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Johann Nepomuk Nestroy Tradizione e trasgressione a cura di ...

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Gabriella Rovagnati<br />

<strong>di</strong> un eventuale pubblico; una resa del nome Pfriem con «calzolaio» ci pareva<br />

tuttavia troppo <strong>di</strong>retta e contraria alle intenzioni solo allusive <strong>di</strong> <strong>Nestroy</strong>.<br />

Quanto agli altri nomi, abbiamo soltanto adattato Leni, trasformandola<br />

in una Lena, e Sali, facendone una Lia, in modo da conservare i giochi<br />

<strong>di</strong> parole fatti da <strong>Nestroy</strong> su questi due personaggi femminili, quasi due<br />

prototipi <strong>di</strong> «dolci fanciulle» del teatro schnitzleriano.<br />

Mille sono state le <strong>di</strong>fficoltà che abbiamo incontrato e che hanno stimolato<br />

la nostra creatività. Mi limito a in<strong>di</strong>care un paio <strong>di</strong> significativi<br />

esempi. Alludendo a un vecchio che rincorre giovani donzelle – un’altra<br />

pièce scritta nel 1849, ma mai rappresentata quando l’autore era in vita, è<br />

intitolata Der alte Mann mit der jungen Frau –, <strong>Nestroy</strong> lo paragona a un vecchio<br />

albero che abbraccia «eine junge Pappe» (I, 9); ma «pioppo» è <strong>di</strong> genere<br />

maschile e quin<strong>di</strong>, partendo dal presupposto che, nonostante la ben<br />

nota misoginia dell’autore, non venissero chiamati in causa amori omosessuali,<br />

abbiamo sostituto <strong>di</strong> forza il pioppo con una «canna slanciata»: una<br />

delle tante coatte violazioni che il testo ha <strong>di</strong> fatto preteso. In un altro<br />

punto, verso la fine <strong>di</strong> questa storia improbabile che si conclude in maniera<br />

ancor più improbabile, quando padre e figlio sono in pellegrinaggio<br />

sulla via verso Roma, dove sperano <strong>di</strong> liberarsi per indulgenza vaticana dal<br />

melefizio del presunto patto con il <strong>di</strong>avolo, essi si trovano a parlare delle<br />

Alpi. C’è qui un gioco <strong>di</strong> parole fra «Sireninnen» e «Sennerinnen» (III, 17)<br />

che abbiamo risolto con il binomio «Maliarde» e «malgare», mantenendo<br />

l’assonanza e cercando <strong>di</strong> avvicinarci all’anagramma originale. È evidente<br />

che gli esempi potrebbero continuare, perché ogni riga del testo è una<br />

provocazione per il traduttore.<br />

È stata una sfida, un tentativo <strong>di</strong> approccio che in qualche caso ha persino<br />

conservato i voluti errori lessico-grammaticali dell’originale (come nel<br />

caso della confusione fra «lernen» e «lehren») e ha ricalcato neologismi<br />

come ad esempio il termine «ruba-pensioni». Naturalmente le obiezioni<br />

possibili restano mille, perché ogni traduzione è un azzardo o, se si vuole,<br />

un peccato <strong>di</strong> hybris, ma insieme un gesto <strong>di</strong> accoglienza, segno del desiderio<br />

<strong>di</strong> ammettere l’altro, il <strong>di</strong>verso, nella <strong>di</strong>mora della propria lingua madre.<br />

L’adattamento non è né automatico né garantito. Perciò, facendo mie<br />

le parole <strong>di</strong> un grande poeta e traduttore, insieme a Susanne Schmid, ripeto<br />

l’invito che Leopar<strong>di</strong> rivolse al suo pubblico proponendo la propria<br />

versione del secondo libro dell’Eneide:<br />

Lettor mio, dà un’occhiata alla mia traduzione, e se non ti piace, sì<br />

bestemmia il deturpatore della pièce, che sel merita, e gettala via; se

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