monaco si accontenta di ogni pochezza e
bassezza. In che consista tale pochezza e
bassezza, lo spiega il Torrecremata dicendo: La
pochezza riguarda il cibo, il bere, il vestito, i
calzari e il letto; la bassezza riguarda il luogo, il
grado e lo stato da tenere.
E' dunque, un atto di umiltà che il Monaco si
accontenti di ogni pochezza di cibo e di bevanda,
nonostante venga giudicato abietto, incolto e
inutile. Poiché, dunque, i cibi quaresimali che, per
le comunità numerose di frati, possono essere
apprestati da una Religione molto povera, saranno
molto più vili delle carni e dei cibi di grasso, ne
risulta di conseguenza che se un frate Minimo si
accontenterà di essi e si asterrà dalle carni, sarà un
atto di grande umiltà e al tempo stesso di grande
penitenza. Per cui rimane sciolta la difficoltà
proposta.
Da ciò è evidente: Perché il S. Padre volle che i
suoi Frati si chiamassero Minimi e fossero umili.
Volle che fossero osservanti fedelissimi
dell'astinenza quaresimale e della penitenza.
Poiché, non potrebbero certo ottenerlo, se non